Ulisse ha trovato le sue Itaca.

14 giugno 2010 da Mauro

Ore 13.00.

3,55 kg.

51 cm d’altezza.

Elena.

Un’opera prima di Raffa & Carmine di Giandomenico.

E sappi, wagliò, che “FIGLIA” in teramano suona persino meglio di “Kill Bill”!

Tu sei riuscito a dire questa cosa.

Hai valutato, riflettuto e deciso di rispondere  con questa affermazione:

“Il comico come il musicista, prende a prestito l’armonia… Insomma, non si sente come uno studente pizzicato a copiare davanti a una classe di milioni di persone?

No, piuttosto come un professore giudicato da un branco di ripetenti.

Sei nel panico amico mio.

“Io sono Daniele Luttazzi e ho un problema”
“Ciaaaaaaaaao Daniele”.

Spero per te che inizierai presto a risalire la china e che ci siano sufficienti tettone di Bob su cui piangere.

(qui trovate il resto del suicidio)

Purgato dal fato.

12 giugno 2010 da Mauro

Bloccato in studio alle 4.02 dopo i miei dichiarati intenti pomeridiani.

Che era così prevedibile… la vigilia della consegna è come la vigilia di natale, si resta svegli per vedere chi riceve il pacco più grosso.

E io quest’anno devo essere stato un bambino particolarmente bravo perchè il mio è veramente gigantesco!

Ok, ci stava.
Da quando abbiamo imparato quelle due cosette su come si gestisce la produzione di un lungometraggio, il ritmo delle “notti” in studio è rallentato così tanto da verificarsi solo in sporadici casi e comunque a ridosso del cartellino degli imprevisti sul tabellone della dead-line.

Che poi sono passati solo quattro anni da quando venivo svegliato dai calcetti delle guardie chiamate dalle donne delle pulizie terrorizzate da questo tossico coi capelli lunghi e il naso ingombrante.
L’alba della Rainbow Cgi.
Cinque anni da Snoop Dogg e Coolio che ci constrinsero a rivedere il concetto di luce e buio alle prese col video di Gangsta Walk in Direct2Brain.
Sette anni dai sonni sotto e sopra i tavolini dell’Animantis per far uscire i rendering del Colibrì e del Bambino che ha spento le stelle.

Ed è alle notti che appartengono alcuni dei miei ricordi più belli.
E’ in quelle albe di denti sporchi e aliti omicidi che sono nate alcune delle amicizie più importanti della mia vita, solcate da occhiaie e rivelazioni, bagnate dal fango ascellare di quella che è rimasta l’unica e sola trincea per sporcarsi le mani con questo lavoro.
L’adrenalina davanti al responso della riuscita o del fallimento unita alla certezza di averle tentate tutte.

E’ dei sopravvissuti alle albe la chiave delle porte del nostro mondo.

E di chi decide che le 3 del mattino sono un buon orario per presentarsi con dei cornetti!

Scusate.
Gelatiiiiiiino?

Soltanto chi ami può deluderti.

10 giugno 2010 da Mauro

Luttazzi copia.
Tormentone che gira da anni e che di solito segue la frase “Luttazzi mi fa schiantare dal ridere”.

E’ che comunque pensi ok, si sarà ispirato, avrà citato una battuta, ma magari quel modo, quelle pause, quelle faccette, quei tempi… quella è roba sua ed è quello che fa la ricchezza dello sketch.

E invece no.
Tutto preso paro paro.
Non tutto, scusate, sicuramente questa roba è l’otto per mille del suo campionario (sono – fondamentalmente – un buono) però cazzo se di questo 8 per mille deve prenderne atto.

Sei stato sgamato? Stacce.
Ammettilo, dedicagli un nuovo sketch.

Ma non offendermi ti prego. Non insultarmi negando.
Non insultarmi irridendomi.

Ti stimo se affronti la cosa e non scappi come stai facendo.
Se cancelli, se continui a mettere a tacere avrai abbracciato il lato oscuro della forza.

Qui potete seguire tutto il video senza censure.

Gigante, pensaci tu!

8 giugno 2010 da Mauro

Allora facciamola semplice: costruiamo questa nave dal design old school, inizio novecento, guidata da un rappresentante di gingilli informatici.
La facciamo affondare per 45 minuti così che, lontana da sguardi indiscreti, possa trasformarsi in sottomarino che corre velocissimo per raggiungere un villaggio subacqueo abitato da piranha blu alieni con le facce e le movenze di felini con code usb.

Nel cuore del villaggio, il comandante della nave, sopravvissuto grazie al fatto che in realtà era un androide t1000 sotto copertura, troverà il luogo segreto dove si nascondono le uova covate dalla regina aliena,  e semplicemente toccandole riuscirà a tornare indietro nel tempo prevenendo così il disastro ecologico della stazione petrolifera Bp.

Io sto con te, James.
Non hai mai sbagliato, mai.
T’avrei dato piena fiducia.
Mi accodo e lo ribadisco: IMBECILLI!

Qui, e qui e qui e qui.

Grazie Fabbrì!

Steamboat Betta

7 giugno 2010 da Mauro

Dedicato a ieri sera.
A chi l’ha vista, a chi non c’era e a chi inseguiva una sua chimera.
Perchè gli zebù tranquillizzano i bambini mentre le case parlano di camaleonti suicidi.

E Betta è la nave scuola.

E l’estate è arrivata senza dirmelo anche se i segni c’erano tutti, i pavement m’avevano avvisato.

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Stephen Clancy Hill – dietro lo pseudonimo Steve Driver –  aveva offerto i suoi abbondanti centimetri di dimensione artistica alla sacra arte della pornocrazia, apparendo in mediocri filmetti come questo e quest’altro.

Annunciatogli il suo licenziamento sul set la prende bene.
Ripone la prima spada. Ne afferra una seconda, di scena.
Ci infilza il collega Herbert Hin Wong, in arte Tom Dong (interprete dei più interessanti ma prescindibilissimi: perverted planet 4, Kristina Rose Dirty Girl, Cum Coat My Throat 5 e Hookers & Blow 3) ammazzandolo sul colpo, ferendone qualcun altro e dandosela a gambe armato di katana.
Verrà fermato come Thelma e Louise sul ciglio del burrone e condividerà con le due fanciulle la medesima fine. Solo con meno slancio epico e senza la regia di Ridley Scott.
Finirà con una corda indecisa, uno sparo indeciso, una caduta indecisa.
Goffa. Da rifare.

Ora, se c’è un momento peggiore di quando qualcuno sta trombando per sentirsi comunicare il proprio licenziamento, può essere solo dirglielo subito dopo aver finito.
Nella doverosa pace del post orgasmic chill.
A meno che non sia stata una geniale intuizione del regista per prolungare la performance dell’attore rimandando il momento dell’eiaculazione.
Così fosse, è andata comunque a finire male.

Un mondo, quello della pornografia americana nella San Fernando Valley, così sporco, vitale, colorato, osceno, effimero e intrigante con i suoi diecimila nomi che durano lo spettro di un mese, le sue starlette brillanti e marce, le eterne comparse e i gli scenari mainstream di chi ha reso business la sua carne e i suoi limiti, che meriterebbe ben più di un cantore.

p.s.
E comunque, per la storia del massacro di un pornodivo armato di katana che muore precipitando nel tentativo di crearsi una corda fatta di nulla, Ellis, Welsh, Palahniuk, Ennis o Morrison avrebbero fatto carte false.
Grazie a Giò per la segnalazione!

Saw VI – Recensione.

6 giugno 2010 da Mauro

Mentre le idee nel cinema americano si nascondono imbarazzate come le facce di chi fa le puzze negli ascensori prima che entri io (è successo ieri, e la delusione è stata nella faccia imbarazzata del tizio, quando l’avrei di gran lunga preferita fiera e spavalda), sacrificate al profano altare di remake, prequel, sequel, e reboot, ed è solo dai seriali televisivi che proviene ancora qualche segnale d’innovazione nell’intrattenimento di massa, la saga di Saw cortocircuita e capovolge le regole del gioco.

Saw è a tutti gli effetti un seriale televisivo trasposto al cinema.

Sarebbe sbagliato accomunarlo alla grande famiglia degli horror a lunga scadenza come Venerdi 13 o Halloween che, per quanto ci abbiano regalato notevoli vaccate, l’hanno sempre fatto utilizzando un linguaggio prettamente cinematografico.

Saw viaggia per canali propri, funziona seguendo regole legate alla produttività televisiva e propone un intrattenimento diretto esclusivamente ad un pubblico di fan hardcore che lo segue dall’inizio.
Ad oggi è impossibile per lo spettatore casuale godere appieno di un film come Saw VI perchè basa tutta la sua struttura su eventi e rimandi a personaggi e situazioni delle pellicole precedenti, perchè non si presenta ma dà per assodato che tu già sappia, già conosca.
Saw VI è più simile alla sesta puntata di 24 che  a Nightmare 6, non funziona a sé stante ma inserito nel contesto narrativo che ha cominciato a prendere piede dal terzo capitolo della saga.
Ritrovatisi tra le mani un gigantesco successo commerciale col primo film, bissato poi dal secondo, a partire dal terzo episodio l’allegro gruppetto di amici (che di film in film si scambia felicemente di ruolo mantenendo comunque una solida idea di continuità) ha deciso di tessere in un unico e coerente discorso tutti gli elementi della saga che, ad oggi, appare virtualmente infinita.
Per quanto morto ormai da tre film, l’enigmista e il suo credo permeano anche questa nuova storia, e anzi, grazie ad un accentuato uso del flashback lo vediamo ancor più protagonista rispetto al precedente capitolo. Nell’identico modo ritroviamo praticamente tutti i personaggi visti in questi ultimi anni.
Lo schema è sempre lo stesso: i 10 minuti iniziali sono dedicati al primo “gioco”, cui spetta la palma del più cruento in assoluto di tutta la saga (divertenti le reazioni di disgusto offerte dal gentile pubblico della sala IV del Trianon).
Nella gara sulla quantità di carne da abbandonare per sopravvivere ci lascia le penne il ciccione che si strappava il grasso in eccesso e sopravvive la fanciulla che ha preferito amputarsi il braccio.
Piccola curiosità: l’attrice che interpreta la mutilanda è Tanedra Howard, vincitrice della parte grazie al reality Scream Queens prodotto da Mtv.

Il resto dei supplizi non saranno né così cruenti né si lasceranno particolarmente ricordare mentre tutta la narrazione punterà sull’alternarsi delle trame tra il lascito di John Kramer

e il personaggio dell’odioso e bolso detective Hoffman che riesce nell’impresa più grande della sua carriera: farmi tifare per lui.
Io che ero entrato in sala già pregustando il momento dell’orrenda morte del successore di Jigsaw, mi ritrovo a sperare che non venga scoperto fino al momento del finale che, come consuetudine della saga, dopo il colpo di scena Hitchcockiano, sale (per quanto il famosissimo score sia tenuto più basso del solito) posizionando i primi tasselli del successivo capitolo.
Che si prevede ancora più interessante.

Saw nel suo rifiuto di strizzare l’occhio alla maggior parte degli spettatori, nella sua riconoscibilissima e allo stesso tempo anonima regia , nel montaggio ormai diventato uno standard, nel accostare al torture porn più spietato (Eli Roth… daje su…) una storia così piena di intrecci e rimandi da far girare la testa anche ai più attenti in sala, anno dopo anno mantiene un livello qualitativo altissimo nel suo genere, riuscendo laddove chiunque avrebbe fallito.
Lunga vita a Jigsaw, e che il suo messaggio (che condivido in pieno) sia di monito per tutti voi.

E in più il film è piaciuto anche a Ro’ quindi stavolta non ci siamo picchiati a sangue fuori dal cinema.
In compenso abbiamo plaudito alle gesta di Jigsaw anche mentre mangiavamo un ottimo gelato che avevamo comprato soltanto per divertirci a criticarlo.
Ma questa è un’altra storia.

Il trailer del film:

il video della vittoria di Tanedra Howards a Scream Queens:

e una mini intervista che dimostra una volta per tutte che ci sarebbero modi mooooolto più diverti per vederla strillare:


Stellette? 7 su 10 (ma riguardo Saw non sono un recensore affidabile, sei e mezzo sarebbe stato un voto più obiettivo… chettelodicaffare?)

Spiegare come comportarsi.

1 giugno 2010 da Mauro

Vittorio Feltri – Martedi 1 giugno 2010

“Quello che stiamo per dire non piacerà a tutti. Meglio dirlo prima perchè conosciamo molti polli italiani e i loro sentimenti antisraeliani.
La notizia nuda e cruda l’avete appresa ieri dalla tivù, dalle radio e da internet. Una flotta di navi carica di pacifisti e di aiuti materiali per gli abitanti della striscia di Gaza (assediata) è stata intercettata dalla marina militare di Israele ed è successo un macello.
Si parla di una decina di morti e ventisei feriti. Non eravamo sul posto (né noi né altri giornalisti) quindi non siamo in grado di ricostruire l’accaduto se non attraverso fonti ufficiali, quella di Tel Aviv che ha fermato le imbarcazioni con a bordo gli amici dei palestinesi, e quella della Turchia da cui sono salpate le navi.

Versione israeliana.
La flotta dei pacifisti è entrata in acque israeliane con l’intenzione di rompere l’assedio di Gaza e di portare alla gente dieci tonnellate di aiuti umanitari.
La marina militare l’ha bloccata in obbedienza agli ordini del governo. I soldati sono saliti dulle navi non autorizzate a dirigersi a Gaza: sembrava una normale operazione di polizia e, invece, i pacifisti hanno reagito con armi da fuoco, bastoni, coltelli, eccetera.
La risposta degli israliani è stata immediata e rabbiosa come sempre avviene in queste circostanze, con conseguenze tragiche.
Sul numero delle vittime abbiamo già detto: vari i feriti da entrambe le parti.

Versione turca.
Non è vero che la flotta sia stata intercettata in acque israeliane bensì internazionali, a 70 miglia nautiche dalla terraferma.
Non è vero che i passeggeri fossero armati. Erano saliti a bordo passando attraverso il metal detector e i raggi X; responso negativo.
La dogana conferma.

Sia come sia, un dato è sicuro. Gli amici dei palestinesi non avevano il permesso di approdare in territorio israeliano, quindi non dovevano trovarsi in quel punto del mare; è evidente che progettassero una azione di forza, forse non calcolando la inflessibilità della marina.
Inoltre trasportavano tonnellate di merce (non zavorra) che avrebbero scaricato senza l’ok di Israele.
Infine non hanno tollerato le ispezioni e ciò ha provocato la sparatoria.
A prescindere da chi abbia attaccato per primo, c’è comunque un fatto non trascurabile: Israele è in conflitto da sempre con i palestinesi, ma non lo è col popolo sofferente e incolpevole, bensì con Hamas che non è un mite partito votato ad amministrare con garbo la sua gente; è un grande movimento terroristico col quale ogni trattativa è regolarmente finita nel sangue, bombe e roba del genere.
Pensare che uno Stato sovrano accetti di ospitare chi dà una mano ai suoi nemici è imprudente.
Tanto più che chi va in soccorso dei terroristi è IHH, cioè un gruppo terroristico, come spiega Fiamma Nirenstein nel suo articolo.
Il minimo che dovevano aspettarsi quelli della Freedom Flotilla era una raffica di mitra, viceversa sono andati avanti con una tranquillità ai limiti dell’incoscienza: ovvio non abbiano trovato un sorridente comitato di accoglienza.
Israele è circondata da Paesi più o meno islamici che non gli riconosco il diritto di esistere e meditano (vedi l’Iran) di trasformarli in un cumulo di detriti mediante bomba atomica. Non è un sogno: è un piano.
Basti pensare che nelle carte geografiche mediorentali non c’è neppure traccia dell’odiato nemico.
Ebbene, se la situazione è questa, è da irresponsabili recarsi in determinate zone facendo il tifo per chi tenta di cancellare la patria degli ebrei.
I quali si difendono con i denti, e non hanno tempo per convincere con le buone i pacifisti a rinunciare alle loro crociere finalizzate a sostenere Hamas, una banda di feroci assassini.
Sparare è più persuasivo.
Per concludere il discorso con una semplificazione polemica, desideriamo ricordare ai signori pacifisti che, se agiscono da supporto ai terroristi, tanto pacifisti non sono, semmai complici dei seminatori di morte.
E che la regola madre è quella di occuparsi dei casi propri; così che non ci sarebbero più le guerre e nemmeno i pacifisti.”

Questa è la situazione della stampa italiana.
Questo è quello che scrive in prima pagina un’individuo radiato dall’albo dei giornalisti  nel 2000 per essersi divertito a pubblicare incularelle di neonati a tutta pagina (provvedimento poi annullato e convertito in censura) e sospeso dall’ordine dei giornalisti per sei mesi in seguito agli attacchi a Boffo e alla pubblicazione degli articoli del suo socio Farina, già radiato dall’albo.

Un uomo condannato dal tribunale di Monza nel giugno 1997 per diffamazione a mezzo stampa, nel gennaio 2003 dal tribunale di Roma per aver manipolato le affermazioni di de gregori in riferimento a Togliatti e al PCI, nel febbraio del 2006 ad un anno e sei mesi di carcere con l’accusa di diffamazione e nel 2007, dalla corte di cassazione sempre per il reato di diffamazione.

Un uomo che, in seguito a tutti questi casi, è stato chiamato – per premio probabilmente – a tornare a dirigere il settimanale di famiglia del nostro presidente del consiglio e sul quale scrive ciò che avete appena letto.
Affermazioni di una tale pericolosità e un uso così criminale del mezzo che rappresentano, da sole, l’attuale specchio della maggioranza dell’informazione in Italia.
In quella manciata di righe la miglior rappresentazione del cancro che ci affligge.
In quella manciata di righe la morte del concetto stesso di giornalismo che nessuna chemio è in grado di curare.

C’è tutto.

Il titolo da affabulatore circense, per indignare una parte e fomentare l’altra.
Di una violenza giornalistica rara, con i complimenti rivolti a chi uccide. Con il plauso a chi ha ucciso.
Un articolo di propaganda becera e insulsa che rappresenta una situazione che ha poco a che fare con la realtà dei fatti inventando una rete terroristica in grado di terrorizzare Israele (quando il totale delle vittime nel loro conflitto vede primeggiare i cadaveri palestinesi in una imbarazzante percentuale 6 volte superiore)
Una conclusione mafiosa in cui la morale è quella di farsi i cazzi propri, pena la morte.

E allora, Feltri, se come dici tu, fosse vero che ha fatto bene Israele a sparare per proteggere la propria terra
FARA’ BENE IL PRIMO CHE SPARERA’ per riprendersi la dignità di un giornalismo che era il fiore all’occhiello della nostra nazione.
Che il vostro dovere dovrebbe essere informare, accrescere le coscienze e non propagandare il vostro teatrino di pupazzi.

E impara dalla parole di chi metteva sullo stesso piano le sue sconfitte e le sue vittorie:

« Quando è uscito “Storia di un impiegato” avrei voluto bruciarlo. Era la prima volta che mi dichiaravo politicamente e so di aver usato un linguaggio troppo oscuro, difficile. L’idea del disco era affascinante. Dare del sessantotto una lettura poetica, e invece è venuto fuori un disco politico. E ho fatto l’unica cosa che non avrei mai voluto fare: spiegare alla gente come comportarsi. »

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