Disclaimer:
L’autore avvisa i lettori di questo blog che nel riportare quanto detto durante la conferenza stampa del film diretto da Clooney, potrebbe aver commesso degli errori, accecato com’era, dalla bellezza di quella topa senza tempo di Marisa Tomei.

Clooney entra in scena in splendida forma.
Sorride guascone in continuazione come se non fosse stato lui, quello a presentarsi con  Cindy Crawford, stamattina.
Seymour Hoffman divora la scena di chiunque gli sia vicino col suo faccione rassicurante ed inquietante allo stesso tempo (potrebbe essere omnisessuale, mi è stato fatto notare)
E se Grant Heslov è il primo della classe che vorrebbe che tutti gli facessero domande, Giamatti si mette invece nella posizione di chi non vuole essere interrogato.
Gli manca solo una copia de La compagnia dei celestini e sembra me al terzo anno di liceo.
Evan Rachel Wood è una bambola di ceramica fatta di crack e la Tomei è sua madre.
Il crack, per l’appunto, dipende dal fatto che tutti i suoi amici le preferiscono di gran lunga la madre.

Il tutto dura poco più di 20 minuti, 16 dei quali Clooney li passa a rassicurare tutti sul fatto che non è un film politico.
I restanti quattro muovendosi come Gianni Morandi alla notizia di una prima serata su RaiUno al posto di Panariello.

Gli chiedono:

“Come ha reagito il pubblico americano davanti a questo film?”

“Non lo so, siete i primi a vederlo.” risponde sperando che le domande si attestino su questo livello.

Non resterà poi così deluso visto che a fondo, non si andrà mai.

“Non è un film politico, è un film su cosa siamo disposti a sacrificare per non tradire la nostra anima.” conclude.

Chiedo a quello vicino a me se George stia parlando di un film che ha visto ultimamente e invece mi confermano che si riferisce al suo. Ah.

Gli chiedono: “In questo film una componente molto presente è quella della seduzione. Ogni personaggio prova a sedurre e irretirne un altro. Se è vero che NON è un film politico – Clooney sorride soddisfatto – che ne pensi della seduzione nella politica?”

Tilt.
Morandi agita le mani guardandosi intorno.
Giamatti pensando che in quell’attimo di silenzio sia stato fatto il suo nome risponde: “Il gioco della politica è il gioco più sexy in America. Tutti ne siamo sedotti.”

Morandi tocca per sbaglio la carica a molla dietro la schiena della Rachel Wood che ribatte:

“Penso che sia un buon modo di vedere le cose ma non credo che questo film  abbia a che fare con la politica – i capezzoli di Clooney si inturgidiscono – quanto con l’umanità. Chiunque cerca di sedurre chiunque, è una condizione umana.”

Non riesco a credere che mi trovi d’accordo con la moglie di Chucky e per fortuna prende la parola Hoffman e mi riporta su ben più saldi binari omo: “Non so quanto c’entri la seduzione ma credo che in realtà le persone vogliano soltanto essere quello che sono. E pur di rincorrere questa illusione arrivano ad esporsi più di quanto vorrebbero e tirano fuori quello che hanno dentro. Anche gli aspetti più orribili.”

A questo punto arriva la domanda che temevo fin dal primo momento: “Ha mai pensato di entrare in politica seriamente? Si vedrebbe come Presidente degli Stati Uniti d’America?”

Mi tappo le orecchie nel terrore che arrivi un “si”, perché un T-800 governatore della California ce la faccio ancora ad accettarlo, ma il peggior Batman della storia seduto alla casa bianca, proprio no.

Fortuna che Clooney  se ne rende da solo e ci lascia anche una bella risposta: “C’è un tizio che è la persona più cazzuta che conosca, più intelligente che conosca, più carismatica che conosca e sta avendo tutti i problemi del mondo. Per quale motivo dovrei voler essere al suo posto?

Tutti battono le mani tranne Heslov, visto che nessuno se lo fila, è già da un po’ che si è messo buono buonino a scrivere infinite volte la parola “Stronzi” sulla giacca di Giamatti che dorme da ore.

Clooney prova a coinvolgerlo sfruttando l’ottima opportunità data dall’inaspettata domanda: “Come vi siete trovati a lavorare insieme?”

“Sono veramente contento di aver potuto contare su uno script – non politico, sia chiaro –  per il quale ognuno ha subito manifestato la volontà di collaborare. Abbiamo tirato su un cast eccezionale, siamo stati molto fortunati e tutti hanno amato i loro personaggi.

A questo punto la bambola assassina prende la parola e rivela una scomoda verità:
“Onestamente? Penso che il mio personaggio sia un’idiota.”

Io che non posso tollerare di essere d’accordo con lei per la seconda volta, vengo salvato incredibilmente da lei stessa che tenta di mettere una pezza all’ipotetica gaffe: “Ahahaha la adoro! E’  dolce, carina e non pensa mai alle conseguenze. Io ho letto lo script e poi è stato facile immergermici.”

La Tomei, smette per un secondo di mostrarmi la lingua e aggiunge, riferendosi al suo personaggio: “Adoro quella stronza e vorrei essere sicura com’è lei. Ho empatizzato con lei, dentro di me.” E queste, signori, saranno le uniche parole che dirà.
Poi tornerà a guardarmi.

“Ti piace più dirigere o recitare?” chiedono a Clooney in quel mio momento di distrazione.

“Adoro dirigere me stesso.” risponde. “Immaginatevi: Com’è andata George? Bene George! E’ più facile quando sai esattamente quello che vuoi, quando mi limito a fare l’attore tutto è un compromesso tra quello che vorrei e quello che mi chiedono. Anche se devo riconoscere di aver lavorato con dei veri geni!

Poi qualcuno chiede: “Recitare e fare politica sono due lavori così diversi? E come vi dividete il lavoro clooney e heslov visto che ormai lavorate sempre insieme!”

Heslov ha un sussulto, va in iperventilazione e tira con violenza i 4 capelli di Giamatti che, svegliandosi di soprassalto, urla: “Hollywood è candyland rispetto a washington!”

Compagno Clooney ribatte dal Forte Prenestino: “Siamo nel mezzo di una situazione in cui realmente il fine giustifica i mezzi.  E’ un momento diffcile per governare, ovunque ti trovi, io approvo e auspico un cambiamento, e presto.

Heslov ci prova a rispondere alla domanda con un: “Io e George siamo amici da tanti anni, sin dal 1992, e lo siamo anche nella vita per questo è divertente lavorare insie…” ma una domanda a caso, forse fatta nello studio accanto, lo interrompe: “Perché questo film è importante per lei?”

Clooney risponde: “Non penso che ci sia nulla di nuovo nella politica dai tempi di Giulio Cesare. E noi continuiamo a ripetere questa follia. Quando siamo entrati in preproduzione con questo film nel 2007 ci chiedevamo molto cosa dovevamo fare e dove dovevamo andare. E abbiamo deciso di puntare su storie che danno più domande che risposte. Non è necessario dare le risposte.”

“Lei ha detto che non scenderà in politica per evitare di dover conciliare troppi compromessi”, chiede l’ultima mano alzata “ma non le è mai capitato come attore/star di doverne accettare?”

La risposta: “I compromessi li hai sempre. Sei sei un attore, se sei un regista. Perchè sai che ogni tua decisione può intervenire sulla vita delle persone. Ogni scelta è un compromesso. Nella vita come nel cinema. Ogni dialogo è un compromesso, ogni scelta è un compromesso. Questo non vuol dire che io non commetta errori, ma credo che la gente li commetta quando smette di accettare compromessi. Ed è lo stesso problema del presidente degli stati uniti. Provare ad essere un buono, accettando i compromessi.”

L’incontro si conclude con la notizia che il film verrà distribuito in Italia, “nel periodo migliore dell’anno“, ossia a Gennaio.
Per quel tempo, in caso siate ancora vivi, questi spoiler li avrete belli e dimenticati.

E ora un po’ di foto fatte apposta per voi da Martina Cestrilli, suvvia:

Sul faccione di Ryan Gosling che fa le prove generali del discorso che ha appena preparato per il candidato alle presidenziali U.S.A., si apre il tanto atteso film politico di George Clooney.

Sebbene le ultime dichiarazioni del regista di “Confessioni di una mente pericolosa” e “Good Night and Good Luck” siano tutte indirizzate a promuoverlo come un film sulla seduzione e il compromesso, minimizzandone il contenuto politico, è veramente difficile evitare di vederlo come una grande critica alla presidenza degli stati uniti.

E’ lo stesso Clooney a rendersene conto quando, nel 2007 e insieme all’amico/collega Grant Heslov, aquista i diritti della piece teatrale Farraguth North di Beau Willimon.
E’ un testo troppo critico, troppo negativo per essere realizzato in piena Obamamania.
Gli americani stanno vivendo giorni in cui credono che anche loro potranno farcela, e quindi non è il momento giusto per rivelargli che è un sogno dal quale si sveglieranno presto.
Bisogna aspettare.

Ed eccoci qui.
Estate 2011.
Obama è fresco degli onori della Nato per l’intervento nel conflitto Libico, e l’eco della vittoria su Bin Laden non s’è ancora spento del tutto.

Ma quando Clooney e Heslow iniziano a lavorare al film, la popolarità del presidente degli stati uniti è ai minici storici.
Le promesse, più che mantenute, sembrano congelate, e il “si, possiamo” sembra sempre di più un “ehhhh, guagliò, a dda passà a nuttat’!”

E’ il momento per raccontare quella storia.
E’ il momento per dire agli americani che nessun sognatore smetterà di credere nel fine che giustifica i mezzi.

Difficile quindi non indovinare a quale presidente sia ispirato il Mike Morris di Clooney, sia nelle citazioni più palesi:

sia in quelle più nascoste, curate in ogni dettaglio, come gli interni degli studi degli esperti di comunicazione che ne curavano l’immagine in fase di campagna elettorale, sia nel modo di presentarsi in pubblico con la moglie.

Ma più che al candidato alla presidenza, Clooney è interessato all’entourage che gli gira attorno.
A quei geniali artisti della comunicazione che, a colpi di sondaggi e dichiarazioni a sorpresa, studiano i modi per arrivare più direttamente nelle case dei votanti.

Gosling, sotto la guida del solito, splendido, Seymour Hoffman, è il giovane rampante pronto a dare il tutto per tutto per la campagna in cui crede.
Giamatti e il rivale, alle prese con la comunicazione per la campagna dei democratici.
Tra di loro, due donne: Evan Rachel Wood, stagista figlia di papà e Marisa Tomei, giornalista del New York Times esperta nel far sbottonare gli esperti.

Tra i retroscena della più importante campagna elettorale della storia americana, gravidanze ricattatorie, giochi di potere e influenza dei media, ce ne sarebbe abbastanza per immaginare Le idi di Marzo sul podio dei film più interessanti del 2011, peccato per noi che il barcone tirato su da Clooney naufraghi miseramente in un mare di facilonerie e superficialità che annullano tutto ciò che di buono era stato messo in scena nei primi venti minuti.

Perché partire lentamente, con un registro elegante e sofisticato era sicuramente un’idea buona, ma virare sul thrilleraccio dell’inghippetto non appena ti sei reso conto che gli “esperti” dell’aspirante Presidente sarebbero stati presi a calci in culo anche dai più scarsi dei pubblicitari della new york anni ’50, non è stata una mossa onesta, George. Lasciatelo dire.

Se nasci Mad Men, non puoi morire Ron Howard.
Non puoi.
Non devi.
Non si fa.

E’ inutile che strilli.

Quelli che dovrebbero essere gli squali più cinici e adorabili del nostro pianeta cadono nei più grossolani doppigiochi, interpretando, a turno, il ruolo della macchietta.
E non si salva nessuno:
Gosley a cui viene richiesta una gamma di espressioni troppo vasta e in troppo poco tempo, si gioca qualsiasi credibilità.
Giamatti, che evapora nel suo ruolo di rivale in favore di… cosa?
Clooney la cui onestà ci viene mostrata, e i suoi inghippi – reali? – solo raccontati.
La Wood che decide di andar via chissà poi perché.
La Tomei, e la stampa da lei rappresentata, annullata, ignorata, cancellata. Inutile.
Hoffmann che si fa mettere fuori gioco in un auto in campo lungo. Non ci è dato sapere come.

Ecco, sceneggiatori all’ascolto, vi prego, mi prostro davanti a voi, e a capo chino vi dico:

NON AFFIDATE MAI LE RISOLUZIONI A QUALCOSA CHE DUE PERSONAGGI SI DICONO E CHE GLI SPETTATORI NON SENTONO.

Non fatelo.

Perché se state giocando, il tavolo si può lasciare in due modi: o calando delle carte che fanno il culo a tutti, oppure dimostrando che stavate solo bluffando.
E se volete affidarvi a un bluff, bhé, buona fortuna. E buonanotte, pure va.

Per cui, di queste Idi di Marzo alla fine, cosa ci resta? Poco o niente. Tante – ipotetiche – buone intenzioni, e uno sviluppo da compitino facile facile in cui nessuno perde e nessuno vince.
Mio consiglio: life is too short.

Anzi no. Fermi.
Un motivo per scaricarvelo in realtà c’è.
Ed è nel papà di cui è figlia di papà Evan Rachel Wood: Gregory Itzin

il miglior presidente degli Stati Uniti mai visto su uno schermo.
E noi orfani di 24 lo sappiamo bene.

Stellette?  4 su 10.

(equivalente a un 6 sulla scala Ron Howard)

Alle 18 il Lido è colorato di una luce calda.

Lo vediamo in lontananza mentre parlo con Benjamin.

Coincidenze.
Durante la mia prima Venezia, quella con tutta l’allegra famigliola in occasione del compleanno di mammà, scherzai insieme a mio padre con un bimbo piccolo che finì anche nei nostri filmini.
Non sapendo come chiamarlo decisi arbitrariamente che si sarebbe chiamato Joshua e siccome la cosa divertiva mia mamma, Joshua fu.
Quando il bambino biondo mi esclama in sequenza la “e”, la “i”, la “a”, e di nuovo la “i”, la nonna gli fa eco “Benjamin” e la prima cosa che penso è che mia madre non mi crederà.
Mamma, credimi, si chiama Benjamin veramente.
E Benjamin è umbro, è in vacanza con la nonna e ha le idee chiare: se fa così

vuol dire che è d’accordo, nonostante l’espressione sembri dire l’opposto. Se non fa quel gesto, invece, ci scatenerà contro le sue capre con la corna.
La nonna ci rassicura: ne ha solo due.
Io gli dico che fa bene, che di capre con le corna dovrebbe averne anche di più e se è d’accordo con me deve battere il cinque sulla mia mano. Mi metto col palmo aperto verso di lui. Niente.
“Se – sei – d’accordo – con – me – devi – battere – il – cinque – sulla – mia – mano.” Ripeto.
“Ho capito”, taglia corto lui, “Ma io sono d’accordo solo con mia nonna. ” Apre il palmo della mano guardandomi sprezzante e la nonna gli batte il cinque.

Io resto come Burney, col braccio fisso in attesa che qualcuno ricambi il mio entusiasmo, per un numero imprecisato di ore, finché il Lido non mi avvisa che gli sto camminando sopra.

Con questo paesaggio qui:

Lo ricambio con un sorriso ma non sono sicuro di esserne all’altezza per cui mi rintano nel camping e monto la tenda più sveglia di me.

Quella che, con uno sguardo, ha capito che faceva prima da sola.
Il problema delle tende che si montano da sole è che poi hai un sacco di tempo libero e qualcuno potrebbe anche pensare di sfruttarlo in questo modo qui:

vi risparmio le immagini di un capodoglio che cerca di muovere velocemente le sue disarmoniche pinne caudali e mi faccio immortalare con i piedi per terra (una volta tanto).

La notte arriva

e prosegue tra spritz, gondolieri cantanti, spritz, tramezzini, spritz, piazza san marco (quella vera, senza neve, non quella di 12 anni fa), spritz, il mio locale preferito dietro Rialto (le foto di quello ve le faccio vedere poi), spritz, traghetti, spritz, strade sbagliate, spritz, sbando totale, spritz, MIRACOLO! IL CAMPING!, morte apparente nella tenda.

Fortunatamente in quella accanto la nostra dorme Thor (un energumeno che meme aveva già incontrato nel pomeriggio mentre usciva dalla doccia) che per non farmi sfigurare fa sì che ogni orifizio del suo corpo si esprim in un’overture di stati d’animo e colpi di scena.
Utile.
Per ogni evenienza: “E’ stato Thor.”
Chiudo gli occhi. Finalmente.

Li riapro svegliato da un suono infinito.
“E’ stato Thor” direte voi piccoli lettori. E invece no.

Gli alieni.

(scusate per le foto ma ero ubriaco e terrorizzato!)

Il suono non accenna a diminuire e io sono l’unico fuori dalla sua tenda.
Corro gridando di portarmi via con loro e quando esco dal campeggio l’unica cosa che vedo è questa:

Gli alieni non ci sono più.

Mi convinco che sia stato solo un fantastico virale dell’Ultimo Terrestre e mi complimento, tra me e me, con Gianni e la Fandango.

Poi dormo.
“Buonanotte anche a te, Thor”.

Mi sveglio dopo cinque ore e sento di avere i minuti contati.
Mi salva la doccia.
Mi salva un cornetto.
Non mi salva la nikon, che mi becca con questa faccia qui:

No, guardatela meglio. Questa faccia qui:

Ma fortunatamente al campeggio sembra tutto normale.

Nessun cerchio nell’erba, nessuna mucca rovesciata.

Arrivo al Casinò

con la testa che mi ciondola sulla navetta, ma non demordo, tra un’ora comincia il festival e voi vi aspettate che vi racconti quel che succede.

Fidatevi di me

non mi addormenterò sulle poltroncine.
(forse)

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The road to Venice pt.2

30 agosto 2011 da Mauro

“Ciao Fede!”

“Ciao! Partito?”

“No, sono sul treno adesso.”

“Ah, ok. Mi hai chiamato per dirmi questo?”

“Non precisamente. Ti ricordi quelle tavole di sceneggiatura che ho finito stanotte e che devi disegnare in questi giorni che sono a Venezia?”

“So cosa stai per dirmi.”

“Eh. Le ho scritte e mi sono scordato di inviartele. E ora per il primo internet point ci tocca aspettare che arrivo a Venezia, alle 17.”

“Bene. Così oggi ho tutto il tempo di ammazzarmi pensando alle scadenze. ”

“E invece no! Ho avuto un’idea!”

“…”

“Io la sceneggiatura ce l’ho qui. Prendi carta e penna che te le leggo e descrivo a voce almeno inizi ad abbozzarle e non buttiamo la giornata!”

“Vuoi metterti a declamare la sequenza di un massacro zombi dal vagone del treno?”

“Bhé, si, che problem… Aspetta che chiedo. Ehm, scusate posso… Ok, dicono di si.”

“Vai. Sono pronto.”

“Ok, la prima è una vignetta 1-2. La vetrata del media center divide in due la vignetta. John, in mezzobusto di profilo, occupa la parte di sinistra e guarda i morti viventi prigionieri di quella destra. Li guarda come fosse un entomologo che per la prima volta ha l’opportunità di studiare dei bacarozzi alti quanto lui. Fallo titubante e affascinato. Curioso e spaventato. Indeciso e avventato. Gli zombi, allo stesso modo, si accalcano sulla vetrata. Nei loro occhi non percepiamo nulla. Né curiosità, né voracità. Stanno. ”

“Ok, facile.”

“Il resto è più semplice. Nella 3 siamo su John. Primissimo piano frontale, nella soggettiva dello zombi. Ci guarda incuriosito e si avvicina sempre di più. Nella 4 il controcampo. Vediamo lo zombi che preme il suo viso contro la vetrata. Naso rotto, mandibola spezzata, occhi vitrei, carne in decomposizione, si DECOMPOSIZIONE, mi senti? FEDE MI SENTI? CARNE IN DECOMPOSIZIONE.”

Niente da fare. Galleria. I RomantiCoatti si tengono per mano. Nero e meme dormono. La Principiante stringe a sé le sue cose. Mi metto nei loro panni, sono al buio nello stesso vagone di uno che PRONTO?

“Fede, eccoti qui. Fino a dove hai sentito? Tutto? Ah si? Ah tu quella parte della decomposizione la sentivi. Ok. Allora nella 4 e nella 5 siamo all’interno del negozio e vediamo prima uno zombi, fisso davanti a un portatile, che si volta verso fuori campo, in direzione della porta, attratto dalla novità, poi (nella sei) altri due, tre zombi, che si aggregano agli altri addossati alla vetrata. Dobbiamo dare l’idea che tutti interrompono quello che stanno facendo e si rivolgono verso John.”

“Ok, per il momento mi basta.”

“Ah ok, meglio, che qui già mi guardano malissimo e penseranno che sono matto (li guardo e fingo una risatina di distacco da questo che é solo il mio lavoro) ahahah.”

“Dimmi solo come continua.”

“Bhé, poi ovviamente John si avvicinerà troppo, il peso degli zombi farà crollare la vetrata e comincerà la carneficina. John verrà salvato da tu sai chi e ci saranno vignette di capocce aperte, budella rotolanti, viscere per terra, pronto? Fè? Si, io ti sento VISCERE PER TERRA! SI, DA TUTTE LE PARTI. Cosa? Si, alzo la voce. JOHN SCAPPA E CORRE SU QUEL LAGO DI SANGUE, POLMONI, FRATTAGLIE E ALLA FINEniente
Caduta la linea.”

La Principiante mi guarda perplessa. Bianca in viso.
Tatiana invece s’è messa le cuffiette ed è rossa relativa.
Libano mi sorride complice e mi fa: “Ma te pagano?”
“Bhè, si.”
“Ahahahha. Ma li mortacci vostri!”

Appunto.

Un treno che parte puntuale é quello che porta cinque minuti di ritardo sull’orario di partenza, così da permettere a quelli come me di non perderlo.
Non che fosse questo il caso, Urano in congiunzione col 6645 hanno fatto sí che arrivassi in stazione con quei sette minuti d’anticipo necessari per passare in un’obbligatoria edicola (io) e in un bar a prendere la colazione e un’ipotesi di pranzo (meme).
Saliti a bordo, dopo un veloce punto della situazione, posso confermarvi con non poca soddisfazione che il bagaglio del perfetto festivaliero è così composto:

– tenda a tre posti di quelle che apri lanciandole e chiudi lanciandotici (sopra, giusto per farle capire chi è che porta i pantaloni in casa).
– sacchi a pelo, cuscini e materassino preso in prestito dal QGino che, almeno lui, si ricorda che una schiena ce l’ho e se proprio devo sacrificarla, meglio a causa delle poltroncine della Sala Pasinetti.
– torcia ricaricabile a mano (per la gioia di mio padre) e torcia da fronte che renderebbe ridicolo chiunque eccetto me che la utilizzerò in accoppiata con la colonna sonora di x- files per terrorizzare i campeggiatori.
– borraccia per mantenere l’acqua ad una temperatura decente anche durante proiezioni della durata di quattr’ore (che ci saranno, ohhh se ci saranno, vero raffaè? A proposito, mi aspetto che porti il tuo solito mix di caramelle al caffè e alla menta per tenerci svegli!)
– mutande in quantità doppia rispetto ai calzini. Tre calzoncini thai di quelli che indosso regolarmente da giugno, un jeans dovesse piovere, 15 magliette, una felpetta che mamma c’ha ragione, un completo nell’eventualità che Madonna decida di voler essere accompagnata sul red carpet proprio da me per via di quel naso un po’ così. Infradito. Scarpa chiusa nera.
– iPad per scrivere quello che vedo. Fedele nikon per fotografare quello che vedo. Fedele videocamera per riprendere quello che vedo. Miniregistratore per riascoltare quello che sento.
– Asakusa Kid di Kitano e American Psycho di Ellis che ha sostituito Comici spaventati guerrieri di Benni nel ruolo di Libro da rileggere d’estate per soffermarsi sulla meraviglia di ogni singola parola scelta. I due ultimi numeri di zagor e di Minus Habens di Squaz che ho preso a Napoli e devo ancora leggere.

Il tutto in poco più di un trolley e i nostri coinquilini di carrozza neanche ci guardano troppo male.
La tizia che sta studiando per l’esame per la patente, d’altronde, non ci guarda ed è persa nelle sue simulazioni dello scritto. Forse dopo, per rompere il ghiaccio, posso aiutarla un po’. Che di quella roba, ne so.
Il nero al mio fianco lavora per qualche società massonica ed è terrorizzato dal fatto che l’equazione della creazione sia stata trafugata e rischia di diventare di dominio pubblico. O almeno è questo che mi comunica ogni volta che risponde agitatissimo al telefono.
Il lui della coppietta romantiCoatta ci sorride e si offe d’aiutarci a mettere il trolley in alto. Gli rispondo che non serve e mi accenna un sorriso mentre torna a leggere “Roma criminale”. Sui paragrafi che più gli piacciono tenta di coinvolgere la compagna ma lei è persa nella lettura di “Trent’anni e una chiacchierata con papà” di Tiziano Ferro ed è chiaramente infastidita da queste intrusioni malavitose nelle sue sere nere.
Interrompe la lettura solo per parlare al cell con Marika, che sta a Gardaland coi tacchi e s’è bagnata tutta. Quando chiude ci dice che è la prima volta che va a Venezia, e che il cinema non c’entra, loro ci vanno per passare una romantica settimana.
“Ah, avete scelto il momento peggiore!” gli fa notare meme col tatto di una Sacher di fronte a un diabetico. “In questi giorni Venezia è infrequentabile e troppo piena di gente!” aggiunge.
Loro farfugliano una mezza cosa e nel momento in cui vedo infrangersi il cuore del Libano qui presente, che ha capito di aver regalato il viaggio dell’ammmore alla sua Tatiana nella settimana sbagliata, intervengo con un falsissimo (ma spero salvifico): “Secondo me questo è invece il momento migliore! Vuoi mettere la magia del cinema, della gente che popola questa città magica?”
“Si, vuoi mettere pagare un tramezzino 5 euro perché ‘sti giorni i commercianti stanno tutti avvelenati!”
Niente da fare L’oggettiva e orrenda verità di meme c’ammazza tutti e per un attimo me la immagino ridere sui loro cadaveri. Poi Marika telefona di nuovo e meme s’addormenta di noia.
La tizia s’è rotta un tacco ma è sempre bagnatissima.
Se richiama di nuovo prometto di farmi dare il numero ad uso e consumo del primo commentatore di questo post.
Che se mi dice anche come diavolo faccio a caricare immagini da wordpress qui su iPad mi fa proprio contento.
Che io sono iPippa in queste robe qui.

Nei prossimi giorni mi troverete abbrutito e contento in qualsiasi sala trasmetta film iracheni sottotitolati in polacco. Oppure, se vi dice meglio, a ronfare in una tenda del camping san niccolò.
Ho deciso di vivermi questa Venezia nel modo più hardcore possibile, ma state tranquilli, non mancheranno i resoconti.
Se passate da quelle parti, battete un colpo, che la combo spritz e tramezzini non si rifiuta a nessuno.

Voi altri invece fate i bravi, che dieci giorni passano in fretta.

Affacciati.

27 agosto 2011 da Mauro

Agenore Asserisce
Un tizio si è suicidato.
Rinaldo Asserisce
Una bambina è caduta di sotto.
Adalgiso Asserisce
Un barbone ubriaco, è stato.
Plutone Asserisce
Una rumena, s’è gettata.

Rinaldo Asserisce, di nuovo.
Una bambina in giro da sola è colpa dei genitori.
Che razza di genitori sono?

Online non leggo ancora nulla su quanto accaduto sul ponte di Piazza Sempione, ma spero in una segnalazione fasulla.
Quantomeno per non dar ragione a nessuno della famiglia Asserisce.

Sorprese.

26 agosto 2011 da Mauro

E il terrazzo, mai stato così bello.
Grazie.

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Autoprofezia del trentaduesimo.

25 agosto 2011 da Mauro

Esattamente un anno fa proclamavo indipendenza.
Qualcuna importante l’ho raggiunta, qualcun’altra no.
E per quello che cercavo ho intrapreso una strada che difficilmente mi renderà preda degli alibi.

Per il mio 32esimo compleanno, invece, rispolvero questa profezia sfigatissima che viene dritta, dritta, dagli abissi della mia memoria:

“28 anni
è il primo figlio avrai.
30 e in mezzo a pochi scelti,
ti sposerai.
31 e sarà il secondo.
Migliorerai.
32 il tuo primo film
anche se non ci crederai.
34  e nessun problema.
perché più non ci sarai.”

La pensai a 17 anni mentre facevo l’austostop e la imparai a memoria cantalenandola in attesa che qualche anima pia si fermasse a caricarmi.

Al momento ho raggiunto il ragguardevole risultato di averne bucate tre su tre.
Per non mandare del tutto a puttane la mia carriera da oracolo, devo beccarne almeno una tra le ultime due.

Ce la posso fare.

Fatemi gli auguri.

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Radio Loves The Wonderland Stars!

24 agosto 2011 da Mauro

Attenzione! Attenzione!
Questo pomeriggio, dalle ore 16 in punto e per una mezz’oretta buona, siete tutti esonerati dai vostri compiti quotidiani, per cui potrete smettere di commentare post su fb, di tradire i vostri partner e di pentirvi per quello che siete diventati.

Perché dalle 16 in punto, sulle frequenze di Radio 3, ospiti della bella trasmissione Fahrenheit condotta da Felice Cimatti, l’incommensurabile,

indepilabile,

incostipabile,

pac man, Tsunami, ELISABETTA MELARANCI!!!!!!!!!

e il sottoscritto

risponderanno a domande scomode quali:
“E’ vero che Betta preferisce il machete all’estetista?”
“Mauro ha realmente poggiato il suo culo nudo su ogni mobile di casa Recchioni?”
ma soprattutto vi racconteranno cosa si nasconde dietro le storielle che hanno realizzato per l’imprescindibile volume “Wonderland – quando alice se ne andò” edito della Nicola Pesce Editore, sotto la cura editoriale della benemerita coppia Amal/Mazzotta e con la spinta divulgativa di Eleonora Susanna, donna senza cognome.

Al volume hanno partecipato tanti di quegli autoroni di livello che faccio prima a tacere e a mostrarvi direttamente lo splendido Booktrailer realizzato per promuoverlo:

Visto che roba?
Ora non vi resta che ascoltarci via radio alle frequenze che trovate QUI

o in streaming online cliccando QUI.

Dal vostro Midnight Mark, è tutto.

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