Iron Man 3 – Recensione.
Ho quindici anni e Scuola di Mostri è il mio film preferito.
Mi fa ridere un sacco, i personaggi sono fichissimi, mi spaventa anche, e c’è quell’idea finale sulla verginità della tipa che mi fa sganasciare e mi insegna in quattro secondi tutto quello che c’è da sapere in fatto di donne.
All’epoca non ho idea di chi l’abbia realizzato, né di come si chiamino gli attori. Per me è roba legata alla magia o alla santità.
Un filo rosso di bontà che mette i suoi autori a tavola con i tipi che hanno inventato I Goonies, Indiana Jones, i Cavalieri dello Zodiaco, il Capitano Nemo e Zagor.
Benefattori dell’umanità.
Poi cresco.
Butto la televisione, mi tengo stretti i fumetti e vado in fissa con un sacco di cinema turco, coreano, iraniano, cinese, giapponese, spaccapallese e mi si confondono tantissimo le idee su quello che c’è da sapere in fatto di donne.
Allora vado a vedere chi c’era dietro Scuola di Mostri e scopro che l’ha scritto quello di Arma Letale 1 e 2, de L’ultimo boy scout, di Last Action Hero, di Kiss Kiss Bang Bang.
Insomma, quello di quel poco di cinema americano mainstream che ancora mi diverte tanto: Shane Black.
Quando ho saputo che ci sarebbe stato lui dietro il terzo capitolo cinematografico della saga di Iron Man, sulla faccia mi si è stampato quel sorriso d’entusiasmo interrotto a metà di quando ti fanno i complimenti su Facebook per una storia che non hai scritto tu.
Grazie per aver accettato la mia amicizia, ti seguo da quando scrivevi Bonerest.
…
Prego.
Sì, perché infilare un grande autore nel meccanismo produttivo della Hollywood attuale, vuol dire incrociare le dita e sperare che non l’abbiano ingabbiato in una tela di compromessi talmente fitta da vedersi sputtanato per sempre.
Per cui sono andato all’anteprima coi piedi di piombo.
Voglio dire, non che le aspettative fossero alle stelle, ma oggi come oggi, ho più a cuore la reputazione di Shane Black che le complicate traiettorie emotive di Tony Stark.
Anche perché, intendiamoci, non che i due precedenti film dell’uomo di ferro brillassero nel firmamento della cinematografia mondiale.
Anzi, intendiamoci ancora meglio e diciamo che, finora, nessun cinecomic ha fatto molto per lasciare ai posteri qualche degna traccia di sé. Con delle validissime eccezioni, certo.
Su tutte, il Superman di quando eravamo minuscoli.
Poi Batman 2.
Spiderman 2.
X-Men 2.
Buttman’s European Vacation.
Anal Cavity Search 6.
E poi basta film decenti con supereroi credibili.
Per questo, quand’è uscito il primo Iron Man, tutti eravamo lì ad applaudire un attore per il solo fatto che sapesse reggersi su due zampe e che non si limitasse ad abbaiare.
Ma aldilà di uno script divertente nella prima parte, di effetti visivi sufficienti, una regia senza infamia e un Downey JR decisamente in forma, la pellicola diretta nel 2008 da Jon Favreau, soffriva dello stesso identico problema di tutti i film marchiati Marvel: crollava miseramente nella seconda parte.
Come se, aldilà del setup dell’eroe, tutto il resto fosse impossibile da gestire.
Dagli Hulk, agli Spiderman, passando per Cap e Thor, raccontare l’eroe dopo la sua prima apparizione sembrava un’impresa destinata a fallire.
La fortunata parentesi di Avengers ha dimostrato che, mettendosi nelle mani di un abile sceneggiatore, è possibile mantenere la gente in sala e costruire una storia che non muoia al cinquantesimo minuto. A Shane Black viene chiesto esattamente questo.
Nonostante l’orribile Iron Man 2 e un Downey JR sempre più cosplayer di sé stesso, ad Iron Man 3 spetta una missione impossibile: chiudere la prima trilogia del cavaliere romanista e allo stesso tempo aprire le danze per la fase 2 dell’universo cinematografico Marvel.
Dall’impossibilità di permettersi un passo falso, viene chiamata in azione una vecchia gloria del cinema action americano. Quello solido, capace di mettere d’accordo adulti e ragazzini.
E questo, Shane Black, vuole fare. E questo riesce a fare.
Potendo contare sulle sue forze anche sotto il punto della regia, Black lavora forte forte in tre diverse direzioni.
La storia.
Gli attori.
Il mito.
Cbristopher Nolan ha l’abitudine di raccontare storie semplicissime complicandole così tanto in fase di sceneggiatura che a un certo punto tarapia tapioco ed è come se fosse antani.
Black invece, per Iron Man 3, mette su una trama intricatissima, ambientata in due diversi momenti storici, in non so quanti Stati diversi e con un fottio di personaggi a strapiovere (tra cui, ehm, 42 Iron men), con l’eroe che vince, perde, muore, rinasce, rivince e poi perde di nuovo e poi forse vince di nuovo e tutto scorre liscio come se ti fosse offerto dalla tequilera in topless di Plaza Garibaldi a Città del Messico.
Il tutto ricordandosi che un film per supereroi deve essere indirizzato ai ragazzi che vogliono immedesimarsi e aiutare il loro eroe preferito, che vogliono essere stupiti con combattimenti spettacolari e che saranno probabilmente accompagnati in sala da adulti cresciuti proprio con i suoi film.
Adulti che non si accontenteranno delle esplosioni e che, convinti di spegnere il cervello per due ore, si ritroveranno davanti ad uno dei più feroci nemici della democrazia occidentale che si siano visti nel cinema mainstream degli ultimi anni.
Se lo spettro della guerra fredda era appannaggio degli anni ’80, il nemico s’è fatto sempre più vicino e lo scettro del male appartiene ormai da anni al Medio Oriente. Con l’introduzione de Il Mandarino, Black ci mette davanti a ciò che realmente spaventa gli americani del post 11 settembre.
E lo fa senza sbandare sul registro narrativo, senza affidarsi ai cupi vezzi dell’ultimo Batman, senza dimenticare di essere lì per realizzare un prodotto di puro intrattenimento.
Me lo immagino, lo sguardino sorridente di Black quando vede che ha a disposizione l’accoppiata perfetta (Downey JR e Cheadle) per nascondere all’interno del film un vero e proprio bignami di quel sottogenere del cinema action che l’ha consacrato agli inizi dei ’90: il buddy movie.
Il bianco e il nero. Il genio cazzone e il colonnello combattente, uniti per risolvere una missione e salvare l’America ancora una volta. Come prima. Come sempre.
Robert Downey JR torna finalmente a recitare dimostrando di essere un cavallo di razza che ha bisogno di redini forti per andare dritto all’arrivo. Gigioneggia il giusto, sbagliando solo quando deve mostrare una crisi a cui non crediamo realmente mai, ma tornando ad essere credibile nei momenti di smarrimento, quanto in quelli epici e comici.
Cheadle, pur comparendo per neanche un terzo del film, riesce a tenere testa al protagonista assoluto regalandoci dei momenti di totale affiatamento tra i due, senza perdere un colpo.
Per la Paltrow viene finalmente cucito un ruolo che non la releghi a mera tappezzeria da coprire subito con dei poster di donne armate in bikini prima che arrivino a pranzo i tuoi, e lo porta a casa più che dignitosamente.
Kinglsey è un Mandarino sorprendente e credibile in ogni sua sfaccettatura, Guy Pierce si riprende dalla miseria di Prometheus e per il regista dei primi due Iron Man viene ritagliato un ruolo che è il marchio di fabbrica di un cinema che purtroppo non si vede più.
Gli effetti sono incredibilmente sopra la media (scarsa) a cui ci hanno abituato e il 3d, pur non aggiungendo assolutamente nulla, non ti accompagna fino a casa aggrappato come un granchio alla calotta cranica.
Un capolavoro, quindi, esente da sbavature?
No.
La prima mezz’ora di film, a parte gli Eiffel 65, ci mette un po’ ad ingranare.
La crisi di Stark è un pretesto inutile narrativamente e gestito parecchio male sia in termini di scrittura che di interpretazione.
Ma se dovessi cercare altri difetti farei davvero fatica e perderei così stanto tempo a cavillare con me stesso da annoiarmi di me e andarmene sbattendomi la porta in faccia.
Iron Man 3 ha il grande pregio di riuscire a sorprendere lì dove tutti gli altri seguono il solco della noia e della prevedibilità.
Ma soprattutto, Iron Man 3 è un film che se ne fotte platealmente di quanto farà incazzare tutti i fissati della continuity con il fumetto originale.
E questo lo rende automaticamente uno dei migliori film di supereroi che possiate vedere.
Stellette? 7 su 10
—-
P.S.
Per far sbandare una donna può bastare uno sguardo, ma non servirà a nulla farle crollare addosso una casa o lasciarla precipitare nelle fiamme.
Se ha deciso di credere in noi, riuscirà ad uscirne, a salvarci il culo, e a dimostrarci, con un bacio, di essere sempre stata più forte di noi.
Me l’ha insegnato quello di Scuola di Mostri. E di Iron Man 3.