Dopo la doccia, la colazione.
Indovinate di quale libreria stiamo parlando?
Secondo me ce la fate senza neanche leggere in alto.
E tranquilli, nel momento in cui metteranno un libro nella vetrina principale sarete i primi ad essere avvisati!
(qui la puntata precedente)
La congiura dei venduti.
Si stava come d’autunno all’Hardrock Cafè e si discuteva delle differenze tra la musica percepita e quella reale.
Per Roberto, ad esempio, i Guns’n’ Roses sono più famosi di Gesù, così come per me i Joy Division sono scritti a chiare lettere all’interno del genoma umano.
Decidiamo quindi di affidarci alla sacralità del venduto che, almeno in termini di fama, dovrebbe essere un chiaro specchio di cosa la massa conosca.
Ci rivolgiamo all’unico vero latore della verità di questa fine di decennio, che ci restituisce questa risposta:
Michael Jackson ci sta. Me lo aspetto.
Gli AC/DC non credevo al secondo posto, ma perché sono ignorante.
I Pink Floyd me lo aspetto.
Meat Loaf.
Bob.
Meat Loaf non me l’aspettavo.
Perché sono ignorante ma anche perché a livello di percezione del pubblico a nessuno (e parlo a ben donde di NESSUNO grazie al mio superpotere di Oggettivare Le Opinioni – come diceva il sommo “e ringraziate che ci sono io che sono una moltitudine!“) verrebbe in mente che Bob Con Le Tettone abbia venduto più dei Beatles e di Madonna.
Madonna che, oltretutto, troviamo abbastanza in basso nella classifica.
Si, dopo Alanis Morissette (????????????) e dopo i Linkin Park (?!?!?!?!?!?!??!?!).
Stupisce oltretutto, la presenza di ben due album dei Backstreet Boys e ZERO dei Take that (direte… “sono inglesi, chiaro!” Ok… e allora come la mettiamo con le Spice Girls, presenti, praticamente, con tutti gli album?)
Ma il Gran Premio degli Inspiegabili spetta assolutamente agli Ace of Base e a Dido, entrambi parecchio sopra a moltissima gente tra cui, il Prince di Purple Rain.
Proprio così. Quelli di ooooldeshivuonz e Dido.
Dido quella famosa perché Eminem ha preso il ritornello di Thank You e l’ha infilato dentro Stan.
Eminem che non compare con nessun album in questa classifica.
Ma ancora non eravamo entrati nel vero incubo.
I SINGOLI.
A questo punto sento il dovere di riportarvi fedelmente la schermata ai-fonica che è apparsa davanti ai nostri occhi:
(chiedo scusa se vi brucio la retina a causa della scarsità dell’immagine ma questo è il massimo che spunta fuori fotografando il cellulare con un altro cellulare!)
Ok, il duetto di Elton John e Lady Diana era comprensibile.
Così come la doppietta di Bing Crosby di Silent Night e White Cristmas.
E’ quello che leggiamo subito sotto che ci fa sputare i nostri Legendary da 14,90 iuri, dritti dritti dentro le cocacole (sia lodato il Re-fill!).
Al sesto posto della classifica mondiale dei singoli, con circa 25milioni di copie vendute… AL BANO & ROMINA POWER.
La loro.
Più di Elvis.
Sopra i Beatles.
Sopra il bianconero forse morto forse no.
Sopra Madonna.
Al Bano & Romina.
Passo una nottata infernale, in cui Gerry Calà mi fa da Virgilio in un girone da cui non riesco ad uscire.
Li sento cantare e li vedo correre al ralenty uno verso l’altro. Vomito nel sonno sperando di morire come Jim Morrison ma niente da fare.
Mi sveglio.
Vado in studio.
Si accorgono che sono nervoso. Guardano tutti verso di me.
Mi chiedono spiegazioni che non voglio dare.
E alla fine cedo.
Dico di aprire la pagina wikipedia dedicata ai singoli più venduti. Ed esce questo:
Il malefico duo è scomparso.
Sono stati cancellati.
La mia felicità è talmente tanta che non sento neanche il coro di “A cazzarooooo!” alle mie spalle.
Chissenefotte se non mi credono, ahhahahah, avevo sognato tutto!
Il mondo è ancora quel posto meraviglioso in cui sapevo di vivere.
Ed è continuando a sorridere che dico “ahahahah, ma pensa, l’avranno cancellato dopo essersi resi conto, vedete, qui sul cellulare ieri c’erano, c’ho ancora la pagina carica, vedete? Aspettate che ora la aggiorno così finalmente vedo la classifica reale!”
La aggiorno.
Sono ancora lì.
SONO ANCORA LI’.
Li fotografo per farlo vedere a tutti.
Nessuno li ha cancellati, nessuno li ha schiodati da quella solida posizione. Scappo sentendo le risate distorte dei miei colleghi, sicuramente vittima di una congiura!
Aiutatemi, ditemi cosa rivelano i vostri browser… o arriverò a pensare che Felicità di Al Bano e Romina sia il sesto album più venduto al mondo solo nella dimensione parallela in cui vive il mio i-phone e in cui presto verrò risucchiato.
Salvatemi.
Inception – Recensione.
Tutto si può dire di Cristopher Nolan tranne che sia un tipo incoerente.
Ai film sulla memoria toglie il ricordo, a quelli sui supereroi toglie lo stupore, a quelli sui prestigiatori toglie la magia e a quello sui sogni, qualsiasi aspetto onirico.
Il termine “sense of wonder” deve causargli così tanti eczemi da averlo completamente abolito dal suo cinema.
E’ come Gotham City diventa Detroit nel Ritorno del Cavaliere Oscuro, così il mondo dei sogni di Inception non è altro che l’EUR con qualche laghetto e una serie di persone che ti guarda male (cosa che infatti, è ampiamente riscontrabile anche all’EUR).
E’ un cinema ipertrofico nella durata, nella messa in scena, nello script e non bastano uno spunto narrativo interessante, una superlativa interpretazione di Di Caprio e una fotografia curata nei minimi dettagli per far finta di nulla.
E’ un cinema faticoso, fatto di informazioni continuamente passate allo spettatore attraverso l’uso della spiegazione, affinché ogni singolo elemento sembri solo apparentemente fuori posto per poi acquisire un ruolo preciso e determinato per far si che tutto torni.
Su questo è ossessivamente incartata la sceneggiatura, sul dire piuttosto che sul mostrare, sul descrivere piuttosto che raccontare, come se l’unica preoccupazione di Nolan fosse al servizio di una storia senza sbavatura alcuna, sacrificando la caratterizzazione di qualsiasi personaggio non sia Di Caprio, pur di mandarla avanti.
Dimenticandosi del tutto dell’aspetto emotivo.
Gelido come non mai, Inception non è quel capolavoro (autoriale ma anche blockbuster) che vuole ossessivamente essere, perchè cade vittima, ironicamente, dello stesso spunto della storia che racconta.
Quando si costringe un sogno nelle mani di un architetto tutto quello che si ottiene è la struttura, tutto quello che si perde è l’emozione.
Per concludere: Nolan, riappropriati di quell’urgenza espressiva che avevi ai tempi di Memento e quando sarai nel tuo studio, chino sulla prossima sceneggiatura, ricordati queste due preziose parole:
anche
meno.
Stellette? 6 (sarebbe veramente ingiusto qualsiasi voto più basso)
Open Cinema.
E’ il titolo del libro a cura di Emiliana De Blasio e Paolo Peverini.
La prima è docente di Media Research alla LUISS Guido Carli di Roma, coordinatrice del Centre for Media and Communication Studios Massimo Baldini. Sociologa della comunicazione, insegna anche Cultural Studies e Teorie dell’Audiance.
Paolo Peverini invece è docente di Semiotica e Semiotica dei media presso la facolta di Scienze Politiche della LUISS di Roma e si occupa di linguaggio videomusicale, fotogiornalismo multimediale e di forme non convenzionali di pubblicità sociale.
Questi due bei personaggi hanno portato a termine un notevole lavoro dedicato ai diversi scenari di visione cinematografica degli ultimi 10 anni.
Un’analisi attenta e scrupolosa sulle metodologie di fruizione, sui linguaggi, sul pubblico, sulle strategie di produzione e distribuzione con un occhio sempre attento al mare magnum di Internet che ha modificato e rinnovato come nessun altro l’approccio al media filmico.
Il tutto condito dagli interventi di personaggi del calibro di
Daniele Luchetti
Massimiliano Bruno
Mimmo Calopresti
Jacopo Capanna
Luigi Cecinelli
Guido Chiesa
Lionello Cerri
Susanna Nicchiarelli
Ivan Silvestrini
Andrea Lazzarin
Alberto Pasquale
Riccardo Tozzi
e
e… ehm…
si, anche del vostro nasone preferito, intervistato tempo fa da Emiliana stessa.
Solo adesso che il libro è nelle mie mani e me lo leggiucchio avidamente posso pienamente rendermi conto di quanto possa essere utile il confronto – per il momento solo letterario – con scuole ed esperienze tanto diverse, volte alla crescita e allo sviluppo dello stesso media.
Ogni intervento è prezioso in quanto portatore sano di un vissuto.
Nessuno di noi espone la verità ma, tutti insieme, ne mostriamo parecchie facce.
Consigliato.
Parecchio.
Ah! la faccia che mostro io NON è ESATTAMENTE quella. Ma ci va vicino.
Come già raccontato qui, la Casini Editore ha realizzato un cofanetto dedicato al maestro Georges Melies dalla divertente formula editoriale: per ricevere il dvd mancante all’interno della confezione bisognava infatti inviare alla casa produttrice i propri dati, previa iscrizione al sito.
A seguito delle numerose lamentele è l’editore stesso a rispondere (qui) spiegando che, proprio grazie alle lamentele degli utenti, è stato immesso sul mercato un secondo cofanetto contenente, non solo tutti i dvd, ma anche un booklet esplicativo dei contenuti e una correzione del problema delle serigrafie stampate sui dvd.
In quelle stesse pagine consigliavo all’editore di prendere provvedimenti più seri riguardo la possibilità dell’incauto acquisto e di tutelare gli acquirenti del primo – lacunoso – cofanetto, portandoli al pari con quelli che hanno comprato la ristampa.
E’ quindi con uno stato d’animo pieno d’aspettative che mi avvento sul pacco arrivatomi stamattina (dopo 36 giorni dall’invio dei miei dati).
la confezione è bella cicciotta… vuoi vedere che alla Casini Editore sono stati così attenti col loro pubblico che hanno accettato la proposta di inviare il nuovo cofanetto agli acquirenti insoddisfatti?
Lo apro.
No. Non sono stati così attenti.
Ma è pieno di roba, andiamo a vedere nello specifico.
Numero 1 catalogo 2010
direi ascrivibile al reparto: Pubblicità.
Pubblicità non richiesta.
Andiamo avanti.
Numero 1 presentazione del libro Mirror Mirror
e direi che siamo sempre nell’allegro e dorato mondo della pubblicità non richiesta.
Numero 1 cartoncino con scritta frase bicolore
pubblicità.
Numero 1 segnalibro de Il codice Tabatha di Matthew D’ancona.
Non solo pubblicità, ma sembra anche un trailer di maccio capatonda che mi porta a rispondere: no, non non ho mai letto un frenetic thriller e non ho la minima intenzione di cominciare.
e finalmente…
LUI
IL PIU’ ATTESO NUMERO CINQUE DOPO IL REMAKE DI CORTO CIRCUITO
STUPORE!
(si, basta girarlo, per trovare un’altra pubblicità)
Quindi, ricapitolando, io v’ho pagato il cofanetto, mi sono dovuto iscrivere al sito, v’ho dato i miei dati, ho dovuto aspettare più di un mese e voi mi avete inviato il dvd mancante, un quintale di pubblicità non richiesta e neanche, NEANCHE, il booklet da inserire nel cofanetto, presente nella versione nuova, tanto per fare bella figura dimostrando un po’ d’attenzione verso l’acquirente. Tanto per darmi uno schiaffo morale.
Mi verrebbe di citare la francese faccia come il culo ma, come al solito, siamo nel tristemente noto ambito delle pecionate e del tanto temuto a cazzo di cane di ferrettiana memoria.
Ed è nella stessa corrente che si infila prepotentemente il disclaimer presente nel vostro catalogo, unica cosa all’interno del “pacco”, che è riuscita a farmi sorridere:
Casini, che è sta roba?
Ma dove siamo finiti?
Nel pomeriggio di canale cinque?
Siamo dagli amici della De Filippi, Casini?
E andiamo, su.
Senza contorni.
Annalisa Leoni ha un sorriso da qua a là.
Annalisa Leoni è una colorista brava poco più di quant’è umile. Ed è umile assai.
Annalisa Leoni si diverte a togliere i contorni al mondo per vederlo soltanto a colori.
E fu così che la vignetta di Federico divenne una piccola e preziosa color key.
Fate un giro sul suo blog, ella è giovine, promettente e mantenente.
(e vi siete guadagnati un’altra piccola anteprima di Quello che ho perso)
Cantastorie.
Se guardate con attenzione tra le belle facce esposte sulla copertina di questo volume
ci trovate anche il vostro amichevole nasone di quartiere.
L’iniziativa dei ragazzi della Tunué è lodevole.
“Un volume unico che spiega i segreti dello scrivere e presenta il passaggio della graphic novel dal fumetto alla narrativa.
Andrea Campanella, Alessandro Di Virgilio, Andrea Laprovitera, Giovanni Marchese, Lucio Perrimezzi, Cristiano Silvi, Mauro Uzzeo, Luana Vergari.
Otto sentieri diversi, e noi dietro a seguirne le tracce per riprodurre un cammino, rivivere l’entusiasmo e la speranza degli esordi e dei successi, dal fumetto underground a quello popolare, dal graphic novel al fumetto seriale.
Interviste, racconti e trucchi del mestiere. E il prodotto finito, le tavole disegnate, accanto alle sceneggiature. Il percorso dalla magia di una buona idea a quell’altro tipo di magia rappresentato dai comics.
Questo è Storytellers.
Un omaggio di Tunué ad alcuni dei suoi sceneggiatori, un omaggio a tutti i suoi lettori, agli appassionati, a chi vuole sbirciare nel laboratorio e scoprire come si scrive una sceneggiatura per fumetti e come l’hanno scritta questi nostri otto amici.”
Angelo Orlando Meloni (autore del romanzo Io non ci volevo venire qui, che vi consiglio di recuperare) s’è fatto in quattro per curare questo volume e, con passione e dedizione, è riuscito a inanellare una serie di interventi, uno più interessante dell’altro.
L’idea di accostare il profilo degli autori a una loro intervista, una dimostrazione di sceneggiatura e un racconto inedito in prosa lo rende un volume appassionante sia per chi vuole muovere i primi passi nel mondo della sceneggiatura, sia per quei curiosi che possono approfittare di uno dei rari momenti di backstage dedicati ai fumetti.
Per quanto riguarda me, ecco uno stralcio dell’intervista:
[…] A.O.M.: Parlaci un po’ di te, delle tue passioni e dei tuoi interessi, anche dal di fuori dal mondo dell’animazione e del fumetto.
M.U.: Terreno pericolosissimo considerato che assomiglio molto all’anello di congiunzione tra l’idrovora e il buco nero. Viaggi, cibo, musica, letteratura, cinema, ed è inutile farti un nome di riferimento perché la realtà è che sono interessato a chi, queste cose, le pensa, le produce e le vende. Alla persona che ci sta dietro, al pensiero. Sono morbosamente attratto dalla gente. Adoro i meschini, i puliti, i sopravvissuti, quelli che mostrano e quelli che nascondono. Quelli che non dicono quello che pensano e quelli che se lo tatuano addosso. Adoro le stazioni, i vagoni, i bar, quei luoghi dove non si vive ma si passa, perché la gente quando passa è distratta e la verità si dice solo distrattamente. Per molti è l’unico modo di essere sinceri.
Come hai mosso i primi passi nel mondo del fumetto e dell’animazione, hai avuto un maestro, hai seguito una scuola? A proposito, cosa pensi dei corsi di scrittura che vanno per la maggiore?
Sono molto convinto del fatto che tutti, nel bene e nel male, mi siano maestri (quelli negativi a volte più utili di quelli positivi!), ma in realtà un maestro c’è ed è l’unica persona cui, tutt’oggi, mi rivolgo con quell’appellativo: Lorenzo Bartoli. Ero un quindicenne alto, ossuto e interessato a capire come si realizzava un fumetto bello come Arthur King, e Lorenzo fu l’uomo giusto al momento giusto. Oggi è un pluriapprezzato sceneggiatore e docente, ma all’epoca teneva il suo primo corso di sceneggiatura. Il fatto che tutti i suoi (pochi) primi allievi siano oggi dei professionisti del settore (NOTA DI MAURO: non ci credete? Ok sappiate che, quei pomeriggi intorno al tavolino del Nuvoloso Club, insieme a me c’erano Giovanni, RRobe – l’unico che già aveva pubblicato tra di noi – ed Elisabetta!) dovrebbe essere una prova sufficientemente inconfutabile del fatto che se una persona ha delle cose da dare, riesce a darle in qualsiasi condizione. Lorenzo mi parlava e io lo capivo. E lo capivano gli altri. Per ognuno Lorenzo ha avuto (e ha) una lingua che mette a suo agio l’ascoltatore e lo fa sentire, a sua volta, ascoltato. L’insegnamento più prezioso che m’è rimasto dentro: parlare con la lingua delle persone a cui ti rivolgi. In generale penso che corsi di questo tipo parlino alle persone che già hanno le idee chiare su quello che cercano e che vogliono. Credo pochissimo alle conversioni sulla via di damasco, ma parecchio alle affinità elettive.
Il tuo graphic novel in uscita per Tunué si intitola Quello che ho perso, vorresti parlarcene, quale la molla che ti ha mosso?
Da tre anni condivido con Federico (il disegnatore di Quello che ho perso) la stessa stanza negli studi Rainbow Cgi, e più di una volta ci siamo detti che sarebbe stato interessante cimentarsi in una collaborazione fumettistica oltre a quella nel campo dell’animazione. Volevo lavorare a una storia basata sui personaggi, sulle loro espressioni e stati d’animo, e in questo l’enorme talento di Federico sarebbe stata la quadratura del cerchio. Avevamo entrambi in testa un on the road fatto di dialoghi e paesaggi più che di soggetto e regia, e man a mano che le tesserine trovavano il loro posto ci accorgevamo che stavamo portando il lettore nella nostra auto immaginaria per farlo sedere comodo, divertirlo con la leggerezza di una canzone cantata da Neko Case… per poi togliergli ogni sicurezza, accelerando senza cintura, alzando il volume al massimo e urlando sguaiati come spettri.
Ci interessa raccontare quanto sia facile distruggere in un momento quello che viene costruito in una vita e in quali e quante maniere il conflitto etico può incidere sulla singola persona. Vogliamo che la giuria ci ritenga colpevoli e speriamo di trascinare i lettori nel nostro stesso carcere.
Trucchi, dritte, segreti, aneddoti relativi al mestiere di sceneggiatore? Con la tua attività in bilico tra animazione e fumetti potresti raccontarcene un bel po’.
Il Primo Passo, per quanto possa sembrare banale, è avere qualcosa da dire. O quantomeno sentirne l’urgenza. Riconoscerlo ti metterà un pochino più in là dei molti che si perderanno per strada. Passo Due è sicuramente rappresentato dalla perseveranza che ti servirà per essere convinto delle tue idee al punto da portarle avanti anche quando tornare a fare il cameriere nel pub del tuo amico Diego sembra l’unica soluzione luminosa. Perseveranza che, senza eccedere, può anche far rima con Arroganza, dopotutto devi essere il primo a essere convinto che, anche se tutti scrivono, tu dici cose talmente più interessanti degli altri e che è giusto pagare per leggerle. Terzo Passo: un metodo. Non IL metodo, perché non esiste, ma ne esisterà sicuramente uno buono per te. Trovalo, arredalo come meglio credi, non fargli l’orlo troppo stretto così magari puoi portarlo anche quando sarai un po’ più cresciuto, ma una volta che lo riconosci come tuo, coccolalo e tienitelo stretto. Il tuo metodo (magari in combo con il Prezioso Insegnamento del Maestro Lorenzo Bartoli Illustrato Precedentemente) sarà il motivo per cui i tuoi colleghi lavoreranno così bene con te da parlarne ad altri. Che a loro volta vorranno conoscerti e collaborare. Perché non farai il tuo lavoro da solo e un metodo non esiste se non in funzione degli altri. Un ultimo consiglio prima di passare alla domanda successiva: circondati di collaboratori più bravi di te. Umilmente imparerai molto da loro e furbamente dividerai gli stessi onori. Molti fanno l’esatto opposto ma quello che ottengono è soltanto di primeggiare tra gli ultimi.
Un autore italiano e uno straniero secondo te imprescindibili. Un gioco crudele, scegliere è spesso brutale, ma proviamoci lo stesso. Potrebbe essere molto interessante.
Lo faccio restando nell’ambito fumettaro che sennò diventa un gioco al massacro.
Straniero: Daniel Clowes. Il suo modo di raccontare è talmente completo che è difficile scinderlo in sceneggiatura e disegno. È un piacere leggerlo. È un piacere imparare dalle sue parole, dalle sue atmosfere. È un piacere vedere come ogni volta faccia sembrare tutto onestamente semplice. Puoi vedere una vignetta e capire che è di Daniel Clowes. Ti basta leggere un balloon e capire che è scritto da Daniel Clowes.
Italiano: Guido Nolitta. Ha inventato e scritto Jerry Drake insegnandomi che per quante volte possa dire no, l’eroe è quello che ritiene stupido chi non cambia mai idea. Ha inventato e scritto Zagor con cui ho imparato a leggere e a mettere in fila per due i sogni, tra cui quello di diventare sceneggiatore. […]
Dopo l’intervista, ecco uno degli accostamenti tra sceneggiatura/tavola finita presenti nel libro:
(cliccate per ingrandire)
E, per finire, un estratto dal racconto inedito che ho preparato appositamente per Storytellers.
E’ stata la mia prima volta con la prosa.
Difficilissimo, faticosissimo ma allo stesso tempo estremamente appagante (e indirettamente ha anche causato la decisione di aprire questo sito)
Il titolo del racconto era:
Voleva soltanto restare lì.
[…] Erano passati venti minuti da quando si aspettava di veder arrivare Adam e Adam ancora non era lì.
Si metteva con la schiena sul letto e i piedi nudi sul muro appena iniziava ad annoiarsi e sentiva ancora l’eco del padre che si arrabbiava quando da bambina la trovava così. Macchi tutto il muro, le diceva, gli lasci le impronte. Nella sua testa, oggi come ieri, lasciare le impronte era una cosa bella non un motivo per venire rimproverati, per cui sui muri di casa loro, avevano deciso di comune accordo lei ad Adam, chiunque avrebbe dovuto lasciare la propria impronta con i piedi, con le mani, o come meglio credeva. Un segno tangibile del proprio passaggio.
Adam arrivò come sempre, tranquillo e con l’aria di chi non è mai troppo in anticipo sulle aspettative altrui. Eva si sapeva bella ed era difficile non condividere. Si alzò in piedi per andargli vicino, lo baciò e lui si lasciò baciare.
Aveva portato in regalo un piccolo vassoio di cose buone e calde e le mangiarono insieme.
Si annoiava Adam a sentirla raccontare delle sue uscite, dei suoi amici, della sua vita, voleva soltanto sapere di lei, di cosa sentisse e provasse. “Non mi interessa quello che ti circonda, voglio solo capire il tuo punto d’osservazione e farne parte.” Eva si sentiva così sufficientemente piena di lui al punto di immaginarlo come acqua che aderisce e prende la forma del recipiente che lei stessa era.
“Come Adamo ed Eva”, gli disse, “siamo la prima donna e il primo uomo.”
“Non penso proprio”, si girò dall’altra parte Adam. “Questo è quello che raccontarono i figli prima di scannarsi tra di loro.”
Eva non era sicura di capire, “Certo che erano i primi, non c’era nessuno prima di loro.”
“Proprio per questo.” Adam si alzò e fece per uscire dalla porta. “Sappiamo di essere i primi soltanto quando arriva qualcuno dopo di noi. Fino a quel momento non facciamo altro che sentirci vuoti, in attesa.
Adamo ed Eva non erano primi, erano soli.”
Si voltò indietro giusto l’attimo di un bacio, poi tornò verso la porta e se la chiuse alle spalle. Lo stavano chiamando.
Giù in fondo a un buco, sentendomi così piccola
Giù in fondo a un buco perdendo la mia anima
Mi piacerebbe volare
Ma le mie ali mi sono state negate
L’aveva avvisata che si sarebbe fermato poco, giusto il tempo di volerti un po’ di più pensava Eva mentre provava a richiamarlo per la seconda volta senza che le rispondesse. Era più parmenideo che stronzo. L’Adam c’era, il non Adam non c’era. E quando c’era quietava ogni sua urgenza o bisogno con una naturalezza che sarebbe stato facile dare per scontata se lui per primo non si fosse paragonato al basso in un brano musicale. Ti accorgi di quanto ti manca solo quando non c’è.
Avrebbe voluto passare tutta la serata con lui e invece se ne girava per la stanza che avevano arredato insieme tre anni prima notando con una punta d’ironia che l’attesa la incupiva oggi come quando avevano iniziato a frequentarsi. L’Adam dell’epoca spariva per giorni interi dicendole che ogni giorno insieme poteva essere un dono. Diceva di non volerla ma che non le avrebbe fatto male. Un anno dopo la chiamava in piena notte accusandola di non esserci. Il suo modo di chiederle di andare, il suo modo sbagliato di chiedere e di dare. Eva non andò fino al mattino del giorno che sarebbe stato il primo della loro storia insieme e sorrideva che di quell’anno incerto ricordasse soltanto il cibo e il sesso. Mangiare e mangiarsi.
Eva si avvicinò al vassoio e prese due rustici. Ora Adam non c’era esattamente come trenta minuti prima e la canzone tornava a cantarle in testa.
Ancora caldi, pensò.
Giù in fondo a un buco e loro hanno posizionato
le pietre al loro posto
Io ho mangiato il sole e adesso la mia lingua
è stata bruciata dal suo sapore
Sono stata colpevole
Di prendermi a calci sui denti
Non parlerò mai più
Dei sentimenti che sento dentro
Ogni angolo nella stanza parlava di loro. Ormai era impossibile scindere le singole personalità persino davanti alla più stupida delle cornici, ogni elemento era in due. Loro era stato il viaggio, loro la scelta, loro il matrimonio, loro la volontà di avere un bambino quella notte, sperando che nascesse d’autunno perché il grigio era sempre piaciuto a entrambi.
Eva da sola piangeva e rideva e pensava a sua madre che faceva lo stesso.
La chiamò per dirle che era contenta di quello che aveva ottenuto e di tutto ciò che lei le aveva insegnato. La ringraziò per tutte le volte che aveva pensato che era una stronza e insieme ne risero. Le disse di salutarle Adam.
“Adam è fuori.”
“E va bene, tornerà.”
“Quando vorrà.”
Risero di nuovo. “Mamma te l’ho detto che non mi piacevi il giorno del mio matrimonio? Eri serissima e in quel vestito ti ci immagino più da morta che da viva.”
“Ragazzina in quel vestito c’è mezza liquidazione di tuo padre.”
“Anche mio padre ti immagina più da morta che da viva.”
Continuarono a sfottersi così per altri dieci minuti, poi Adam suonò alla porta.
Sorpresa. Altri rustici che quelli di prima erano pochissimi.
Giù in fondo a un buco, sentendomi così piccola
Giù in fondo a un buco, perdendo la mia anima
Mi piacerebbe volare ma…
…le mie ali mi sono state negate
Scesero in quattro ma fuori molta più gente urlava e indicava proprio lì. Si coprirono il naso per il fetore e in due non riuscirono a trattenere il vomito. Si avvicinarono per sollevarla di peso e nello stesso istante in cui la sfiorarono, la ragazza si voltò di scatto e li guardò come fossero fantasmi. Le parole uscirono dalla sua bocca inizialmente incomprensibili. Le sue labbra erano spaccate e viola, la lingua dura e i due incisivi spezzati, probabilmente, date le scheggie di magenta sugli altri denti, da uno dei mattoni in terra.
Chi cazzo siete e cosa state facendo? Cosa volete?
Le dicevano di stare calma e tra di loro si suggerivano di fare piano, le gambe erano troppo fragili per essere distese.
Le misero un cappuccio in testa scusandosi, dicendo che era solo per colpa del sole che poteva bruciarle le retine e che gliel’avrebbero tolto subito.
C’è qualcun altro lì sotto, sentì dire da qualcuno. Maschio, biondo, sui trenta, deceduto, a una prima occhiata, da tre settimane. Due colpi, probabilmente qualcosa andato storto tra quelli della banda.
Di chi stavano parlando? Con lei c’era solo Adam e nessun altro. Di chi stavano parlando? La fecero sedere e le chiesero di tenere gli occhi chiusi, la luce era troppo forte. Lei ubbidì all’ordine, le tolsero il cappuccio e le poggiarono sulle labbra una bottiglia d’acqua troppo fredda. La prima cosa che mise a fuoco era il cadavere del ragazzo che veniva estratto dal buco e messo in una busta di plastica. Il cadavere di uno dei rapitori, continuavano a ripetere.
Ucciso all’incirca tre settimane prima dai suoi stessi complici per motivi ancora ignoti ma, presumibilmente, collegati alla spartizione del riscatto.
“P-perché stanno portando via mio marito?”
“Portate altra acqua e dei panini. Della frutta anche, è completamente disidratata e non mangia da giorni!”
“Lasciate stare mio marito!”
“Stia calma e resti concentrata, quell’uomo, quell’uomo che stanno portando via è uno dei criminali che le hanno fatto questo, non suo marito.”
“Si ricorda come si chiama?”
Chiese.
“Si ricorda come si chiama?”
“Si. M-mi chiamo Eva.”
“Benissimo, Eva Salvi, anni 27, rapita il 14 settembre 2007. Sai che giorno è oggi?”
“Io ho… ho 31 anni.”
“Sa che giorno è oggi?”
“No.” […]
Questo, e molto altro, è Storytellers.
Se volete sapere come inizia e come va a finire il racconto, se volete leggere l’intervista nella sua versione integrale, se volete vedere altre tavole di sceneggiatura… ma soprattutto se volete leggere i contributi degli altri 7 sceneggiatori a cui sono fiero di essere stato accostato… cercatelo nelle fumetterie, in tutte le libreria di varia o ordinatelo direttamente sul sito della Tunué, a questa pagina.
Fossi in Ratzy, farei come dice.
Sir Ian McKellen durante la manifestazione di protesta ad Hyde Park per la presenza di benedetto XVI a Londra.
Amo quest’uomo.
(e Giò che me l’ha segnalata, sapendo che avrei apprezzato)
p.s.
In realtà la maglietta era diversa e in linea con quelle degli altri manifestanti:
Nulla di più prezioso.
Delle stranezze nelle vetrine intorno a casa mia ho già parlato.
Mancavano due paroline sulla libreria Mondadori.
Potrei scrivere che al suo interno contiene tanti altri piccoli negozietti che rendono ancora più randomica la disposizione di libri/hello kitty/dvd/hello kitty/cd/hello kitty/agendine/hello kitty/profumi/hello kitty ma che ve lo dico a fare?
Oppure raccontare dell’orda di zombie che vi si avventa contro appena vi avvicinate nei suoi paraggi, con il passo lento, fedele al dogma, la tattica di avvicinamento presa direttamente da Double Dragon (uno avanti, l’altro, più infame, dietro) e il mantra ripetuto a manetta: “Ciao, leggi?”
“Ciao, leggi?”
“Ciiiiiiiiiaaaaaaaaaaaauuuuuoooooooooo llllllllllluuuueeeeeeeeeeeeeegggggggggiiiiiiiiii?”
Inizialmente perdi tempo.
Spieghi che si, leggi, ma non ti rivedi nelle politiche di quella azienda e che non ti va di dargli i tuoi dati né di partecipare alle sue iniziative.
Poi capisci che non hai il tempo di spiegarlo a tutti, tutti i giorni, tutte le volte che passi lì davanti e prosegui a passo lento e senza guardarli negli occhi. Al massimo un “no, grazie”.
Poi impazzisci.
E inizi a ribattere.
“Ciao leggi?”
“Mai nella vita.”
“Ciao leggi?”
“No, neanche i cartelli stradali.”
“Ciao, leggi?”
“Fai cacare, tu e tua zia.”
“Ciao leggi?”
“Ma come cazzo ti permetti?”
“Ciao leggi?”
“ahahahahhahahahahahahahhahahahahahahah (e poi, guardandolo di nuovo)
ahahahahahahahahahahahhaha (andando via, di spalle) ahahahahhahahahahahahhah!”
Io ora sono nel pieno di questa fase, che alterno al fingere di essere un sordomuto tedesco.
Ma tutti questi aneddoti si inginocchiano umiliati al cospetto della nuova splendente vetrina che hanno deciso di offrire agli occhi del pubblico:
E’ proprio quella lì, la vetrina principale, accanto a quella d’ingresso.
questa
Ora, che non ci sia nulla di più prezioso per la mia pelle io posso anche accettarlo.
Quello che non accetto è che la Mondadori si preoccupi così tanto di dirmelo da sacrificare la vetrina principale per 3 bagnischiuma.
Immediata l’associazione: evidentemente, con quella vetrina ci guadagnano più soldi che se ci mettessero dei semplici e banali libri.
Bene, sono d’accordo con voi, ma allora chiudete e cambiate nome perché, vedete… c’è scritto anche lì nella foto: “libreria”… è così assurdo aspettarsi che le vetrine vengano utilizzate per sponsorizzarci dei libri?
Perché relegarli alle due vetrine della via laterale?
Sappiate ResponsabiliDiQuellaVetrina, che dopo un lungo e attento ragionamento, ho deciso di accettare, e ritenere valide, soltanto due tipologie di risposte:
Caro Mauro, il nostro è un programma sovversivo volto alla decostruzione del sistema. Da domani non solo vedrai la Mondadori sbattere in vetrina i saponi, ma ci sarà anche H&M con i suoi colorati cocomeri, Mediaworld con gli strudel altoatesini, Yamamai con i suoi trasgressivi rosari al rhum, tutte le edicole traboccheranno di dildi e strumenti per l’ortodonzia e tante altre novità! Lotta con noi!
oppure
Preferivi continuare a vedere ogni mattina la sagoma di cartone di Bruno Vespa che pubblicizza il suo ennesimo libro?
Il sapone è stata l’unica arma che siamo riusciti ad usare per togliercelo dalle palle. Hai ancora il coraggio di lamentarti?