Vedere andar via.

24 maggio 2010 da Mauro

“Caro direttore  ti chiedo di essere sollevata dalla mansione di conduttrice dell’edizione delle 20 del Tg1, essendosi determinata una situazione che non mi consente di svolgere questo compito senza pregiudizio per le mie convinzioni professionali. Questa è per me  una scelta difficile, ma obbligata. Considero la linea editoriale che hai voluto imprimere al giornale una sorta di dirottamento, a causa del quale il Tg1 rischia di schiantarsi contro una definitiva perdita di credibilità nei confronti dei telespettatori.

Come ha detto  il presidente della Commissione di Vigilanza Rai Sergio Zavoli: ‘La più grande testata italiana, rinunciando alla sua tradizionale struttura ha visto trasformare insieme con la sua identità, parte dell’ascolto tradizionale”.

Amo questo giornale, dove lavoro da 21 anni.
Perché è un grande giornale.
E’ stato il giornale di Vespa, Frajese, Longhi, Morrione, Fava, Giuntella.
Il giornale delle culture diverse, delle idee diverse.
Le conteneva tutte, era questa la sua ricchezza.

Era il loro giornale, il nostro giornale. Anche dei colleghi che hai rimosso dai loro incarichi e di molti altri qui dentro che sono stati emarginati. Questo è il giornale che ha sempre parlato a tutto il Paese. Il giornale degli italiani. Il giornale che ha dato voce a tutte le voci. Non è mai stato il giornale di una voce sola. Oggi l’informazione del Tg1 è un’informazione parziale e di parte. Dov’è il Paese reale? Dove sono le donne della vita reale? Quelle che devono aspettare mesi per una mammografia, se non possono pagarla? Quelle coi salari peggiori d’Europa, quelle che fanno fatica ogni giorno ad andare avanti  perché negli asili nido non c’è posto per tutti i nostri figli? Devono farsi levare il sangue e morire per avere l’onore di un nostro titolo.

E dove sono le donne e gli uomini che hanno perso il lavoro? Un milione di persone, dietro alle quali ci sono le loro famiglie.
Dove sono i giovani, per la prima volta con un futuro peggiore dei padri? E i quarantenni ancora precari, a 800 euro al mese, che non possono comprare neanche un divano, figuriamoci mettere al mondo un figlio? E dove sono i cassintegrati dell’Alitalia? Che fine hanno fatto? E le centinaia di aziende che chiudono e gli imprenditori del nord est che si tolgono la vita perchè falliti? Dov’è questa Italia che abbiamo il dovere di raccontare?
Quell’Italia esiste.
Ma il tg1 l’ha eliminata.
Anche io compro la carta igienica per mia figlia che frequenta la prima elementare in una scuola pubblica. Ma la sera, nel Tg1 delle 20, diamo spazio solo ai ministri Gelmini e Brunetta che presentano il nuovo grande progetto per la digitalizzazione della scuola, compreso di lavagna interattiva multimediale.

L’Italia che vive una drammatica crisi sociale è finita nel binario morto della nostra indifferenza.
Schiacciata tra un’informazione di parte – un editoriale sulla giustizia, uno contro i pentiti di mafia, un altro sull’inchiesta di Trani nel quale hai affermato di non essere indagato, smentito dai fatti il giorno dopo – e l’infotainment quotidiano: da quante volte occorre lavarsi le mani ogni giorno, alla caccia al coccodrillo nel lago, alle mutande antiscippo.
Una scelta editoriale con la quale stiamo arricchendo le sceneggiature dei programmi di satira e impoverendo la nostra reputazione di primo giornale del servizio pubblico della più importante azienda culturale del Paese. Oltre che i cittadini, ne fanno le spese tanti bravi colleghi che potrebbero dedicarsi con maggiore soddisfazione a ben altre inchieste di più alto profilo e interesse generale.

Un giornalista ha un unico strumento per difendere le proprie convinzioni professionali: levare al pezzo la propria firma. Un conduttore, una conduttrice, può soltanto levare la propria faccia, a questo punto.  Nell’affidamento dei telespettatori è infatti al conduttore che viene ricollegata la notizia. E’ lui che ricopre primariamente il ruolo di garante del rapporto di fiducia che sussiste con i telespettatori.

I fatti dell’Aquila ne sono stata la prova. Quando centinaia di persone hanno inveito contro la troupe che guidavo al grido di vergogna e scodinzolini, ho capito che quel rapporto di fiducia che ci ha sempre legato al nostro pubblico era davvero compromesso. E’ quello che accade quando si privilegia la comunicazione all’informazione, la propaganda alla verifica.

Ho fatto dell’onestà e della lealtà lo stile della mia vita e della mia professione. Dissentire non è tradire. Non rammento chi lo ha detto recentemente. Pertanto:

1)respingo l’accusa di avere avuto un comportamento scorretto. Le critiche che ho espresso pubblicamente – ricordo che si tratta di un mio diritto oltre che di un dovere essendo una consigliera della FNSI – le avevo già mosse anche nelle riunioni di sommario e a te, personalmente. Con spirito di leale collaborazione, pensando che in un lavoro come il nostro la circolazione delle idee e la pluralità delle opinioni costituisca un arricchimento.
Per questo ho continuato a condurre in questi mesi. Ma è palese che non c’è più alcuno spazio per la dialettica democratica al Tg1.
Sono i tempi del pensiero unico. Chi non ci sta è fuori, prima o dopo.

2)Respingo l’accusa che mi è stata mossa di sputare nel piatto in cui mangio.
Ricordo che la pietanza è quella di un semplice inviato, che chiede semplicemente che quel piatto contenga gli ingredienti giusti. Tutti e onesti. E tengo a precisare di avere sempre rifiutato compensi fuori dalla Rai, lautamente offerti dalle grandi aziende per i volti chiamati a presentare le loro conventions, ritenendo che un giornalista del servizio pubblico non debba trarre profitto dal proprio ruolo.

3) Respingo come offensive le affermazioni contenute nella tua lettera  dopo l’intervista rilasciata a Repubblica, lettera nella quale hai sollecitato all’azienda un provvedimento disciplinare nei miei confronti: mi hai accusato di “danneggiare il giornale per cui lavoro”, con le mie dichiarazioni sui dati d’ascolto. I dati resi pubblici hanno confermato quelle dichiarazioni.
Trovo inoltre paradossale la tua considerazione seguente: ‘il Tg1 darà conto delle posizioni delle minoranze ma non stravolgerà i fatti in ossequio a campagne ideologiche”. Posso dirti che l’unica campagna a cui mi dedico è quella dove trascorro i week end con la famiglia. Spero tu possa dire altrettanto.
Viceversa ho notato come non si sia levata una tua parola contro la violenta campagna diffamatoria che i quotidiani Il Giornale, Libero e il settimanale Panorama – anche utilizzando impropriamente corrispondenza aziendale a me diretta – hanno scatenato nei miei confronti in seguito alle mie critiche alla tua linea editoriale. Un attacco a orologeria: screditare subito chi dissente per indebolire la valenza delle sue affermazioni.
Sono stata definita ‘tosa ciacolante – ragazza chiacchierona – cronista senza cronaca, editorialista senza editoriali’ e via di questo passo.  Non è ciò che mi disse il Presidente Ciampi consegnandomi il Premio Saint Vincent di giornalismo, al Quirinale. A queste vigliaccate risponderà il mio legale. Ma sappi che non è certo per questo che lascio la conduzione delle 20.
Thomas Bernhard in Antichi Maestri scrive decine di volte una parola che amo molto: rispetto. Non di ammirazione viviamo, dice, ma è di rispetto che abbiamo bisogno.

Caro direttore, credo che occorra maggiore rispetto. Per le notizie, per il pubblico, per la verità.
Quello che nutro per la storia del Tg1, per la mia azienda, mi porta a questa decisione.
Il rispetto per i telespettatori, nostri unici referenti. Dovremmo ricordarlo sempre. Anche tu ne avresti il dovere”.

Viene da esultare per il gesto, per le parole.
Ma non scordiamoci che siamo qui a celebrare l’ennesima sconfitta, perchè salutare le persone di spalle non è mai una vittoria.

Un anno fa vengo contattato dalla produzione del film di Luchetti.
Mi chiedono il permesso di inserire dei miei cortometraggi animati all’interno del film, come contenuti video.
Luchetti è uno dei registi italiani che più stimo in assoluto, uno di quelli a cui riconosco una forte impronta stilistica e la voglia di crescere di pari passo con la sua produzione.
Uno di quelli che fa sul serio il cinema impegnato e fa sul serio la commedia.

Dico SI con gioia, sentendomi onorato.

Ho visto il film oggi.

Sotto il punto di vista prettamente registico una delle più alte vette raggiunte dall’autore romano, perfettamente a suo agio tra camera a mano e linguaggio tradizionale.

Personaggi ben delineati, contesti credibili, vissuti.
Un altare a quel luogo non luogo in perenne movimento che è la Bufalotta, con il suo squallore, la sua vitalità, la sua crescita, il suo cambiare per essere sempre e comunque quello che è.
La realtà della vita di cantiere e di borgata viene mostrata senza filtri, esagerazioni, macchiette.
Lo script riesce nell’impresa di non sforzarsi di raccontare il vero ma di evocare tutto ciò che vero fa credere e sentire il contesto e i personaggi.
Non è scattata una profonda empatia. Non ho sofferto per loro. Non sono stato male.
Ma credo che sia solo e soltanto colpa di Vasco e di quanto bene sia stato raccontato il prototipo del Vasco Addicted monumentalmente interpretato da Elio Germano.

E a questo punto non ci sono cazzi.
E’ stato detto e ripetuto fino alla nausea: Elio Germano è un grande attore.
Si, lo è.
Ma chiunque l’abbia detto prima di vedere questo film non sa QUANTO sia un grande attore.

E chiunque l’abbia detto prima di vedere questo filmato, in cui dedica il premio agli italiani che vanno avanti nonostante la classe dirigente che li governa, non potrà che apprezzarlo ulteriormente.

Tornando al vostro umile saltimbanco di quartiere, alla fine la scelta del cortometraggio animato che avrebbero guardato i bimbi nella loro cameretta è caduta su questo qui:

Tricky ‘n’ Ducks è stato realizzato tra il 2003 e il 2004 da un gruppo di amici/colleghi membri del collettivo LaStanza che viene citato e ringraziato nei titoli di coda del film insieme al sottoscritto.
Tra di loro, alcuni tra i più grandi artisti ed esponenti internazionali della cgi italiana:  Francesco Russotto, Andrea “Zeno” Di Cienzo, Daniele Niero, Andrea “Pupillo” Interguglielmi, Nuccio Canino, Marco Marini, Roberto Strippoli, Karin Kempf e Nicola Tomljanovich.
Dirigere quei 3 minuti, nati per gioco e voglia di mettersi alla prova in compagnia di bella gente, è stata un’emozione così forte da ritenerli, ancora oggi, tutti fratelli.
A tutt’oggi, il corto ha ricevuto numerosi premi e altrettante segnalazioni, spero che trovarlo all’interno di questo film, anche solo per pochi secondi, possa renderle tutto il collettivo LaStanza fiero così come lo sono stato io.

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Non riesco a premere stop.

23 maggio 2010 da Mauro

E l’ohm più tantrico che abbia mai sentito.
Intorno al minuto sei sto come il feto di 2001 odissea nello spazio.

Aiutatemi.

Fatelo smettere.

p.s.
Perchè l’hanno fatto? PERCHE?!?!?!?!?!?!??!?!?!??!?

Domenica 23: puntata conclusiva di Lost.

Lunedi 24: puntata conclusiva di 24.

Il mondo delle serie tv in chiaro saluta per sempre i suoi due più longevi blockbuster lasciando il baluardo dei seriali alla tv via cavo.

Il che è un problema anche per noi che ce li facciamo portare dal mulo.

La tv americana dopo un periodo di grande sperimentazione sta tornando a incartarsi. La rivoluzione che ha sconfitto Hollywood quantomeno sul piano contenutistico sta diventando un piccolo rumore di fondo e per molti è già da considerarsi conclusa.

Serve ora nuova linfa.
O che, quantomeno, i “piccoli” prendano finalmente possesso del cinema più esportato del globo.

Qui in Italia noi facciamo così.

19 maggio 2010 da Mauro

Troppo tardi e troppo poco.

‘Che è il concetto stesso di protezione che era messo a giudizio.
Quello che ti fa credere in uno stato.
E’ comunque qualcosa.
Ma accontentarsi delle piccole gocce di quel qualcosa di giusto, di etico, che ci vengono ancora elargite, ha il sapore del “meglio di niente” pronunciato da chi nella democrazia non ci crede più.

E allora tocca ancora a Pericle, che dal Discorso agli Ateniesi del 461 a.C. non smette di tornare utile:

Qui il nostro governo favorisce i molti invece dei pochi: e per questo viene chiamato democrazia.

Qui ad Atene noi facciamo così.

Le leggi qui assicurano una giustizia eguale per tutti nelle loro dispute private, ma noi non ignoriamo mai i meriti dell’eccellenza.
Quando un cittadino si distingue, allora esso sarà, a preferenza di altri, chiamato a servire lo Stato, ma non come un atto di privilegio, come una ricompensa al merito, e la povertà non costituisce un impedimento.

Qui ad Atene noi facciamo così.

La libertà di cui godiamo si estende anche alla vita quotidiana; noi non siamo sospettosi l’uno dell’altro e non infastidiamo mai il nostro prossimo se al nostro prossimo piace vivere a modo suo.
Noi siamo liberi, liberi di vivere proprio come ci piace e tuttavia siamo sempre pronti a fronteggiare qualsiasi pericolo.
Un cittadino ateniese non trascura i pubblici affari quando attende alle proprie faccende private, ma soprattutto non si occupa dei pubblici affari per risolvere le sue questioni private.

Qui ad Atene noi facciamo così.

Ci è stato insegnato di rispettare i magistrati, e ci è stato insegnato anche di rispettare le leggi e di non dimenticare mai che dobbiamo proteggere coloro che ricevono offesa.
E ci è stato anche insegnato di rispettare quelle leggi non scritte che risiedono nell’universale sentimento di ciò che è giusto e di ciò che è buon senso.

Qui ad Atene noi facciamo così.

Un uomo che non si interessa allo Stato noi non lo consideriamo innocuo, ma inutile; e benchè in pochi siano in grado di dare vita ad una politica, beh tutti qui ad Atene siamo in grado di giudicarla.
Noi non consideriamo la discussione come un ostacolo sulla via della democrazia.
Noi crediamo che la felicità sia il frutto della libertà, ma la libertà sia solo il frutto del valore.
Insomma, io proclamo che Atene è la scuola dell’Ellade e che ogni ateniese cresce sviluppando in sé una felice versalità, la fiducia in se stesso, la prontezza a fronteggiare qualsiasi situazione ed è per questo che la nostra città è aperta al mondo e noi non cacciamo mai uno straniero.

Qui ad Atene noi facciamo così.

Noi, in Italia, no.

Mark Lanegan: Blue.

17 maggio 2010 da Mauro

“In the English language, blue often represents the human emotion of sadness”

Blu le luci.
Blu la mano destra sull’asta
Blu la sinistra sul microfono, come sempre.
Blu il suono.
Blu la voce.

Mark Lanegan si spoglia di tutto, accompagnato soltanto da un suono leggero, per non sentir tutti gli occhi puntati su di lui.
Mark Lanegan non saluta, fugge l’interazione per paura del frastuono della risposta e riempie della sua voce la sala di roccia e cemento del Circolo degli Artisti.
Non rinuncia a niente di ciò che è stato, donandoci quello che è, mostrandoci uno spiraglio di ciò che sarà.
Dalla galassia lontana lontana degli Screamin trees, passando per le collaborazioni avute con Queens of the stone age e Soulsavers, senza dimenticare nemmeno uno dei passi fatti con le sue gambe, offre 22 momenti ambientati nell’infinitesimale attimo di tempo che è andato dalle 21.50 alle 23.oo di venerdì 14 maggio.

Lontano dalle carezze di Isobel Campbell, la voce ruvida di Lanegan si fa spazio tra le viscere, senza alcun bisogno di rassicurarti.
Entra scavando piano con le unghie, senza sorrisi e con una pacatezza distante.
E’ uno stupro gentile, il suo.  Prolungato.
Di quelli che ti portano a ringraziare prima, e a maledirlo poi, per essersene andato senza averti guardato un istante.

Questa la scaletta:

Questi, quattro momenti del concerto (scusate per l’orrenda qualità audiovideo ma il cellulare questo permetteva, la prossima volta vado armato) da ascoltare rigorosamente in cuffia

The River Rise

The traveller

Bell Black Ocean

Hangin’ Tree

E la mia preferita, che ero troppo impegnato ad ascoltare per mettermi a riprendere.

Mrk Lanegan – One Way Street – Live at Leeds

Scaricatela e ascoltatela in cuffia, spegnendo tutto il resto, se possibile.

Si stava come d’autunno, su Skype, le foglie.

Amica inquieta:  Io non credo in Dio. Non credo in un cazzo. Credo nell’amore, perché sono scema forse. E mi do. È quello che mi fa sentire viva. O forse sono stata amata troppo poco e troppo male. E hai ragione tu. Non ne uscirò.

Mauro e il suo tatto:  E il problema dietro questo discorso è che spesso manca il sottinteso del perchè.
“Mi do perchè mi aspetto altro. Mi do per ottenere altro. Mi do perchè mi serve darmi. Mi do perchè ho bisogno di qualcuno a cui darmi. Mi do per talmente tanti motivi che servono a giustificare me stessa che la verità è che mi do perchè io non mi voglio più.”

Inviato alle 19.14

Come se darsi fosse il valore aggiunto, come se nei negozi, il prezzo venisse tolto dagli oggetti in esposizione per generosità.
Come se il merito fosse nel darsi e non nell’ottenere.
Si da SOLO per ottenere. Ci si da per ottenere. E quello che otteniamo, se non di più, deve valere almeno quanto diamo.
Almeno quanto siamo.

Ma Darsi, alla fine, solletica il piacere sotto pelle della delega, della deresponsabilizzazione.
Darsi è addormentarsi in auto, sul sedile del passeggero.
Darsi è un libretto d’istruzioni con le pagine tutte bianche e una piccola matita Ikea.
Darsi è starsene sul lettino e lasciare che sabbia, sole e mare facciano il loro.
Darsi è stare dalla parte del merito e mai da quella della colpa. Dalla parte di un merito per cui non s’è lottato.

Darsi è molto più chiedere che dare.

Credo in chi esige un pegno e in chi serenamente paga il suo.
In chi non ha mai vinto un premio aziendale e in chi non lo è mai stato per qualcun altro.
In chi costruisce, consapevole del costo di ogni più piccolo mattone, conoscendone ogni nome.

E soprattutto in quei pochi che, diversamente da me, riusciranno a mettere in pratica quanto ho appena scritto, vittima della mia stessa teoria.

p.s. Volevo mostrarvi il video ufficiale del pezzo ma non si puote. Sorry.

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Draquila – Recensione

10 maggio 2010 da Mauro

Disaster Movie in salsa aquilana, Sabina Guzzanti sceglie la strada del mockumentary per girare la risposta italiana a 2012 e Cloverfield.

L’intuizione è di quelle geniali: prendere un argomento attualissimo come quello delle dottrine dello Shock & Awe e applicarlo all’italiaco contesto politico di scandali e scandaletti, corrotti e corruttori sullo sfondo di un’intera città rasa al suolo da un evento sismico di enorme portata.
Il tutto corredato dalla spettacolare ricostruzione in cgi – un unicum all’interno della produzione italiana – della città dilaniata dal terremoto e da un uso così accurato del green screen da riuscire a creare la perfetta illusione che gli attori (bravissimi per altro) camminino veramente per quelle vie rese deserte dalle macerie.

La storia ipotizza una realtà talmente distorta in cui, il presidente del consiglio italiano – un personaggio eccessivamente caricaturale, frequentatore di escort e di compleanni di minorenni, impegnato al cellulare anche di fronte alla Merkel – approfitterebbe della disgrazia di una cittadina per riabilitarsi agli occhi degli elettori e per speculare, in combutta con la protezione civile, sugli appalti della ricostruzione.
In che modo?
La Protezione civile (che secondo la legge 225 agisce per ordine diretto della presidenza del consiglio) può muoversi, per legge, in caso di EMERGENZA, al di fuori delle regole.
Questo muoversi al di fuori delle regole è talmente comodo e ambito che al pool di avvocati al servizio del presidente non serve altro che aggiungere due paroline alla legge che garantisce tutto ciò: “GRANDI EVENTI”.
Questo assicura l’assenza di controllo nei riguardi della protezione civile per tutto ciò che riguarda “emergenze” e, per l’appunto “grandi eventi”: una gallina dalle uova d’oro con cui speculare a dismisura e poco importa se ci si riferisca ai mondiali di nuoto o al costruire una nuova L’aquila a qualche chilometro dall’originale piuttosto che restaurare l’esistente.
La costruzione di un nuovo nucleo abitativo è  parte del piano di conquista globale sin dai tempi di Milano 2 e toccherà il suo apice soltanto quando il presidente del consiglio, tramite il gigantesco affaire della consegna delle case e l’alleanza con la protezione civile (ormai trasformata in s.p.a.) raggiungerà il trono e l’immunità da presidente della repubblica.

Un piano degno dei migliori mad doctors che riesce persino a sembrare credibile grazie al taglio documentaristico dell’intera vicenda, l’uso continuo di camera a spalla, materiali di repertorio e una fotografia sporca che cerca di essere il più possibile naturale.
La carrellata di situazioni e personaggi alterna caratterizzazioni particolarmente azzeccate, a partire dall’ultimo abitante della città, il vecchio professore che ci mette in guardia dal non credere alle forze di protezione civile (“Quando quelli ti prendono, sei finito!”), al ribelle dei senzatetto che rifiuta di arrendersi all’altolà dei guardiani (“tu non puoi uscire” “e perchè?” “Perchè sennò non ti possiamo proteggere!” “Ma da chi mi dovete proteggere?” “Dai ladri.” “E che mi rubano? Io non ho più niente, ciao!” “Fermo, dove vai?” “Ao ma che sei scemo? Dove vado non sono cazzi tuoi!”), al sindaco che gira nottetempo terrorizzato dai fantasmi delle luci fino ad arrivare al tendone dei difensori del popolo che in primavera,estate,autunno, inverno e ancora primavera risulta deserto.
A queste, purtroppo, ne fanno eco altre esageratamente estremizzate, a cominciare dalla già citata e  poco credibile figura del presidente del consiglio, fino alla sua cricca di scagnozzi, che si scandalizza di venir accusata per le sue malefatte e che ride nel letto della morte di 308 vite umane.

Il film  ha la pecca di essere accomunabile ad un Michael Moore all’italiana (soprattutto per il presupposto di partenza che ha più di un punto in comune con Farenheit 911) e soffre della medesima problematica di altri suoi simili: parla a chi già pensa le stesse cose senza minimamente scalfire il pensiero opposto,  ma un discreto montaggio e il fatto che sia tutto frutto della fantasia dello staff di sceneggiatori al servizio della Guzzanti lo eleva di una quindicina di tacche.

Concludo mostrando il finto materiale di repertorio utilizzato per un momento di agghiacciante cinismo perchè è giusto ricordare dove RISCHIAMO DI ARRIVARE:

e con le ultime parole con cui ci lascia il film, monito di speranza affinchè nel mondo reale cose del genere non accadano mai:

“Questa è la grande illusione,
che ciò che è vuoto e fasullo non possa durare.

E invece dura.”

Stellette? 7 meno meno su 10

Nella splendida cornice della libreria Bibli, quei tre oscuri personaggi vi parleranno della graphic novel che stanno realizzando a sei mani per Bompiani.

Tra un bicchiere di vino e l’altro vi narreranno gustosi retroscena, mostreranno inediti studi dei personaggi e reciteranno, in anteprima per voi e grazie alle loro straordinarie capacità attoriali, le prime 20 tavole del fumetto.

Questo, il comunicato stampa Bompiani:

Giovedì 6 maggio, ore 21

Centro Culturale Libreria Bibli

Via dei Fienaroli 28

Appuntamento con

“Lavori in corso. Dieci scrittori e il loro prossimo libro”

Incontro con

Pulsatilla

L’idea di questa graphic novel nasce da un progetto curato da Clara Sereni, «Amore Caro – a filo doppio con persone fragili», i cui contributi sono stati raccolti in un’antologia dal titolo omonimo che è uscita nel 2009 per Cairo Editore. L’idea, oltre a quella di raccogliere fondi, è di parlare della disabilità fisica e mentale in maniera autentica, comprensibile e concretamente utile. Hanno aderito a questo progetto – autobiografico per scelta e per necessità – diverse persone note – chi scrive per mestiere, chi no: Franco Amurri, Lorenzo Amurri, Oliviero Beha, Giovanni Maria Bellu, Gloria Buffo, Paola Free Martin, Paola Cortellesi, Barbara Garlaschelli, Valentina Locchi, Kikka Menoni, Lunetta Savino, Marco Savino, e, naturalmente, Pulsatilla; tutte persone che hanno in famiglia un disabile, una persona affetta da disturbo psichiatrico, o comunque una persona cosiddetta «fragile». Si tratta di amori importanti, ma costosi: «Caro» nella sua doppia accezione. Il formato dei racconti è la lettera: Amore Caro, virgola a capo. Ne sono us citi racconti piuttosto struggenti.

Dalla lettera che Pulsatilla ha scritto al papà bipolare, nasce l’accurato lavoro a fumetti al quale sta lavorando da un anno e mezzo con un disegnatore e uno sceneggiatore: Mauro Uzzeo & Marco Marini, affermati professionisti nel settore del fumetto e dell’animazione 3D. La graphic novel, che per ora porta il titolo provvisorio di «Lucina», uscirà l’anno prossimo per Bompiani.

La storia è stata trattata dai tre autori come un «on the road»: in macchina ci sono un padre in difficoltà e una figlia che, avendolo a carico, lo sta portando all’ospedale psichiatrico per un ricovero. Attraversando lo Stivale in macchina da Nord a Sud, i due ripercorrono la storia della loro famiglia e della malattia. Il tutto con toni ondivaghi: leggeri, amari, violenti, teneri, a volte comici, come sono quelli di Pulsatilla; e, naturalmente, con dei disegni di straordinaria bellezza.

Nata nel 1981, Pulsatilla entra nella cinquina del Campiello Giovani a diciotto anni con un racconto breve. Lavora come copywriter e apre un blog che diventa popolarissimo in Rete. Nel 2006 debutta con La Ballata delle Prugne Secche (Castelvecchi) e scala le classifiche. Nel 2008 con Bompiani pubblica Giulietta Squeenz e Quest’anno ti ho detto male. Nel 2009 partecipa all’antologia Amore Caro a cura di Clara Sereni, edita da Cairo. Attualmente è al lavoro su un libro per Mondadori e una graphic novel per Bompiani. Scrive anche per cinema, fumetti, teatro e riviste.

Come sceneggiatore di fumetti, Mauro Uzzeo spazia dall’editoria indipendente (“Velo di Maya” per Montego, “Alta fedeltà” per le Edizioni BD) a quella della grande distribuzione (“Blue” per Coniglio Editore, “Dylan Dog” per la casa editrice di Sergio Bonelli). Dal 2001 svolge l’attività di sceneggiatore e regista di cortometraggi (Tricky’n’Ducks), videoclip musicali (Tiromancino, Ligabue, Jovanotti, Subsonica, Planet Funk, Coolio & Snoop Dogg) e spot televisivi (Coca-cola, Vodafone, Particella di Sodio dell’Acqua Lete) ottenendone riconoscimenti italiani e internazionali (premiato al Future Film Festival, ai Castelli Animati e al Festival tedesco Animago). Dal 2006 affianca Iginio Straffi nella realizzazione delle avventure delle fatine Winx, sia nella loro incarnazione televisiva quanto in quella cinematografica e attualmente è al lavoro sul nuovo lungometraggio animato della Rainbow Cgi, società di cui è direttore responsabile del reparto creativo.

Marco Marini, Roma, 1968.
Comincia appena diciassettenne a lavorare come scenografo negli stabilimenti cinematografici di Cinecittà alternando il lavoro sul set a quello di fumettista. Per tutti gli anni ’90 lavora per diverse testate (Blue, Selen, Montego, Altafedeltà) realizzando storie, copertine, illustrazioni. Dal 2001 si occupa dell’art-direction e del concept design per diverse società di animazione (Rainbow CGI) e di post produzione (Animantis, Direct2Brain) partecipando alla realizzazione di spot tv, clip musicali e lungometraggi animati in 3d.

Lavori in corso – Dieci scrittori e il loro prossimo libro.

Ciclo di incontri a cura di Giuseppe Antonelli, Mario Desiati, Matteo Motolese, Stefano Petrocchi, Chiara Valerio.

In collaborazione con la Provincia di Roma.

Ingresso libero fino ad esaurimento posti.

Accorrete numerosi per abbracciarci, ubriacarci e financo litigare per qualche film visto recentemente!

Diario di un vecchio ComicoN

5 maggio 2010 da Mauro

Napoli s’è agghindata a festa in occasione del Comicon, ha indossato il suo cielo più bello e lenti a contatto talmente azzurre da non farti pensare neanche per un minuto che potessero essere finte.
Ho letto tanto su questa nuova conformazione della fiera, la nuova disposizione concettuale degli ambienti è stata argomento di discussioni e scambi mentre s’era in loco.
Uno spazio grande a disposizione dell’incontro con gli autori, delle case editrici, delle mostre e degli antiquari m’ha rigettato alle storiche Lucca pre-cosplayer in un corto circuito temporale che s’è puppato tutto il mio tempo disponibile a discapito del carrozzone dei mascherati che tanto mi sarebbe piaciuto far vedere a Danielle

che da un po’ s’è aggregata alla scooby gang nel suo tour italiano.
Ma non è servito, Napoli

ha fatto di tutto per sedurla e mandarla a casa soddisfatta (Napoli, non i fumettisti, per quanto con Rrobe, Leomacs, Walter, Burchielli e i Paguri si siano persino fatti cori da stadio!)

Ammetto che i corridoi semivuoti del castello e il rapporto di 1 a 1 tra visitatori e addetti ai lavori m’ha riportato alla mente più d’una volta scenari da Maschera della Morte Rossa (lebbrosi lettori di manga, ciucciateci il calzino che noi si sta tra di noi – si, che c’entra che leggiamo un sacco di manga?, si sta comunque tra di noi – si che c’entra che abbiamo tutti fotografato l’unica cosplayer

capitata per sbaglio, come fosse una divinità maya materializzatasi per dirci che secondo i suoi calcoli il 2012 arriverà con 20 minuti di ritardo? Dopotutto le paillettes sugli occhi e i crocefissi in pixel art fanno sempre la loro porca figura).

Per me, che ero lì soltanto per il sabato, è stata una meravigliosa occasione per gustarmi le esposizioni e passare un po’ di tempo in relax con amici e colleghi che vedo meno di quanto vorrei.
A conti fatti cosa mi sono portato a casa?

Walter che dopo aver aspettato con tutti noi due ore per riuscire a cenare (grazie Irene, ti adoro come sai e come sempre)  si trova davanti la pizza più arrogante della sua vita

e non può neanche chiedere aiuto a Leomacs che, a pochi centimetri di distanza, sta sbranando 10 chili di pizza fritta ben ripiena di ricotta e grasso di porco (il giorno dopo aveva dei tic che camuffava abilmente da Febbra 2)

ma in compenso riusciamo a digerire parlando per ore del nostro amore per Zagor che Walter mette subito in pratica impreziosendomi la moleskine.

Lo svacco del pranzo, col Bocchio e il Santucci che confondono BIrretta con BArretta e si nutrono come stalloni da esposizione.

E mentre il secondo emana metallo hardcore, il primo smodella come la regina del celebrità e abbraccia Adele al suono di “Aoh, ma io e te semo amici su feisbuc!”

suscitando questa reazione in Roberto

che però riesce a tirarsi su appena gli ricordiamo che è BELLO (ora se volete rendere felice il sottoscritto, telefonategli a gridateglielo appena vi risponde, poi riattaccate!)

che mi dimostra di aver perdonato la mia assenza alla conferenza del Canemucco (c-l-a-m-o-r-e) disegnandomi lei che guarda fuori campo.

Leo e la sua continua disponibilità

Il sommo Baru incontrato ed incastrato nell’ascensore (stavamo per chiedere un riscatto quando alla fine quelle maledette porte si sono aperte da sole)

Concetta che lavora lavora lavora lavora lavora lavora lavora e a guardarla sorridere non si direbbe mai

Tutti i ragazzi dello stand Nicola Pesce Editore (si, anche Amal, assente giustificatissima), gentili, affabili e con le palle talmente quadre da portarsi a casa il meritatissimo Micheluzzi per la riedizione di Don Chisciotte (gli occhi di Andrea dopo aver ritirato il premio tradivano più d’una emozione).
Margherita che strilla “Siiiiiiiiiiiii” e accetta.
Il compleanno di Marco Lupoi al Trip e il suo viso felice.

Sandra e Danielle che fanno le sceme sul tetto che scotta

e imitano Walter nella sana arte del togliere il calzino con un unico, elegante, gesto da ninja

e sempre Napoli, ma da quissù

Ausonia e le persone che non vediamo e non perdiamo, anche se.

La silenziosa presenza di Michele Penco, il suo Lovecraft, il suo io, il suo talento

Sandra che mi dice “resta, resta pure allo stand Double Shot, io vado a farmi una passeggiata”

Bastien e la sua voce piccola. E la sua sorpresa.

E la sua mano che va senza che lui neanche la guardi

rapendomi così tanto da farmi dimenticare di fotografare quella meraviglia che è Anne Simon e che al suo fianco disegnava e firmava dediche sul bel volume Napoli, sguardi d’autore edito da Tunué.

Maurizio che è così in alto e così vicino come soltanto i veramente grandi sanno essere

le parole con le luci della centrale elettrica

Ancora Napoli e ancora ogni suo angolo

e soprattutto il bel libro Storytellers: graphic Novel e narrativa a cura di Angelo Orlando Meloni, edito da Tunuè e dedicato al mondo della sceneggiatura e degli sceneggiatori di cui sono onorato di far parte.

(nel prossimo post ve lo illustro meglio)

Detto questo, oh voi che non siete riusciti a passare, sappiate che vi siete persi due cose soltanto
– il miglior momento di canalecinquismo di sempre: Davide Reviati vince il Micheluzzi come miglior fumetto dell’anno per il suo splendido “Morti di Sonno”, lo dedica ad un suo amico, gli tremano le mani per l’emozione, si commuove, vuole scendere dal palco per restarsene cinque minuti in disparte con il suo pudore e la sua disarmante umiltà ma viene fermato perchè “FORNARINA, sponsor dell’evento, ti regala un set di maschere di bellezza e un weekend in un centro benessere dove, eheh, potrai fare sesso estremo con chi vuoi!”
Davide non risponde neanche.
Si tiene in bocca il vaffanculo che tutti abbiamo pensato e per un attimo appare la buon anima di Alberto Castagna come nel finale del Ritorno dello Jedi, che sorride soddisfatto.

– L’argomento che maggiormente ha tenuto banco in questi giorni di fiera annullando le distanze e le divergenze, unendo cosplayer e autori, azzerando il debito pubblico, generando fratellanze e abbracci: il massimo e tutt’altro che tacito rispetto per

LA FAVA DI CORONA

mostrata in Videocracy, ma soprattutto per il savoir faire del suo assistente.

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