Inquietanti rivelazioni.

1 febbraio 2010 da Mauro

Metti un sabato sera in compagnia degli amabili Tsunami, Rrobe, Mrx, Amal, Federico & Valeria, Stefano e Sand. Metti che si inizi alla grande con la bella mostra Ultra Erotica alla galleria Mondo Bizzarro dove ho tutto il tempo di innamorarmi follemente di Makiko Sugawa. Metti che dopo il ristorante di cucina cinogiappothailocoreana – chiara copertura per far coincidere amabilmente agli stessi tavoli tanto le triadi quanto la yakuza – si decide di andare tutti insieme all’Extra Art Cafè, lo spettacolare localino romano scoperto grazie alla mostra del Panda.
E’ lì che tra un bicchiere, una risata e un tottilione di foto iniziano a spargersi per l’aere le prime strofe di una bizzarra canzoncina, subito seguite da un coro pronto e attento.
E’ così che scopro che ben due tra le persone che più frequento ogni giorno della mia vita, conoscono a memoria questa cosa qua:

Ma non la conoscono così così, né a mozzichi e bocconi… conoscono PERFETTAMENTE ogni passaggio compresi i cambi di voce e la ricordano a memoria anche se, dicono, non la ascoltano da vent’anni almeno.
Dopo averla assaporata nello splendore del suo testo, non faccio fatica a dargli torto né a immaginare gli sforzi facciali che dovevano fare i genitori per non esplodere in una risata mentre la facevano ascoltare ai loro figli (probabilmente premevano play e scappavano nella stanza accanto). Ora, se c’è qualcuno in ascolto che mi vuole bene… mi aiuta a rintracciare autori e narratori che muoio dalla voglia di intervistarli?

Ah. Detto questo, secondo voi CHI erano i due che la sapevano a memoria?
(e qual è il vostro personaggio preferito?)

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satira su carla bruni e sarkozy

Ma c’era veramente bisogno di inventare tutta ‘sta storiella

http://www.repubblica.it/spettacoli-e-cultura/2010/01/31/news/carla_forfait_sanremo-2142655/

per nascondere il fatto che già solo l’idea di duettare con Gino Paoli la mandava in diarrea?

(Bella comunque per Cristicchi che già sta iniziando a vendere il suo brano)

SPIDER di Nash Edgerton

29 gennaio 2010 da Mauro

Ok per tutta questa settimana niente scherzi a Sandrella.
E a nessun altro.

Prometto.

Me l’ero perso sto gioiellino, non solo diretto ma anche interpretato da Nash Edgerton (è il protagonista), vincitore di un fottio di premi nei vari festival in giro per il mondo e capolavoro nella gestione dei tempi e nelle aspettative dello spettatore.

Se anche voi all’epoca eravate distratti… godetevelo!

Un bambino felice.

28 gennaio 2010 da Mauro

porta bluray pixar con la lampada luxo jr

Con me questi tizi vincono facile.
Maledetti.

Li amo.

Don’t Be Stupid, Please.

22 gennaio 2010 da Mauro

logo campagna diesel "be stupid"

Direttamente dal Bread & Butter di Berlino ecco Be Stupid la nuova campagna pubblicitaria realizzata dall’agenzia Anomaly per Diesel.

Roma ne è già tappezzata.

slogan della campagna

L’ansia da frase a effetto ha avuto la meglio sul messaggio da veicolare e sul risultato da ottenere. Dopo 20 anni di Tv spazzatura, Cinema spazzatura, Musica spazzatura continuano a volerci far credere che la stupidità vada in qualche modo premiata rispetto all’intelligenza (che effettivamente, come parola, è piuttosto noiosa).

Dite di usare le palle al posto del cervello ma non pensate siano già troppi quelli che lo fanno abitualmente senza il bisogno di ascoltare il vostro consiglio? Non sarebbe bello se, per una volta, si coalizzassero e venissero tutti insieme a ringraziarvi, direttamente in agenzia?

Non ci siamo Anomaly… in uno stato dove lo sport nazionale è la fuga dei cervelli, la vittoria della stupidità è constatazione dell’ovvio, non provocazione.
La triste norma, non la bizzarra anomaly(a).

A Sansone Donato non si guarda in bocca.

19 gennaio 2010 da Mauro

Nel cervello invece si, che c’è bella roba.

Animatore. Videomaker. Genio.
Rispetto assoluto.

Guardate, condividete, cercatelo, scopritelo, complimentatevi.
Ce ne fossero.

Quello che sai fare meglio…

15 gennaio 2010 da Mauro

…è  il motivo per cui tutti ti cercano.
Non sempre è vero, però.

Perchè se è comprensibile la frustrazione dell’essere richiesti solo per eseguire la vostra Smells Like Teen Spirit lo è forse in misura maggiore quando  grazie al risultato ottenuto con quella canzone… venite chiamati per realizzare tutt’altro!

E allora siete lì che pensate: “Ehi, iu-uuu mi vedete? Sono quello che avete cercato dopo aver sentito il suo pezzo garage/punk, perchè ora mi chiedete di scrivervi un pezzo alla Pupo (con tutto il rispetto dovuto a chi, nelle sue condizioni, non solo è riuscito a convincere una donna a toccarlo ma ben due e nello stesso istante) ?”

La figura del giovane produttore rampante è immediatamente riconoscibile perchè è quella che per prima, guardandovi sorridente, afferma: “Aahhh è un piacere poter lavorare con voi, abbiamo visto quel cortometraggio horror e quei videoclip con atmosfere alla Tobe Hooper e pensiamo possiate essere la persona più adatta a sviluppare il concept design per questa nuova linea di figurine di cuccioli di foca per ricche bambine annoiate che lanceremo l’anno prossimo in collaborazione con Fornarina.”

C’è confusione.

De andrè scrisse da ubriaco Amico Fragile dopo una orrenda serata a litigare con degli ospiti di una festa,  che volevano sentire le sue canzoni al posto delle sue opinioni (come se potessero essere anche lontanamente scisse).
E’ complesso e spesso frustrante far capire che noi siamo, prima delle nostre opere, le nostre teste, le nostre idee.

Siamo tutti più artigiani che artisti e questo un bene, chiediamo solo che il committente, prima di entrare nella nostra bottega, legga bene la qualifica scritta all’ingresso, sull’insegna.

E per quanto riguarda i pezzi tormentoni, i singoli che gli artisti ormai si rifiutano di eseguire, lancio un appello: vi prego, eseguiteli o bloccateli, altrimenti noi che vi ascoltiamo e amiamo, rischiamo di ritrovarci altre versioni di Creep o di Celebrate stuprate da orrendi e poco eleganti personaggi.

Dialogo tra un tassista e un non so.

14 gennaio 2010 da Mauro

Finta banconota da tre euro

Disclaimer: provare a dare una consecutio logica al dialogo sottostante vi porterà, necessariamente, ad impazzire.
Quindi non tentatelo a casa.

Tassista Romano si lamenta guardando una bancarella dell’usato:

“Ma guarda che roba, dove cazzo siamo arrivati… la gente compra pantaloni a tre euro. Ma te pare normale?”

Mauro:

“Me fa più strano quando li comprano a duecento”.

Tassista Romano:

“Ahahahahahah ‘cci vostri siete diventati tutti de sinistra!”

AVATAR – Recensione

12 gennaio 2010 da Mauro

locandina del film Avatar

comico accostamento tra la trama di Avatar e quella di Pocahontas

Prendete Pocahontas.
Aggiungete un mix tra i puffi e i thundercats.
Invadete l’afganisthan.
Fate saltare il coperchio al vaso di pandora.

Dal 15 gennaio Avatar verrà finalmente trasmesso nei cinema italiani, ultimi al mondo per non disturbare l’annuale invasione cinepanettonica.  Sembra che Cameron non l’abbia presa malissimo neanche quando l’unica alternativa possibile sembrava intitolarlo “Natale a Pandora” per puntare al sicuro appeal del franchising e sfruttare il gioco di parole con il dolce tradizionale.
Fra 3 giorni potrete quindi guardare all’interno del vaso e verificare se dare o meno credito a quel tipo che dice che Avatar salverà l’industria cinematografica o a quell’altro che ha gridato al mondo intero che è il film più importante degli ultimi 30 anni.

Il sottoscritto condivide entrambe le affermazioni ma il sottoscritto parla per iperbole anche mentre si lava i denti quindi iniziate con l’indossare gli orrendi occhialini e mettetevi comodi.

Contrariamente a quanto possiate pensare, quegli occhiali non sono stati inventati per ridurre nei cinema il numero di amplessi on air (avete provato a guardarvi in faccia con quei cosi addosso? Ho visto coppie lasciarsi la mano e far finta di non conoscersi per tutta la durata della proiezione) ma per godere della visione stereoscopica nelle sale che lo permettono. E far sì che la gente trovi, nel vedere un film “in tre dimensioni”, una motivazione abbastanza valida per sollevare il culetto, uscire di casa e spendere dei soldi per vedere il film al cinema piuttosto che scaricarlo in divx. Altrimenti l’emorragia che sta colpendo gli incassi cinematografici inizierà ad assumere un certo peso.
Ora, io non so se i nipotini dell’anaglifo saranno gli eletti che libereranno gli abitanti di Zion, quello che so è che Avatar è, attualmente (un “attualmente” che comprenderà almeno i prossimi 3, 4 anni) l’alfa e l’omega della stereoscopia. Lì inizia e lì finisce.

Il resto è parco a tema.

NON è un film diretto tradizionalmente cui, in seguito è stata applicata la stereoscopia come nel caso di Up o Era Glaciale 3, NON è un film in cui viene utilizzata solo per qualche wow moment come in Mostri contro Alieni, Piovono Polpette o A Christmas Carol.

Cameron ha investito 14 anni della sua vita nell’analisi di questa nuova tecnica studiandola e piegandola ai suoi voleri fino a renderla linguaggio a partire dalla sua caratteristica primaria: l’immersione.

Zio Jimmy ha messo in campo i risultati degli esperimenti delle sue esplorazioni marine per ricreare il più fedelmente possibile la sensazione di “profondità a 360°” avvertita sott’acqua. Il “mondo alieno” sottomarino utilizzato come beta tester emozionale del mondo alieno filmico per condurre lo spettatore alla scoperta di un mo(n)do tutto nuovo.

Come nelle profondità dell’abisso, le creature di Pandora, dalle piante ai Na’vi sono bioluminescenti. Un elemento narrativo, artistico, tecnico.
L’intensità della luce, unita alla profondità di campo degli ambienti e delle folle inquadrate, contribuisce a rendere immersivo l’effetto stereoscopico in modo che i piani diventino uno e centomila (saltando il nessuno) e portando ai limiti estremi la lezione di Welles che mostrava dalla finestrella, il piccolo Kane giocare nella neve.

Lo spettatore, così come i protagonisti, sono presi e trasportati in un nuovo pianeta, “indossando” loro stessi gli avatar/occhiali che gli permettono di sentirsi abitanti di Pandora. La sorpresa dei personaggi cinematografici è la stessa di quelli presenti in sala e il commento, univoco, è l’unico possibile che Cameron ci ha suggerito nel solo momento parlato del primissimo trailer: ” E’ Fantastico!”

Qualsiasi altra parola sarebbe superflua.

Il linguaggio tecnico si fonde nel linguaggio scenico che diventa linguaggio narrativo, e viceversa. Per dare voce ai Na’vi, è stato chiamato a collaborare Paul P. Frommer, esimio professore e linguista che ha concepito l’elaborato alfabeto con cui si esprimono e relazionano i felini antropomorfi. Tutti questi elementi contribuiscono a rendere credibile e riconoscibile questo Nuovo Mondo a cui viene affidato il compito di scenario e coprotagonista nella più tipica delle storie di frontiera americana aggiornandola ai giorni nostri per la gioia dei posteri.

La materia narrativa stessa partecipa al gioco delle immersioni perché a sua volta si fa tecnica ed è al servizio del media. Ogni idea presente nello script è scenica. È mezzo. È invenzione. È novità. La scelta di una sinossi leggera, immediata e nota, è il rassicurante Caronte che Cameron sceglie per traghettarci dall’altra parte della riva, accettare il cambiamento e viverlo. L’obiettivo del suo discorso cinematografico non è stupirvi con una storia sconvolgente, anzi! La storia è quel punto di partenza che a lui serve per far vivere un’esperienza sconvolgente (non dimentichiamoci che il suo più grande successo in termini di incassi si basava su una storia conosciuta da tutti).

James Cameron, con Avatar, celebra, ancora una volta, il concetto del come al posto del cosa. Ed è un “come” ormai ormai privo di limiti e in viaggio verso terze, quarte, quinte dimensioni. Là dove nessun uomo è mai giunto prima.

Solo due parole, per gli eventuali detrattori aprioristici: Cameron non vi ha mai delusi, e questa è verità.
Sigourney Weaver è nata per essere diretta dal regista di Aliens, Abyss, Terminator 1 e 2, True Lies e Titanic e questa potrebbe essere l’ultima occasione per vederla in così splendida e cazzuta forma.

Ah!

Non ci sono tette.
Questo e vero e non ci si può fare nulla.

Stellette? 10/10

Il Dio della Carneficina – recensione

11 gennaio 2010 da Mauro

locandina dello spettacolo teatrale "Il dio della carneficina"

Il mio rapporto con il teatro è riassumibile in due esempi:

  • Sono stato tre anni con un’attrice teatrale senza mai portarla a vedere uno spettacolo.
  • Quand’ero studente universitario ho dato il mio unico esame di teatro presentando la tesina “Il minimalismo spezzato della Duse bambina” in cui paventavo un delirante accostamento tra una lettera scritta dalla divina e un testo sceneggiato da me per un numero di Blue in cui avevo copiato così tanto Raymond Carver da spacciarlo, nel mio elaborato, per un suo inedito. La relatrice se n’era già venuta due volte leggendo il titolo e non ha cercato ulteriori conferme al mio blaterare.

Visto che il 2010 sarà l’hanno del contrappasso, ho regalato un doppio abbonamento per quindici spettacoli alla mia donna, quindici spettacoli che vedrò con lei e che recensirò qui.
Senza averne la benché minima qualifica.
E senza lamentarmi perché non ci sono zombie o macchine che esplodono.

Al secondo 01 dello spettacolo scopro, con un certo disappunto, che “Il dio della carneficina”, non è un adattamento della saga di Saw né il remake lounge di Texas Chainsaw Massacre.
Questo può voler dire soltanto che siamo nei temibili territori della metafora e comprendo troppo tardi che le poltroncine dell’Eliseo sono più strette di quelle di un qualsiasi aereo della Ryanair solo per impedirmi di fuggire.
Resto. Quindi resto.
La sinossi de “Il dio della carneficina” è riassumibile su un chicco di riso. Ma non preoccupatevi, sul chicco resta ancora un po’ di spazio per l’intera cinematografia di Leconte e una lampada ikea JANSJÖ.

Ve la racconto.
Un bambino spacca la faccia a un suo coetaneo. I rispettivi genitori s’ incontrano per discuterne da persone civili, ma la civilità, entro breve, se ne andrà allegramente a puttane(potessi-andarci-io).

Tratto da un testo di Yasmina Reza e messo in scena da Roberto Andò, lo spettacolo mostra quattro personaggi implacabilmente prigionieri dei loro stereotipi. Silvio Orlando è un sarcastico padre di famiglia sinistroide che odia la vita di coppia, Anna Bonaiuto è una mamma/scrittrice/artista moralista e moralizzante ma intollerante verso chi rovina la sua proprietà, Alessio Boni un avvocato senza scrupoli cellularecentrico e Michela Cescon una vomitante casalinga disperata.  Poco succede e le sorprese, quando arrivano, sono esageratamente sopra le righe. Noi del pubblico si ride ma siamo di bocca buona e sappiamo bene che una bella sbrattata mette d’accordo tutti. Ridiamo anche a ogni “e che cazzo” o “mi sono proprio rotta i coglioni” sentendoci parte di una grande famiglia. Devo ammettere che sto esagerando con il versante stronzo della recensione e mi pento e mi dolgo di essere fatto così che se fosse stato un sequel a caso di Venerdi 13 sarei stato più clemente.
Perché nei suoi 75 minuti di durata “Il dio della carneficina” il risultato lo porta a casa meritatamente.
La messa in scena è funzionale, adatta e mai invasiva: ogni elemento scenico ha il suo spazio e il suo ruolo. Gli attori sono eccellenti e le attrici (a parte gli eccessivi sali&scendi caratteriali – voluti?) offrono una prova impeccabile.

Immagine tratta dallo spettacolo "il dio della carneficina"

Ma il vero punto di forza dello spettacolo sono i dialoghi: divertenti, ironici, puntuali. Silvio Orlando che racconta l’odissea vissuta per fare fuori l’insopportabile criceto della figlia, Boni che riceve l’ennesima telefonata di Maurice perso in problemi farmaceutici, la Bonaiuto e la Cescon completamente ubriache. Ottime battute, quasi mai banali, sorrette ed esaltate da un’interpretazione spesso superba rendono questa commedia un piccolo gioiellino.
Motivo più che sufficiente per andarla a vedere.

Le prossime date.

La scheda

Il momento:

SILVIO ORLANDO/MICHEL

“Si! Faceva un fracasso insopportabile soprattutto di notte. Quegli esseri dormono di giorno. Anche Bruno era esasperato dal casino che faceva quel topo. E io, se devo dirla tutta, non vedevo l’ora di sbarazzarmene. Basta, mi sono detto, l’ho preso e l’ho mollato per strada. Ero sicuro che gli piacessero i rivoli, le fogne, e invece no, è rimasto immobile sul marciapiede, pietrificato. I criceti non sono né domestici, né selvatici, non riesco a capire quale sia il loro habitat naturale. Nemmeno il prato li soddisfa. Non si sa dove buttarli.”

Stellette? 6/10

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