Gli adolescenti di Marfa e una sera con Larry Clark.
Se qualcosa di buono l’ha fatta, questa edizione del Festival del film di Roma 2012, è stata premiare Larry Clark con il Marc’Aurelio d’oro per il suo ultimo lavoro: Marfa Girl.
Togliamoci subito di torno le F.A.Q.
E’ il miglior film di Larry Clark?
No.
E’ un tassello imprescindibile della sua filmografia?
No.
E’ un passo avanti nel suo percorso autoriale?
No.
E’ un passo indietro?
Neanche.
E insomma, checccazz’è Marfa Girl?
E’ il nuovo film di Larry Clark.
Ma ci sono i soliti adolescenti?
Certo.
Che scopano?
Sì.
E si drogano forte senza che nessuno gli dica che è sbagliato. E suonano male senza che nessuno gli dica che è corretto. Gli unici rapporti che hanno con gli adulti sono riconducibili all’incapacità di comunicarsi i rispettivi bisogni e vivono immersi in una realtà decadente che è una gabbia con la finestrella aperta dalla quale non potranno comunque fuggire perché sono legati per entrambi i piedi.
La solita storia, quindi?
Sì.
E no.
Per cui, se odiate Clark e le sue ossessioni, saltate pure al post successivo (o al precedente).
Se invece vi riconoscete nella sua poetica, se adorate il suo sguardo sulle cose, se non siete stanchi di ascoltare la sua canzone ma ne vorreste ancora, continuate a leggere.
Fatelo anche se siete tra quelli che non hanno idea di chi sia questo bizzarro individuo nato a Tulsa, Oklahoma, 70, precisi, anni fa, perché adesso ve lo racconto.
(Say: “wiiiiiiii!!!!”)
Mister Clark nasce da madre fotografa, e per accontentare in tutto e per tutto il proprio dna decide di iniziare a spaccarsi di anfetamine intorno ai sedici anni. Così. Perché le compagnie non possono essere cattive quando sono le uniche a disposizione.
Di sfascio in sfascio, tra il 1963 e il 1971 decide di fotografare ciò che fa e ciò che vede. E quel che fa e che vede (compresa la parentesi nella guerra del Vietnam) non è bello, anzi, è la rappresentazione perfetta di ciò che più terrorizza il genitore ciccione americano medio.
Le sue fotografie mostrano adolescenti provenienti dalle più differenti classi sociali, uniti dalla livella della tossicodipendenza e della promiscuità sessuale.
Le sue immagini immortalano luoghi e momenti che diventano universali aprendo per la prima volta gli occhi al mondo su cosa fossero realmente gli adolescenti, a dispetto di quanto raccontato e mostrato nei canali televisivi in chiaro.
Il volume che raccoglie questi documenti si intitola Tulsa ed è stato fondamentale per forgiare l’immaginario di molti di quelli che ci si sono imbattuti.
Tra i tanti, lo Scorsese di Taxi Driver e il Van Sant di Drugstore Cowboy che lo citano al primo posto tra le loro fonti d’ispirazione.
A Tulsa hanno fatto seguito due altri volumi: Teenage Lust e The perfect Childhood dalle identiche tematiche e con una focalizzazione sempre più ossessiva verso l’adolescenza.
Di gioia in gioia, quindi, si arriva al 1993, anno in cui per la prima volta Clark si ritrova dietro a una macchina da presa per girare il videoclip di Solitary Man di Chris Isaac
A Larry il gioco piace parecchio, e visto che nel video ci sono già molti dei suoi elementi caratteristici tranne i minorenni, decide di mettersi nuovamente alla prova.
Ma stavolta con un film.
Galeotto fu l’incontro con quel giovincello di Harmony Korine.
Immaginate di essere un po’ pischello, un po’ skater, un po’ tossichello, un po’ aspirante fotografo, un po’ scrittorino, un po’ ventenne e di imbattervi in Larry Clark che se ne passeggia tranquillo per Washington Square Park. Immaginate che vi prenda un colpo tanto forte da placcarlo e dirgli che avete la sceneggiatura che fa per lui.
Immaginate che lui vi dia retta.
Shakerate e fate passare due anni.
Kids colpisce al petto come un’inaspettata ginocchiata al petto durante l’esibizione degli Slayer durante il farlocco tour di reunion dei Sex Pistols (true story).
Che sì, dici, la ginocchiata ci sta, ma proprio al petto?
Ecco. Per quanto tu possa immaginare cosa sta per raccontarti Clark, il modo in cui lo fa rimane sulla pelle fino a macchiartela. E proprio come il livido sul petto ci mette mesi ad andarsene e a volte, con la giusta luce, ti accorgi che ancora un po’ si vede.
I ragazzi s’innamorano. Escono. Si incontrano per la prima volta. Si baciano per la prima volta. Si fanno per la prima volta. Uccidono per la prima volta. Fanno sesso per la prima volta. Crescono per la prima volta.
E Clark è proprio lì che li fotografa, in quella precisa fase di passaggio, testimone tra il prima che è sempre stato e un dopo col quale per tutta la vita si troveranno a fare i conti.
Non ti dice da dove vengono, ma ti mostra quel che fanno e quello che potranno un giorno diventare.
A meno che non siano loro stessi a decidere di interrompere il cammino, come gli assassini di Bully
o come il suicida Ken Park del film omonimo.
Sempre adolescenti, sempre Korine in fase di scrittura (ma da un suo vecchio script, che nel frattempo i rapporti tra i due erano andati a marengo e l’ex skater aveva deciso che sarebbe diventato un regista bravissimo. Cosa, effettivamente, poi successa) e sempre vietato in mezzo mondo a causa del suo contenuto shock riassunto nell’equazione: sesso, droga, morte, minorenni.
Questo, quindi, il vietato mondo di Larry Clark.
Queste la sue ossessioni che, come dicevo qualche riga più su, tornano, sempre meno prepotenti, anche in Marfa Girl.
I colori sgargianti hanno preso il posto del bianco e nero.
La decadenza delle immagini ha ceduto il passo ad uno stile cesellato e morbido.
Ma soprattutto, la repulsione che suscitavano gli adolescenti degli anni 70 è svanita del tutto.
Ci si immedesima nei ragazzi di Marfa invece di prenderne le distanze e in questo sta tutto il cambiamento della società che da anni Clark racconta.
La società è cambiata. Alcuni tabù sono crollati. Altri aspetti sono stati accettati.
Quello che non cambia sono proprio i ragazzi e il loro big bang emotivi, l’entropia che li circonda e che può annullarli in un secondo così come farli risplendere per tutta la vita.
Per questo ci sarà sempre bisogno di un film di Larry Clark.
Perché per quanto i ragazzi non possono far altro che essere tali, è il mondo intorno a loro che muta, interrogandosi su cosa siano questi piccoli alieni che popolano la Terra, e come si possa arrivare a comprendere quante cose nascondano dietro quei sorrisi, dentro quelle incostanti malinconie.
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Grazie ad una splendida iniziativa del Kino, ho potuto trascorrere una serata con Larry Clark partecipando ad un interessante incontro che lo vedeva protagonista.
Questo il video integrale.
http://www.youtube.com/watch?v=0xgwJInwevA
Se siete suoi fan, o anche solo ne siete rimasti incuriositi da questo post, dategli un’occhiata.
Ne emergono parecchie di cose interessanti.
A causa dell’eccessiva durata della conferenza, non sono riuscito a fargli la domanda che volevo (nel video, risponde solo alla prima parte), ma fortunatamente riesco a raggiungerlo dopo e gli chiedo quanto, dalle foto per Tulsa fino alle riprese per Marfa Girl, siano cambiati gli adolescenti in relazione a lui.
In che modo, anche la sua crescita e notorietà come regista abbia influito sul modo in cui i ragazzi accettino di farsi riprendere dal suo occhio.
Mi ha risposto: “Non c’entra la fama. Oggi come allora, la caratteristica fondamentale dell’adolescenza è esibirsi, sfoggiare una caratteristica per trovare la propria identità.
Sono cinquant’anni che li racconto, e in cinquant’anni non ho mai conosciuto un adolescente che non volesse essere raccontato.”
A quel punto sopraggiunge Martina che finora aveva fatto le belle foto che vedete qui intorno. Le chiedo di fotografarci insieme, lei lo fa ed eccomi qui in tutta la mia beata beotezza.
Clark indica la mia maglietta e mi dice: “Io con lui ci ho lavorato! E’ il matto problematico più fottutamente romantico che abbia mai conosciuto.” E credo che non esista modo migliore per descrivere Daniel Johnston.
Martina si presenta e gli chiede se può fargli una domanda. Lui dice di sì.
“Chi è la ragazza di Marfa? Nel film se ne vedono tante, ma qual è quella a cui hai dedicato il titolo?”
Lui le sorride, e abbassando la voce risponde: “Il titolo è dedicato a tutte le ragazze di Marfa. Noi siamo le ragazze di Marfa, esattamente come noi siamo tutti Ken Park.”
Con queste parole ci firma la cartella stampa del suo film, e ci saluta, salendo sul taxi che lo porterà in stanza.
Sarà a Roma, per qualche giorno ancora.