The ides of March – Recensione.
Sul faccione di Ryan Gosling che fa le prove generali del discorso che ha appena preparato per il candidato alle presidenziali U.S.A., si apre il tanto atteso film politico di George Clooney.
Sebbene le ultime dichiarazioni del regista di “Confessioni di una mente pericolosa” e “Good Night and Good Luck” siano tutte indirizzate a promuoverlo come un film sulla seduzione e il compromesso, minimizzandone il contenuto politico, è veramente difficile evitare di vederlo come una grande critica alla presidenza degli stati uniti.
E’ lo stesso Clooney a rendersene conto quando, nel 2007 e insieme all’amico/collega Grant Heslov, aquista i diritti della piece teatrale Farraguth North di Beau Willimon.
E’ un testo troppo critico, troppo negativo per essere realizzato in piena Obamamania.
Gli americani stanno vivendo giorni in cui credono che anche loro potranno farcela, e quindi non è il momento giusto per rivelargli che è un sogno dal quale si sveglieranno presto.
Bisogna aspettare.
Ed eccoci qui.
Estate 2011.
Obama è fresco degli onori della Nato per l’intervento nel conflitto Libico, e l’eco della vittoria su Bin Laden non s’è ancora spento del tutto.
Ma quando Clooney e Heslow iniziano a lavorare al film, la popolarità del presidente degli stati uniti è ai minici storici.
Le promesse, più che mantenute, sembrano congelate, e il “si, possiamo” sembra sempre di più un “ehhhh, guagliò, a dda passà a nuttat’!”
E’ il momento per raccontare quella storia.
E’ il momento per dire agli americani che nessun sognatore smetterà di credere nel fine che giustifica i mezzi.
Difficile quindi non indovinare a quale presidente sia ispirato il Mike Morris di Clooney, sia nelle citazioni più palesi:
sia in quelle più nascoste, curate in ogni dettaglio, come gli interni degli studi degli esperti di comunicazione che ne curavano l’immagine in fase di campagna elettorale, sia nel modo di presentarsi in pubblico con la moglie.
Ma più che al candidato alla presidenza, Clooney è interessato all’entourage che gli gira attorno.
A quei geniali artisti della comunicazione che, a colpi di sondaggi e dichiarazioni a sorpresa, studiano i modi per arrivare più direttamente nelle case dei votanti.
Gosling, sotto la guida del solito, splendido, Seymour Hoffman, è il giovane rampante pronto a dare il tutto per tutto per la campagna in cui crede.
Giamatti e il rivale, alle prese con la comunicazione per la campagna dei democratici.
Tra di loro, due donne: Evan Rachel Wood, stagista figlia di papà e Marisa Tomei, giornalista del New York Times esperta nel far sbottonare gli esperti.
Tra i retroscena della più importante campagna elettorale della storia americana, gravidanze ricattatorie, giochi di potere e influenza dei media, ce ne sarebbe abbastanza per immaginare Le idi di Marzo sul podio dei film più interessanti del 2011, peccato per noi che il barcone tirato su da Clooney naufraghi miseramente in un mare di facilonerie e superficialità che annullano tutto ciò che di buono era stato messo in scena nei primi venti minuti.
Perché partire lentamente, con un registro elegante e sofisticato era sicuramente un’idea buona, ma virare sul thrilleraccio dell’inghippetto non appena ti sei reso conto che gli “esperti” dell’aspirante Presidente sarebbero stati presi a calci in culo anche dai più scarsi dei pubblicitari della new york anni ’50, non è stata una mossa onesta, George. Lasciatelo dire.
Se nasci Mad Men, non puoi morire Ron Howard.
Non puoi.
Non devi.
Non si fa.
E’ inutile che strilli.
Quelli che dovrebbero essere gli squali più cinici e adorabili del nostro pianeta cadono nei più grossolani doppigiochi, interpretando, a turno, il ruolo della macchietta.
E non si salva nessuno:
Gosley a cui viene richiesta una gamma di espressioni troppo vasta e in troppo poco tempo, si gioca qualsiasi credibilità.
Giamatti, che evapora nel suo ruolo di rivale in favore di… cosa?
Clooney la cui onestà ci viene mostrata, e i suoi inghippi – reali? – solo raccontati.
La Wood che decide di andar via chissà poi perché.
La Tomei, e la stampa da lei rappresentata, annullata, ignorata, cancellata. Inutile.
Hoffmann che si fa mettere fuori gioco in un auto in campo lungo. Non ci è dato sapere come.
Ecco, sceneggiatori all’ascolto, vi prego, mi prostro davanti a voi, e a capo chino vi dico:
NON AFFIDATE MAI LE RISOLUZIONI A QUALCOSA CHE DUE PERSONAGGI SI DICONO E CHE GLI SPETTATORI NON SENTONO.
Non fatelo.
Perché se state giocando, il tavolo si può lasciare in due modi: o calando delle carte che fanno il culo a tutti, oppure dimostrando che stavate solo bluffando.
E se volete affidarvi a un bluff, bhé, buona fortuna. E buonanotte, pure va.
Per cui, di queste Idi di Marzo alla fine, cosa ci resta? Poco o niente. Tante – ipotetiche – buone intenzioni, e uno sviluppo da compitino facile facile in cui nessuno perde e nessuno vince.
Mio consiglio: life is too short.
Anzi no. Fermi.
Un motivo per scaricarvelo in realtà c’è.
Ed è nel papà di cui è figlia di papà Evan Rachel Wood: Gregory Itzin
il miglior presidente degli Stati Uniti mai visto su uno schermo.
E noi orfani di 24 lo sappiamo bene.
Stellette? 4 su 10.
(equivalente a un 6 sulla scala Ron Howard)
Mi hai molto immalinconito. Uffff.
la scala Ron Howard? LOL!
si preannuncia un festival pieno di post!
e noi, rosicando un po’ a testa bassa, ti seguiremo fedeli.
ma ti avverto navighi un po’ troppo sul filo dello spoiler, vacci piano se no mi tocca smettere di leggerti! e non vorrei che questo accadesse…
p.s. se il plurale maiestatis ha offeso qualcuno chiedo umilmente scusa.
p.p.s. “è inutile che strilli” ahahaha
@ emo
Anche a me. Un po’ ci speravo
@ Ivan
Sei appena tornto da mille giorni in america e tu invidi me? 😉 per gli spoiler Hai ragione, sorry. Nelle prossime mi controllo di più’!
non si finisce mai di invidiare 🙂
Aspetto la recensione di “This must be the place” di Sorrentino. Per me è stato un film speciale, ogni inquadratura una sorpresa di colori, musica, dialoghi.