Draquila 2: prime indiscrezioni.

8 luglio 2010 da Mauro

Sono appena iniziate le riprese di quello che viene già annunciato come il film più atteso dai tempi del suo illustre precedente, quel Draquila, da tempo recensito su queste pagine.

Se il primo puntava tutto sulla geniale intuizione di accostare il film di genere catastrofico (si ipotizzava il crollo, causa terremoto, di un’intera città) ai giochi di potere tipici della terapia della shock e agli scandali di un premier talmente caricaturale da non risultare mai completamente credibile (chi crederebbe che in uno stato democratico, simili personaggi d’operetta possano ergersi al di sopra di ogni legge?), con questo secondo episodio, come spesso accade nei sequel, si preme decisamente sul pedale dell’acceleratore.

Il governo lucrava sulla distruzione della città? Bene.
Non resta altra soluzione che alzare la voce e marciare fuori dai confini prestabiliti.
Fuori dalle gabbie, dalla città al mondo.

Dai primi video che circolano in rete

si intuisce che un esercito composto da 5000 spietati zombie terremotati metterà sotto assedio la capitale pur di ottenere giustizia e per quanto riusciamo a capire dai materiali trafugati sul set:

ci dobbiamo aspettare anche una decisa virata sull’action.
Sembra persino che gli eventi del film verranno raccontati in tempo reale dai tg nazionali nelle pause tra un servizio sull’unghia incarnita dell’alluce di Belen e le reazioni indignate del parlamento in seguito alla visione dell’unghia incarnita dell’alluce di Belen.

Se gli Zombie Homeless riusciranno ad ottenere quello che è loro per DIRITTO non c’è dato di saperlo e per il momento…  massimo riserbo sulla trama.

Ma qualcosa in più può dircela quella che sembra essere la frase di lancio di questo secondo film e che riportiamo qui in anteprima assoluta:

“Ogni corda, a forza di tirarla, prima o poi si spezza”.

Parola di Piero.

6 luglio 2010 da Mauro

I Litfiba si sono riuniti.
Il grande capo Estiqaatsi scaglia il suo esercito di uruk-hai a pronunciare in unanime coro  il suo nome affinché venga ascoltato dalle alpi alle piramidi e dal manzanarre al reno.
Poi si ferma e vede che uscito l’album live della reunion:

Stato Libero di Litfiba.

Ride. Non lo comprerà mai.
Poi Marianna da Fnac gli fa sentire Dio, gli fa sentire Paname, gli fa sentire Bambino.

E’ che a lui i Litfiba, fino a Pirata, gli sono sempre piaciuti.
E per quanto da anni i veri membri del gruppo siamo più morti di Paul McCartney e siano stati sostituiti da cloni malvagi con il corpo che cambia nella forma e nel colore, ha un sussulto ad ascoltare quelle canzoni.

Un sussultino dai, non esageriamo, ma quel tanto che valga la fatica di convincere un mulo a trasportargli sulla soma il doppio disco dell’esibizione.

Ascolta prima i tre pezzi di cui sopra.
Dio.
Paname.
E poi arriva Bambino.
E poco prima di Bambino, la voce di Pelù che presenta il pezzo.

Occhi sgranati in preda al timore che Piero parli, introduca anche altri pezzi.
La suspance “Gesù bambino ti prego fa che non continui, fa che non dica altro ti pregotipregotiprego, Bambino Gesù fa che taccia sempre più”

L’orrore nello scoprire che quel cazzo di uomo pelosissimo NON TACE MAI.

Parla talmente tanto dicendo talmente poco, che il frastuono del vuoto pneumatico generato dai concetti espressi copre ogni suono.
Per cui, ad oggi, non so dirvi come siano le canzoni in questa versione live, ma voglio regalarvi qualche momento di splendore, riportandovi

FEDELMENTE

TUTTA

LA PAROLA

DI

PIERO

“BBBBUUEnvenuti al concerto per gli spirUiti libUeri!
BBBBUUEnvenuti al concerto per le tUeste pensUanti!
BBBBUUEnvenuti al concerto per chi è contro i mUezzi di distraziUone di massa!
BBBBUUEEnvenuti al concerto per il popolo di intUernet!
BBBBUUEEnvenuti nello stUato libero di litfUUiba!!!!!”

e parte il concerto. E io dovrei sentirmi spirito libero, testa pensante, contro i mezzi di distrazione di massa,  parte del “popolo di internet” (Eh?! ma che cazzo sta dicendo?!). Se ce l’ho, posso proseguire.
Se ce l’hai, puoi proseguire.
Anche perchè poco dopo ci rassicura:

“Perché qui questa sera niente è PRO PRO PROIBITOOOOO!”

Ce l’aspettavamo. Quello che invece colpisce ai reni è l’attualizzazione della strofa
“mi sento tradito
se ti spari le pere”

che già non brillava per raffinatezza ma che, in versione gggggiovane amico di maria delitfiba diventa:

“mi sento tradito
se ti cali le BBBBOMBE!!!”

Qui, se ti stai facendo la doccia, l’acqua si fredda improvvisamente, lo shampoo ti cola sugli occhi e ti senti solo e privo d’aiuto.

Poi arriva quello che, mi si dice, sia il classico saluto live:

“Firenzeeeee saluto a cinque, saluto a tre, saluto a uno.”

In cui immagino che Piero rispettivamente apra la mano, faccia le corna, mostri il dito. Dica “cacca”, mostri il popò. Trasgressivamente. Oltraggiosamente.

Proseguiamo con un onesto:

“GrUazie ragazzi, grUazie d’esser venuti.”

Ed arriviamo alla prima frase shock della serata. Al primo messaggio forte:

“La prossima è una canzone che vogliamo dedicare a quel bambino che c’è dentro ognuno di noi e in particolare a quel bambino che c’è dentro il papa RUatzinger.”

(potete godervela nel link che ho messo prima alla versione live di Bambino, la seconda presente in questo post)

Che se avesse un intento provocatorio potrebbe anche essere divertente il giochino del bimbo con il papa intorno.
In realtà no, Piero si rivolge proprio al bambino, alla parte pura, che esiste nel papa Ratzinger.

Dedica quindi alla parte buona del papa la mia canzone preferita.

A questo punto diventa Don Pelù (baciamo le mani) e prosegue con un delirio orgiastico/ecclesiale.

” E vUola in alto fino a deus!”

“In questa serata litugica, in questa serata ecumenica, siete vUoi prUonti a libUerare definitivamente il vUostro SpiritUo?”

Non manca il momento pellerossa, con qualche problemino di rimando geografico che comunque ci sta sempre bene:

“RisUerva indUiana della toscana, su con la testa! AHU!AHU!AHU!AHU!AHU!AHU!AHU!”

Poi, il messaggio politico. Polemico.
La posizione scomoda:

“Ci stUanno facendo decine e decine di prUomesse! (boato di applausi del pubblico che aspettava il messaggio e sente che sta arrivando)
Più di quante io riUesca a ricordare! (boato di applausi del pubblico che ha capito di essere  entrati nel messaggio)
Ma sUolamente una la stanno mantenendo! (boato di applausi del pubblico che gode nell’essere nel vivo del messaggio)
C’avevano prUomesso di creare una nuova fUorma di libertà! (boato di applausi del pubblico che ha capito di essere nella fase conclusiva del messaggio: quella schietta, di polso)
E con ogni mUezzo legale ed illegale se la stanno creando! (boato di applausi del pubblico che è appagato per la difficile arringa del loro guru!)
Tutta per loro! (relax del pubblico, pienamente soddisfatto dell’esperienza appena vissuta)”

Dopo un po’, quasi a sorpresa arriva questa chicca:

“Niente di ciò che appUare è come sUembra.”

Che a cercare di tirarne fuori qualcosa di realmente logico si abbraccia la follia.

“Andiamo con un bel blues ragazzi, cUon un bel blues…”

Per poi quietare anche le esigenze del pubblico più pecoreccio

“MUomento liturgico – mUomento li TURGIDO”

Ma non basta, per placare l’orgasmo catecumenale ci vuole:

“In Ualto le nostre fUedi!”

“Ego coniungo vos in sempiterno et etTTTerno mUatTTTrimonio, in nomine PATTRIEEE”

Poi, ormai nel vivo della provocazione, incita i propri fedeli:

“SUiete stanchi rUagazziiiii? E allora adesso mi fUate vedere di quanto riuscite ad alzare i vostri pesanti culi da terra!!!!”

Per poi concedersi un momento di riflessione, con la voce da momento di riflessione:

“Una cUanzone molto importante la prUossima, perché parla di quella pUiccola parte scura che c’è dentro di noi e che si chiama pazzia.”

A questo punto Don Piero capisce che è il momento di una nuova posizione forte contro “il popolo della tv” (nemico giurato del “popolo di internet” di cui sopra)

“Con i tempi che cUorrono, con tutte le puttanate che sentiamo in televisione, c’è solo una risposta: MEGLIO MALEDETTI CHE RIMBAMBITI!!!

Il pubblico è in deliro. Quanta violenza rock. Quanto nichilismo Punk. Quanta maledizione in questo concerto. Che matto questo Don Piero!

E lui, la star, vedendo i suoi fedeli brulicare e pendere dalla sua bocca… gigioneggia e ci lancia nel mistero:

“VUiviamo in un mUondo di peccatori, viviamo in un mondo di tentazioni, fratelli, sorelle, sUalvate la vostra anima, chi di voi oggi non ha pUeccato almeno con il pensiero? Almeno una vUolta?

Vedi? Ci sono più anime pulite qui che in tutto …PIIIIIII!!!!!

C’è realmente un forte suono di censura.
Come se Piero avesse bestemmiato.
Come se avesse inveito contro il governo italiano.
Ma cosa può aver detto da aver giustificato il suono censorio?
“Ci sono più anime pulite qui che in tutto il porcoidNON credo.
Ci sono più anime pulite qui che in tutto il paradiso”?
E non si può dire? In un concerto rock (già chiaramente oltraggioso e provocatorio) questa frase non può venire detta?
E allora non sarebbe stato meglio tenerla fuori dall’incisione per il cd? Meglio il suonarello della parolaccia!

Poi un ultimo momento di quelli indescrivibili se non li si ascolta.
Appena cantata la strofa “mama mia el diablo” e al posto del “sei! sei! sei!” che ci si aspetta da copione, Piero stupisce tutti urlando “RA – ZZZI – NGHE’!!!” con la stessa metrica che andava usata per il testo originale. Immagino sempre riferendosi al papa.

Poi entriamo nell’area dei saluti. Piero si riposa, abbassa il livello di rabbia per lanciare un messaggio positivo:

“La prUossima canzone è un augurio, che la strada nostra, che la strUada di tutti sia lunga e dritta, e che la strada dei litfiba non finisca mai, quindi buon viaggio a tutti.”

E il saluto finale:

“Firenzeeeeeeeeee! GrUazie mille, buonanotte alla prUossima, ci rivediUamo nello StUato libero di Litfiibaaaaaaaa!”

Questo è tutto quello che si può dire sulla reunion dei Litfiba e sul loro evento live.

Anzi no, c’è un’ultima cosa.
Una volta un saggio disse che è orribile vedere il cantante di un gruppo rock parlare col pubblico.
Perchè è segno che ha bisogno di riprendere fiato.

Ecco, quel saggio era VERAMENTE saggio.

Ti chiami Quentin Dupieux e da ragazzino ti diverti a fare un sacco di foto che in realtà userai soprattutto per montarle insieme alle canzoncine che ti piace inventare.
Vuoi fare il cinema, vuoi fare musica, vuoi fare videoarte, non lo sai neanche tu chiaramente cosa, ma sai che vuoi fare.

Studi, fai corsi e ricorsi, testi, shperimenti di qua, shperimenti di là, poi in due ore di un pomeriggio del 1999 tiri fuori questo:

e la tua vita cambia. Cambi persino nome, o te ne aggiungi uno, vedi tu.
Ti fai chiamare come la storpiatura di “uccello”: Mr Oizo.

La Levi’s nasa il successo commerciale, si appropria del tuo ossessivo motivetto e del personaggio che hai inventato.

Sei sveglio, decidi di girarle tutte tu le pubblicità (ma dopotutto stai crescendo alla fabbrica di Gondry quindi impari dal migliore dei padri).
Tiri fuori questa robina

Pubblichi il tuo primo album che oltre a vendere uno sfracelo di copie, t’impone come guru dell’elettro house francese, e torni al tuo primo amore: immagini e musica:

m-seq

A questo punto sei pronto, anzi, ti senti pronto e realizzi il tuo primo film. Siamo nel 2001. Sei talmente trasgressivo da intitolarlo

NONFILM

e racconti la storia di un giovane attore che improvvisamente si sveglia nel bel mezzo di un set cinematografico in cui lui è il solo a non capire cosa stia succedendo. Dopo un po’ lo stesso attore uccide, accidentalmente, l’equipe tecnica ma, incuranti dell’incidente, i sopravvissuti decidono di continuare a girare il film, senza sceneggiatura e senza una videocamera. E tutto questo li porterà al disastro.
Parola di Imdb.
In tutto questo, qualcosa c’è. Il french touch c’è.

Nel 2004 torni col tuo nuovo progetto musicale, per un album definito INASCOLTABILE dalla stessa casa discografica, e giri questo videoclip

Stunt

che trasuda una genuina voglia di farti gonfiarti di botte visto il tuo mangiaranesco sottolineare che grazie a sta roba ci scopi. Ci fai i soldi, e ci scopi.
E comunque sia, cazzo, è faticosissimo ammetterlo, ma qualcosa c’è.

Nel 2007 sei pronto con il tuo nuovo film.

Steak

Una recensione su Imdb ne parla così: “The story line is very minimal.”
Bene. Scopriamo la trama:  Due sfigati, Eric e Ramzy vogliono entrare a far parte del gruppo più cool della scuola: i Chivers. Un gruppo di soli maschi che punta alla perfezione tramite l’utilizzo di chirurgia plastica, ragazze superficiali e il divieto di fumare. Stop.
Non c’è altro se non una continua sequenza di tentativi fallimentari dei due ragazzi per entrare nel gruppo senza riuscirci.
Niente, quantomeno, che possa minimamente rallegrare i sogni eterni di John Landis.
Più che altro di turbarli.

Ma guardando il trailer ecco che, ancora, cazzo qualcosa c’è:

e anche in questo estratto:

Niente di trascendentale, niente che ti faccia gridare al miracolo, niente di neanche lontanamente paragonabile a quelli che sono i tuoi maestri… ma qualcosina che ti faccia dire, vedi, sto coglioncello di Mr Oizo, continua a cazzeggiare ma le sue cose potrebbero andare benissimo come tappezzeria videomusicale alla mia festa di compleanno, e farmi sentire uno cazzuto!

E poi arriva RUBBER.

RUBBER presentato all’ultimo festival di Cannes.

teaser trailer

(praticamente, una dichiarazione d’amore a Skiribilla)

primo estratto

In Rubber decidi di raccontare la storia di uno pneumatico psicotico e senziente che, grazie ai suoi poteri ESP, se ne va in giro a uccidere la gente, colpevole di averla abbandonata ai lati della strada.
Non la gente normale però, bensì gli gli stessi attori e autori del film più i malcapitati spettatori che assistono alle riprese.
Ritorno al metacinema. Alle tematiche che conosci bene.

Ecco, a questo punto, Quentin, io ti stimo.
Non per quello che fai, ma per quello che sei.
E sei di coccio.
E io penso, sinceramente, che è su di un artistoide di coccio, che senza pensarci troppo crea un beat milionario, un pupazzo giallo che sbatte la testa, videoclip in cui saltella, film con attori che non sanno di esserlo, sceneggiature che non vengono scritte, cricche di rifatti e  pneumatici assassini, che andrebbe realizzato un film.
Sulle dinamiche.
Sui momenti.
Sulle persone.
Sulla persona.

Cazzo quanto vorrei raccontare soltanto storie di persone.

Il 16 giugno mi arriva uno strano commento a questo mio post.

La signorinella Che Qui Chiameremo Simbolicamente – in seguito C.Q.C.S. – “Maura Bussi” decide di dire la sua postandomi – nella sua interezza – la recensione del libro (C.Q.C.S.) Il Kinder Paradiso Perduto dello scrittore (C.Q.C.S.) Carmelo Male.

“Oibò!” Penso. “Si sarà sbagliata!”

Googlo un po’ la tizia in questione e scopro che è docente, giornalista e scrittrice.

E me la dimentico fino a ieri notte quando decido di mandarle questa mail:

—– Original Message —–

From: mauro uzzeo

To: Bussi.Maura@tiscali.it

Sent: Friday, July 02, 2010 1:34 AM

Subject: riguardo la tua recensione de Il paradiso perduto

Ciao Maura,

scusa il disturbo, non so se sai che mi è arrivata, come commento al mio blog www.nontistavocercando.it, la tua recensione del libro “Il Kinder paradiso perduto”, che ti riporto qui sotto:

[ riporto nella sua interezza la recensione chilometrica ]

Ne sei al corrente?

Mauro

Aspetto, aspettino e mi arriva la sua risposta (voi avrete nel frattempo notato come la mia gentilezza abbia agevolmente nascosto ogni riferimento a cose, persone e spam nel suo modo di fare):

Il giorno 02/lug/2010, alle ore 08.07, Maura Bussi ha scritto:

Grazie Mauro,

potresti pubblicarla?

insieme con questo link www.youtube.com/maurabussi

ciao

Maura Bussi

Ora, io solitamente davanti alla stravaganza di chi ostenta una notevole faccia da culo mi inchino sempre e faccio, con gioia, quello che mi viene chiesto (adoro quelli che chiedono senza porsi il minimo problema).
Però ero veramente curioso. Volevo capire come cavolo pensava di sponsorizzarsi, la tipa, mettendo una sua recensione in un mio post che niente ha a che fare con l’argomento da lei trattato.
Senza considerare la meraviglia del chiedermi di pubblicare anche il suo link su youtube.
Quindi prontamente le rispondo:

—– Original Message —–

From: mauro uzzeo

To: maura bussi

Sent: Friday, July 02, 2010 12:14 PM

Subject: Re: riguardo la tua recensione de Il Kinder paradiso perduto

Ciao Maura!

Solo una domanda: come mai vorresti che la pubblicassi sul mio sito? Che c’entra?

Mi incuriosisce veramente.

Ciao e buona giornata!

Mauro

A questo punto, Maura che nella vita è una concreta, non ha bisogno di ulteriori chiacchiere e taglia la testa al toro:


Ciao Mauro,

se non ti fa piacere pubblicarla, pazienza.

Volevo avere un contatto e una conoscenza in più.

Fai come credi.

ciao e a presto,

Maura

E qui mi ha annichilito.
Non ho trovato parole per risponderle e sono rimasto con lo sguardo fisso davanti allo schermo ripetendomi l’ohm: “ma… ma…. ma….”

S’è incazzata.
Lei che mi ha inviato la sua recensione per avere “un contatto e una conoscenza in più” s’è sentita tradita.
E mi ha lasciato solo e schiavo del mio libero arbitrio.

Ma non ha chiuso del tutto il portone, confido in quel “ciao e a presto” che finalmente, un giorno, ci porterà vicini a quel contatto. A quella conoscenza.

Quel giorno mi troverai lì, Maura, e insieme, grideremo al mondo:

Si, ok, sto ancora lavorando…

2 luglio 2010 da Mauro

… e oggi è diventato ieri da almeno mezz’ora.

Però ho la fortuna di collaborare con Silvia Zappalà che, nei suoi valenti panni di assistente di produzione… invece di farmi avere il solito, noiosissimo dvd con le sequenze del film da revisionare entro la notte, mi fa trovare questo:

Ed è quel poco che fa scorrere tutto più semplicemente.

Silvia dà vita alle cose.
E’ il suo superpotere.

Luglio… ce l’hai fatta.

1 luglio 2010 da Mauro

Ben arrivato.
Ora datti una sciacquata e parliamone.

Tu sei finito e io sto ancora qua.

Il problema di Kevin Smith è che ha troppi amici.
E che ne ha veramente pochi.

Troppi che gli permettono di continuare a fare il regista, a livelli sempre più alti.
Pochi che gli dicano come stanno in realtà le cose.

E le cose stanno che Kevin Smith NON DEVE CONTINUARE A CREDERSI UN REGISTA.
Kevin Smith non conosce nulla di quelle che sono le regole del linguaggio cinema e a differenza di un cantante poco dotato non riesce a fare di necessità virtù e condisce i suoi film di insopportabili scambi che a stento sopravvivono ai buchi neri della trama – così impegnati a fagocitare il ritmo e a defecarne prodotti poco più che amatoriali ma ben impacchettati dal cinema mainstream.

Kevin Smith sei stato Clerks. E dio o chi per lui te ne renda per sempre merito.
Nel tuo film d’esordio hai raccontato una generazione rendendo forma la tecnica (il cantante poco dotato che fa di necessità virtù) e hai dato voce a un modo di parlare che ha segnato zillioni di sceneggiatori.
Hai reso cool ciò che cool non era, portando il vessillo di alfiere dei nerd. Hai aperto le gabbie emozionando. Sei stato diretto, sei stato fresco, sei stato sincero.

Hai continuato con Mallrats e le cose hanno iniziato a scricchiolare.
Ok, ci sono i siparietti, ok il fumettomondo ti ha eretto a manifesto, ok ci sono le intuizioni (poche) ma il gioco già mostra la corda.
I mezzi a disposizione per fare un film “vero” hanno iniziato a sussurrare che, se non completamente nudo, il re stava quantomeno in braghe di tela.
Regia da programma televisivo pomeridiano, ritmo assente, fotografia neanche in cartolina. Un film di cui si ricordano alcuni momenti volontariamente cult ma che ci si vergognerebbe a mostrare a chiunque non faccia parte della nostra strettissima schiera d’amici.

Con In cerca di Amy sei riuscito a centrare qualche bersaglio in più e hai capito che il fumettomondo non può essere significato e significante del tuo narrare per cui l’hai utilizzato come contesto per puntare alla storia d’ammmore.
Ha funzionato.
Il sei l’hai portato a casa senza trascurare il cult che ormai ha iniziato a seguirti trattandoti come un vate.

Da questo momento in poi: il baratro.

Dogma. Film culto in Italia per la scomunica clericale dei distributori che ha impedito agli abitanti dello stivale di vederlo fino al 2003 (la pellicola è del 1999), doveva essere il kolossal di Smith, quello con protagonisti gli amici ormai diventati star di Hollywood, quello col feroce attacco alle ambiguità della religione cattolica, quello con le velleità.
Cos’è invece Dogma?
Un film in cui l’incapacità registica e di gestione del set di Smith si rende manifesta in tutto il suo splendore. Buchi di campo, vuoti narrativi, mal gestione dei ruoli (qui, per la prima volta, Smith tenta il giochino che riproporrà anche in Poliziotti fuori, con gli stacchi sui cattivi in cui li percepiamo come tali solo grazie all’ utilizzo della colonna sonora “da cattivi”) fanno bocciare il film per la critica di tutto il mondo, lasciando insoddisfatti persino i fan più accorati.

A questo punto, giustamente, Smith decide di prendersi una pausa dal cinema e inizia a lavorare nei fumetti.
Per la sua piccola etichetta indipendente realizza varie storie legate ai personaggi del suo mondo e viene chiamato a scrivere per mamma Marvel.
Il Kevin fumettaro porta a casa buoni risultati, soprattutto per la totale libertà concessagli in virtù dell’immenso hype generato nel fandom.
Il suo storyarc per il reboot di Daredevil vende l’ira di una decida di dei e poco importa se rappresenta uno scimmiottamento dell’operato di Miller (CHI non ha scimmiottato Miller su Daredevil?!) e se si fa notare per una delle morti più inutili della storia dei comics: Guardian Devil esce ed è già culto.

A questo punto, nel suo ruolo di Dio delle Convention e di Wizard decide di tornare al cinema per un’opera di totale fan service: Jay & Silent Bob… fermate Hollywood!
Il film è un piccolo bignami di quanto il termine postmoderno possa arrivare ad essere lesivo in ambito comunicativo ma si lascia apprezzare per la totale rinuncia di uno “scopo alto”.
Kevin Smith con questo film gioca, realizza una raccolta di sketch a uso e consumo della platea di youtube e i cinema se ne accorgono subito, e tra la fine del primo e del secondo tempo, lo ritirano da tutte le sale.

Ci si aspetta un addio dalle scene. Il fumettaro Smith, al momento è più accreditato del regista Smith, al punto di venire conteso dalle due maggiori case editrici americane. Il risultato è che vincono entrambe e lo tengono lontano da Superman Returns.

Ma nel 2004, grazie all’amicizia con Ben Affleck, arriva Jersey Girl, film utilizzato dalla maggior parte dei suoi fan per rimandare l’eiaculazione di almeno una decina di minuti durante un rapporto sessuale (“pensa a Jersey Girl, pensa a Jersey Girl!”).

Smith a questo punto capisce. Capisce che lui non può raccontare quel tipo di storie. Capisce che tutta questa lunga parentesi gli è servita soltanto per comprendere a pieno che lui è e può essere soltanto quello di Clerks.
Quindi gira Clerks 2.

Mapporcapaletta Kevin! No!
Ce l’avevi fatta, eri a un passo dalla soluzione e… hai scelto la busta sbagliata!
Se nei film precedenti s’era arrivati allo zero filmico, Clerks 2 entra di diritto nei territori dell’oltraggio.
Per quanto a molti dei miei amichelli il film sia piaciuto e il pubblico abbia dato riscontri positivi, lo trovo un film sbagliato e annacquato da trovate costruite a tavolino, arrese alle aspettative dei fan, che scompaiono in paragone con l’originale (basta confrontare l’analisi dei capitoli di star wars con gli appalti degli operai per la morte nera, con quella che paragona le due trilogie più citate degli ultimi anni), privo di ritmo e che perde nella sfida più grande che s’era prefissato: non racconta la generazione del decennio successivo all’originale.
Clerks 2 rappresenta la resa di Kevin Smith come regista condannato dalla vita non solo a non poter dire altro, ma a non riuscir neanche più a dirlo con la giusta freschezza e lucidità.

Mentre Zack e Miri girano il porno della loro vita, io ero troppo lontano per guardarlo (strano, visto l’utilizzo della parola porno nel titolo) ma lui mi dice che vale la pena, che c’è un ritorno a quella freschezza che sembrava persa. Lo guarderò.

Poi, dalle amicizie scaturite sul set di Die Hard 4, arriva la proposta della vita: “Poliziotti fuori”, commedia hollywoodiana mainstream con Bruce Willis, Tracy Morgan e Seann William Scott scritto dai fratelli Cullen.

E Kevin Smith dirige il peggior film della sua vita.

Dietro a uno script banale e delirante (le trame procedono grazie a coincidenze tali da prendere la sospensione dell’incredulità e offrirgli un happy meal poco più in là) Poliziotti fuori è dilaniato dall’esigenza di arrivare ad una fetta di pubblico più grossa possibile. Le pochissime intuizioni divertenti diventano paccottiglia per la massa più generalista di sempre.
Un esempio?
Tracy Morgan decide di interrogare un sospetto utilizzando la tecnica dell’hommage, e lo fa parlando solo con citazioni di altri film. Il tutto viene girato in campo e controcampo con Bruce Willis che assiste all’interrogatorio rivelando i titoli dei film per chi non riuscisse a coglierli (“A-ah maddai, ma quello è Commando!”).
E stiamo parlando del momento più divertente. Il resto è un susseguirsi di trame e sottotrame che zero hanno a che fare con la sinossi generale distruggendo il ritmo e portando l’attenzione dello spettatore a cercare la data di scadenza sulla busta dei popcorn.
Kevin Smith ci tiene ad essere moderno, quindi il ladro d’appartamenti non è un normale ladro, ma uno che pratica parkour.
Ora, dopo il tottilione di video postati su youtube di questo livello, dopo lo sdoganamento di Casino Royale, tu non puoi, nel 2010, girare questo e pretendere di ottenere qualcosa di diverso da una fragorosa risata.

Il buddy movie è ad oggi il genere più codificato di Hollywood, quello che gli viene fuori ad occhi chiusi (F8 = Buddy movie), Kevin Smith prende tutti i suoi stilemi e li gestisce così male da mandarli a farsi fottere.
Il rapporto tra i due protagonisti? Ingestito e inspiegabile (più coerente quello tra Willis e Earl senza baffi). La rivalsa? Negata.
Gli inseguimenti? Ci sono. Purtroppo ci sono.
E Michael Bay è lì che non se ne fa una ragione.
Le sparatorie ci sono? Si.
E Michael Mann sta ancora tentando di non perderci il sonno.
I tarantinisimi ci sono? Si, e quanto arrivate a questa sequenza:

alzatevi ed uscite dalla sala.
Innanzitutto perchè non siete davanti a niente di paragonabile a questo (per quanto Smith strizzi continuamente l’occhio) e soprattutto perchè se questo più a lungo dura più è divertente, la sequenza con quei tre in macchina, più la guarderete e più vi porterà a inventare le bestemmie più colorite della vostra vita.

I minuti si trascinano fino allo scontro finale e all’happy ending che, per una volta, consiste nel lasciare la sala e andarsi a godere le gioie del mondo esterno.

E in tutto questo la domanda che mi frullava per la testa durante tutta la visione era quella che ho proposto a inizio recensione: Kevin Smith ha amici?
Ha al suo fianco qualcuno che gli ha detto che questo film andava fermato?
Che era improponibile sotto tutti i punti di vista?
In tutta Hollywood non esisteva un aiutoregista capace di girare quelle sequenze? Una seconda unità che portasse a casa almeno il minimo sindacabile che dovrebbe essere garantito?
Evidentemente no.

In definitinva, film da evitare come la peste, che segna la fine della credibilità del Kevin Smith regista e che si contraddistingue solo per il fatto che, COMUNQUE, a Raffaele piacerà.
Per questo almeno una stelletta se la merita.

Stellette? Una, appunto.

EDIT

A Raffo non è piaciuto. Tolgo la stelletta.

Stellette? Zero.

Caro Giugno
la mia testa è piena.

I cassetti sono tutti presi, rubati, occupati e prenotati come i fornetti del Verano.
Ci sono tre film, serie tv, spot, videoclip, fumetti, libri, storie da fare, storie da sistemare, storie da buttare, storie da revisionare, storie da accettare per quello che sono.

Storie da vivere?
Non scherziamo.

Quelli come me vivono nell’illusione che vita sia quello che giorno dopo giorno inventano per sé stessi.
Quelli come me amano dire che adorano la vita come se sapessero veramente che sapore ha.
Quelli come me raccontano di averla azzannata, di averle fatto un culo così senza pagarne il minimo prezzo.
Quelli come me si riempiono la bocca di figli da avere, di viaggi da fare, di case da piantare e alberi da costruire.

Quelli come me credono che quello che possono immaginare per i loro personaggi sia realizzabile anche per loro stessi.
Quelli come me fanno promesse false come quei marinai che fanno a meno della gente e vanno a prendersi l’amore dentro un bar.

Quelli come me sono entomologi che si spacciano per animali sociali nascondendo male le loro lenti.
Quelli come me fanno sacrifici diretti soltanto a quietare la fame del demone delle voci che gli parla dentro.
Quelli come me ascoltano e osservano talmente tanto da avere occhi e orecchie intasate per chiunque altro che non sia loro stessi.
Quelli come me si danno dal primo momento soltanto per distrarre dal fatto che difficilmente si daranno mai.
Quelli come me hanno in testa solo il loro obiettivo attorno il quale ruota il destino delle persone che decidono di restarci vicini.
Quelli come me sanno che quelle persone ciclicamente verrano sostituite da altre, non per mancanza di stimoli, ma perché a lungo andare nessuna finzione rimane reale.
Quelli come me parlano di lavoro, lavoro, lavoro quando stanno solo e soltanto parlando del loro bisogno.
Quelli come me sono nati e cresciuti in uno stato che gli permette di nascondersi dietro l’immenso alibi della gavetta infinita. Del sei così giovane, non bruciare le tappe.
Quelli come me guardano dall’alto verso il basso perchè sanno che se restassero coi piedi per terra perderebbero qualsiasi tipo di confronto, trasformandosi in cenere.
Quelli come me non ti possono offrire una famiglia felice, una casa al mare, quella normalità che per te vale.

Quelli come me sono onnivori schiavi del rimpianto. Per sorridere devono sbranare tutto.
Quelli come me sono banditori da circo che vi ammaliano con lucine e fenomeni da baraccone. Vietato chiedere altro.
Quelli come me vi intrattengono come animatori con i loro numeri di magia e spacciano l’ipnosi per innamoramento.

Quelli come me vi invidiano e per questo vi considerano acerbi.

Quelli come me dicono che vorrebbero. Ma se volessero, lo farebbero.

Quelli come voi, di quelli come me, non dovrebbero fidarsi.
Mia nonna lo dice sempre.


Caro Giugno 2010,
mi stai spezzando le gambe.

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