Per promuovere l’uscita italiana di Buried, la Moviemax ha organizzato un grande evento serale iniziato alle 19.00 alla Fnac di Porte di Roma.
Dalla mia ho deciso di condividerne lo spirito di divulgazione e questo è il primo di 4 interventi dedicati al film.

Gli altri saranno:

2 di 4:  A tu per tu col regista. Chiacchiere sul divanetto.

3 di 4: Recensione del film.

4 di 4: Reazioni del pubblico, dibattito post film.

Iniziamo.

 

Mentre il maxi schermo proietta le immagini di un backstage del film, il regista Rodrigo Cortés si presenta al pubblico con la stessa espressione con cui compare nel video: sereno e soddisfatto.

Guarda tutti negli occhi mentre ci viene riassunta la sua carriera.
E’ al suo secondo lungometraggio, il primo che guadagna una distribuzione italiana (mentre per la sua opera prima Concursante c’era stato soltanto un passaggio al Festival di Viareggio) e sta conquistando un record dietro l’altro a fronte di una spesa realizzativa di nenche due milioni di dollari. Record da lui raggiunto anche nel campo dei cortometraggi, considerando che con l’opera 15 Days era riuscito ad accaparrarsi 57 premi soltanto in Spagna.

Cortés comunica un’immediata simpatia. Evita di prendersi sul serio e mette talmente a suo agio la platea che l’intervista si trasforma in pochi minuti in una piacevole chiacchierata tra appassionati.

Ve la riporto integralmente:

 

Buried è uno strano film realizzato soltanto con un attore in una cassa da morto ma scritto in America, ambientato in Iraq, interpretato da una star canaedese e girato a Barcellona. Come e quando sei entrato in contatto con questa sceneggiatura?

Un anno e mezzo fa nell’ambito di un progetto internazionale (probabilmente il prossimo a cui collaborerò o un qualcosa che non si realizzerà mai) ho incontrato quello che sarebbe diventato il produttore di Buried, Peter Safram, che conosceva lo script di Chris Sparling e me ne parlò. “Girala”, mi diceva, “E’ eccellente ma impossibile da girare.” “Di che si tratta?” Gli chiesi. Mi rispose: “Un’ora e mezza di un uomo chiuso in una cassa.” A me è sembrata un’idea folle al punto giusto da volerlo fare.

 

Come nasce questa tua dimestichezza con la cultura cinematografica americana. Penso a registi come Almodovar con una forte impronta nazionale, difficilissima da esportare. Come mai per te è invece sembrato naturale pensare di poter lavorare all’estero e con attori stranieri?

Questo non lo so, ne ci avevo mai pensato. Sono cresciuto nutrendomi di film diversi, di ogni genere, europei, americani, australiani. Quando mi perdo in un film non vedo queste enormi differenze e gli strumenti, in fondo, sono sempre gli stessi: una macchina da presa e qualcuno che ci sta davanti. In Spagna abbiamo molti problemi di inferiorità e quando vediamo un film ben girato diciamo che non sembra spagnolo, se questo film è invece girato benissimo diciamo che è americano. Considero miei maestri Scorsese, Billy Wilder e Hitchcock, uno americano, uno polacco, uno inglese, quindi persone provenienti da tutte le parti del mondo.
I film buoni sono sempre pochi e facendo una proporzione tra film buoni e film non buoni, la proporzione risulta la stessa in ogni stato del mondo. Diciamo che ogni anno i film buoni prodotti dagli Stati Uniti sono circa l’8% , in Spagna la proporzione è la stessa e credo valga lo stesso per l’Italia.


Buried così come Concursante ha un montaggio molto veloce che dona parecchio ritmo al film. Considerato che tu stesso sei il montatore, come coniughi questo aspetto col tuo ruolo da regista? Mentre giri hai già in mente come montare il film?

Direzione e montaggio sono la stessa cosa. Differenti fasi dello stesso progetto. Sicuramente non è sempre così e parlo solo per la mia esperienza, ci sono registi che hanno detto molto più di quanto io dirò mai in tutta la mia vita, che non hanno mai messo piede in una sala montaggio. Io visualizzo il film montato dal primo momento e quindi le riprese le faccio già sapendo come quella scena verrà inserita. Ogni film consta di 3 fasi: scrittura, riprese, postproduzione. Per me tutto questo appartiene ad un’unica fase.
Oltretutto per un film come Buried, girato in soli 17 giorni capirete che non potevamo permetterci il lusso di sprecare girato e quindi conveniva a me per primo girare una scena immaginandola sia come regista che come montatore. Quando monto mi dimentico completamente di quello che ho diretto. Sono spietato col mio stesso lavoro, non m’importa niente se una determinata scena è stata difficile da girare, per me in quel momento interessa solo il ritmo e se sento che sto perdendo l’attenzione, la taglio senza problemi. E’ così che lavoro.
Ho sempre montato i miei lavori e non ho mai girato nulla che poi non abbia montato io stesso.
Con le mie mani, come un pittore che non può dire a un altro come passare le pennellate. Farlo da solo mi garantisce di approfittare anche degli imprevisti. L'interpretazione di un altra persona in sala montaggio andrebbe a discapito della fluidità.

 

La storia del cinema è piena di aneddoti di registi che seducono gli attori per convincerli a fare dei film. Una leggenda narra che Tarantino andò a trovare a casa John Travolta, e gli parlò così tanto, fino a sfiancarlo persino fisicamente, arrivando a citargli il Blow out di De Palma pur di convincerlo a fare Pulp Fiction. Si racconta che per Buried, tu abbia scritto una lunga lettera a Ryan Reynolds dopo aver saputo che, letta la sceneggiatura aveva rifiutato la parte. Come hai fatto a convincerlo?

Credo che si tratti, per l’appunto, di leggende. Dubito che Travolta avesse questa grande possibilità di scegliere anzi, più probabile che avesse un bisogno folle di lavorare e che qualcuno gli passasse una buona parte adatta a lui (ride della sua stessa provocazione). Per quanto riguarda noi invece è vero! Ryan mi augurò buona fortuna perché aveva adorato la sceneggiatura ma pensava che fosse un progetto impossibile. Poi dopo che gli ho spiegato come intendevo girarlo e qual era il progetto reale ha iniziato a vacillare. Ma quello che realmente l’ha convinto è stato iniziare a comprendere che questa storia mi ossessionava al punto che sarei riuscito, comunque, a portarla a termine. Solo allora ha voluto far parte della squadra.

 

Come mai proprio Ryan Reynolds? E se avesse rifiutato, chi era il secondo in lista?

Tutto in questo film è andato avanti contro il buon senso e la logica quindi non c’era alcuna seconda opzione, nessun piano b.
E’ come quando hai 14 anni e decidi di fare il regista. O l’astronauta. Sono cose che comportano un lancio nel vuoto senza sapere a cosa affidarsi, ma accadono proprio per questo motivo.
Certo, se lui avesse detto di no, avremmo pensato ad una seconda opzione ma fortunatamente non ce n’è stato bisogno!

 

In tutto il film ci sono solo quattro luci, perché questa divisione? Date le premesse (la guerra in Iraq. N.d.M.) c’è un significato particolare, una metafora politica?

Ad una domanda del genere Storaro ti potrebbe dire tantissime cose, parlerebbe per ore perché lui è lo scrittore della luce… nel pieno rispetto del suo genio, eh!  Io, più semplicemente ti dico che la luce mi serve per rendere narrativamente interessante il film. Ne I prigionieri dell’oceano, Hitchcock gioca con il cambiamento della luce perché il film è ambientato nella stessa giornata e quindi comincia col mattino, passa per il pomeriggio e arriva alla sera, quindi le luci guidano il mood del film. Nel mio caso no, c’è una cassa e una notte eterna, quindi a questo punto le luci mi servono per raccontare la storia con un significato emotivo più che politico. La lampada che s’accende e si spegne è un filo sottolissimo che lo collega alla vita. Come la batteria del celulare o l’ossigeno bruciato ogni qual volta che viene acceso l’accendino quando lui si sente solo o ha paura. Cose che non vengono dette chiaramente ma lo spettatore se ne accorge e le somatizza. E servono anche per la durata del film altrimenti la scena del minuto 7 e quella del minuto 60 si assomiglierebbero talmente tanto che potrebbero confondere lo spettatore (ride).

 

Hai detto in altre interviste che l’ambientazione irachena è semplicemente un macguffin per far partire la storia, ma io non ti credo. Pensi realmente che qualsiasi altro posto sarebbe stato uguale?

Se la sceneggiatura fosse stata ambientata in Germania o in North Carolina, l’avrei accettata lo stesso. Il contesto dell’Iraq è importante della storia perché in qualche modo la determina. Chris Sparling ha studiato molto quell’ambiente, è affascinato dalla presenza di questi contractors civili di cui non interessa nulla a nessuno e che vengono sequestrati in continuazione ma gli snodi emotivi del film non riguardano la questione irachena quanto un problema di percezione che riguarda tutto il mondo eccidentale. L’empatia che lo spettatore può provare nel protagonista non ha nulla a che fare con la guerra ma con le cose con cui resta quotidianamente sepolto, dall’impazzire dietro a una compagnia telefonica che ti tiene per due ore in attesa al ritrovarsi chiuso al buio, e a combattere contro la mediocrità umana che è kafkianamente presente in Iraq, Spagna e sicuramente anche in Italia. E questo mi sembra intertessante per raccontare un storia che, più che socialmente impegnata, vuole essere un thriller d’azione… una specie di Indiana Jones dentro una cassa!

A questo punto, il presentatore lascia la parola al pubblico e alza la mano una ragazza emozionata e partecipe.

Esordisce con: “Aspetto questo film da tantissimo tempo!” e Cortés le risponde sorridendo: “Ecco, questo è un problema. Vi create troppe aspettative ed è sempre più difficile mantenerle!” Lei ricambia il sorriso, si dice fiduciosa e formula la sua domanda.

 

“Da quando sono uscite le prime immagini, nei forum si è speculato tantissimo e la domanda più frequente era questa: Perché se Uma riesce a liberarsi in 5 minuti, Reynolds ci mette un’ora e mezza?”

Cortés dalla risposta pronta ribatte: “Perché Reynolds non è mai andato a lezione da Pai Mei!” suscitando l’ilarità di tutta la sala.

Qualcun altro alza la mano.

 

Abbiamo letto di una polemica con Reynold quando gli dicevi che volevi fare delle riprese di prova nei giorni precedenti al girato e lui si è rifiutato.

Non c’è stata una vera polemica, più che altro una discussione di qualche secondo. E’ vero, io volevo fare tre giorni di prove prima di iniziare le riprese ma forse più per una mia iniziale ansia da prestazione. Ryan mi ha risposto che non avrebbe saputo cosa provare e che sostanzialmente le considerava dannose. Voleva scoprire quello che succedeva a lui come attore, insieme al personaggio che interpretava. Avrei potuto rispondergli, dai, non fare il pigro!, ma nella sua faccia non c’era pigrizia. Era sincero. Non voleva abituarsi all’idea di stare in un cassa. Voleva prendere confidenza passo passo entrando nel personaggio. Alla fine abbiamo girato per giorni ma senza mai fare prove. La sofferenza e quel senso di claustrofobia che il pubblico soffre in sala… l’abbiamo sofferto anche noi!

A questo punto prendo la parola e, verificata la sua enorme disponibilità, gli lancio una piccola provocazione:

 

Il cinema americano s’è improvvisamente accorto di questa rinascita europea del cinema horror/triller: la Francia con Martyrs, Rec in Spagna, la Svezia con Lasciami entrare, o Uomini che odiano le donne. Solitamente l'abitudine è quella di comprarli per poi girarne il remake. La tua scelta di avvalerti di una produzione americana e farlo interpretare ad un attore canadese… è stata calcolata per scavalcare direttamente il problema?

 

Ride e mi risponde.

La tua considerazione non è banale (“tonteria” in originale), anzi! Rec è un film fantastico, una pietra miliare, e ritrovarmelo banalizzato in quella roba che è Quarantine (il remake americano) scena dopo scena mi ha portato a comprendere che imitazioni come questa non fanno altro che uccidere l’originale. Vedo una serie di registi orgogliosi di “guadagnare” un remake del loro film ma io proprio non riesco a capirli né a condividere quella politica. Quindi con Buried mi sono tutelato e, come dici tu, ho scavalcato il problema e invece di correre il rischio che ne facciano un remake… me lo faccio da solo!

 

A questo punto Cortés saluta tutti, dandoci appuntamento per un piccolo buffet prima del film. Ci alziamo ordinatamente e lo seguiamo.

Nel momento in cui scrivo, Buried è già uscito negli Stati Uniti, in Europa, lo scorso weekend in Inghilterra debuttando al terzo posto in classifica. partendo come terzo, e in Spagna è stato un fenomeno.
Costato meno di due milioni di dollari, in meno di un weekend ha recuperato il suo budget ed è già un successo.

Coming Out.

6 ottobre 2010 da Mauro

 Tiziano Ferro rivela di essere “gay e felice” ed io davanti a questa dichiarazione non posso che rimanere perplesso e schierarmi dalla parte degli indignati.

Ho sempre pensato di essere una persona aperta e liberale (tollerante no, tollerante è una condizione che non augurerei neppure al mio peggior nemico) ma leggere che l'autore di Rosso Relativo e Xdono, non pago delle atroci sofferenze a cui ci ha costretto negli ultimi anni, possa dichiararsi spudoratatamente, e senza vergogna alcuna, felice, mi lascia senza parole.

Spero verranno presi seri provvedimenti affinché nessuno sia più costretto a subire il peso di dichiarazioni tanto pesanti.

A questo punto però, spinto dalla sua dichiarazione e da questa meravigliosa vignetta presente nel numero dell'Internazionale attualmente in edicola:

ho deciso di cavalcare l'onda del momento e fare outing rivelandovi il mio più oscuro segreto.

Mamma, papà, sorella, fratelli, colleghi, lettori.

Io ascolto Luca Carboni e conosco a memoria molte delle sue canzoni.

Moltissime.

 

Queste le mie preferite:

Ci stiamo sbagliando

Fragole buone buone

Sarà un uomo

Gli autobus di notte

Vieni a vivere con me

Persone silenziose

Le storie d’amore

Mare mare

La mia città

Alzando gli occhi al cielo

L’amore che cos’è

Faccio i conti con te

Le ragazze

Ferite

La mia ragazza

Mi ami davvero

 

Ecco. L'ho detto.

Uno dei validi motivi per visitare la fiera del fumetto di Lucca anche quest'anno è legato al volume che vedete qui sopra, presentato dalla Nicola Pesce Editore. Impreziosito dalla splendida copertina di Davide De Cubellis (anche meno, Davide, all'ennesimo capolavoro cominci a diventare irritante), Wonderland racconta lo scorrere dei giorni nel Paese delle Meraviglie, senza la presenza di quella rompiballe di Alice. Vedremo così come basti un cliente un po' particolare per mandare in crisi il Cappellaio Matto, qual è il vero motivo per cui Tricheco e Carpentiere girano sempre insieme, come passa la giornata lo Stregatto, quant'è fumato il Brucaliffo e cosa succede quando è il Bianconiglio a ritrovarsi catapultato nel mondo reale. Dieci racconti firmati da queste personcine qui:

Armin Barducci
Lorenzo Bartoli
Alessio Fortunato
Davide Garota
Leomacs
LRNZ
Elisabetta Melaranci
Nigraz
Tuono Pettinato
Sergio Ponchione
Federico Rossi Edrighi
Francesca Silveri
Cristina Spanò
Margherita Tramutoli
Mauro Uzzeo

Per un volume a cura di R. Amal Serena.

Nella storia scritta da me e disegnata dalla formidabile accoppiata composta da Margherita & Federico, troverete un personaggio talmente poco in vista che forse non vi siete mai accorti della sua esistenza. Ho preferito infatti lasciare ad altri autori l'onore e l'onere di affrontare i comprimari principali e ho scelto di raccontare le tribolazioni amorose di una delle Carte al servizio della regina: il Due di Picche. Una bizzarra storia sentimentale che si preoccupa di rispondere ad una fondamentale domanda: cosa succede quando il simbolo stesso della fregatura s'innamora di te? Tornerò sull'argomento per mostrarvi qualche anteprima ma se volete essere aggiornati e sbirciare per primi tra le anticipazioni, sappiate che la campagna promozionale per il volume è già stata avviata.

Qui trovate il sito dedicato.
Qui la pagina Facebook.
Qui il Twitter.

E per concludere… un ringraziamento ad Amal e Andrea che per Wonderland stanno dando l'anima.

NerfCore: Retro!

4 ottobre 2010 da Mauro

Ok, durante Romics abbiamo fatto la nostra prima partita con le Nerf.
Abbiamo fatto due giocate a un Team Slayer 3×15 in cui Giacomo ha dato il meglio di sé stesso, portando alla vittoria la sua squadra nella prima e come glorioso Last Man Standing nella seconda, ma poi è capitolato sotto i colpi del sottoscritto o piegato dal tedio dimostrato da Federico per arrivare fin dove il vento soffiava opposto.
La partita nella modalità  Assassination, è stata purtroppo funestata da alcuni bug del regolamento (Federico, Riccardo, per me avevate ragione da vendere, sappiatelo… avevo proposto di recarci al campobase ed estrarre nuovamente il foglietto del mio assassinio ma Rrobe l’ha messa giù che c’avremmo messo troppo tempo e che dovevo ammazzare il primo che incontravo. E io non potevo assolutamente contraddirlo, ricordate? Era stanco).
Se vi state chiedendo di cosa parlo, tranquilli, fatevi un giretto sul blog del Rrobe che vi spiega le puntate precedenti mostrandovi come ci siamo ritrovati in questa situazione!
Comunque, in tutto ciò, abbiamo colto al volo l’occasione della fiera, con la sua varietà infinita di Cosplayer per fotografarli con le nostre armi pupazzose.
Occasione preziosissima per metterle in mano a fanciulle discinte e robottoni da guerra.

La galleria che state per vedere è stata definita “RETRO” perché di ottime B-Side, non c’è solo Come Together. Per la versione “FRONTE”, cliccate qui.

E accettatelo: non riconoscere i cosplayer è sinonimo di vecchiaia.

Lode e gloria a lei già solo per il fatto di essersi scarrozzata un’enorme siringone per tutta la durata della fiera.

Tre miti.

Armata di un amico che non la mollava un attimo. A ragione.

Betsy… Betsy…

Le Incredibili.

Ed ecco a voi la mia amica Unanimità.
L’unica che ha messo d’accordo tutti.

La foto più bella della fiera:

Unanimità 2.

Uno sconvolgente War Machine con casco e fucile incorporato mobile.

Due autori di un certo livello.

Piccoli omicidi tra amici.

Questo è quanto.
Il primo approccio di Nerf Flash Mob è andato.
Seguiranno video.
Siate pronti.

Romics 2010.

da Mauro

Il primo anno in cui mi diverto veramente!

Cosa mi porto a casa?

Centoventicinquemiliardi di persone tra me, la cassa e il mio gelato.
Chris Ware che mi dice di ascoltare comunque chi mi dice “Ma stai tranquillo… sei giovane…. ” e poi azzannarlo prima che finisca di parlare.
Giovanni che sale sul palco per ritirare il premio vinto per La storia di Sayo e lo dedica a due persone.
Roberto senza corona e comunque più alto di tutti.

La riconosciuta superiorità della mia abilità con le NERF rispetto a tutti gli altri.
(PALMARES: vincitore insieme al team dei Neri al 3×15 dopo aver ucciso l’ultimo rimasto in gara dei Colorati: Giacomo Bevilacqua, che aveva piegato il vento ai suoi voleri.
Vincitore assoluto nella modalità Assassination con ben 7 omicidi all’attivo di tanti valenti fumettisti tra cui, e soprattutto, RICCARDO TORTI, morto con disonore mentre si accaniva, con estrema e insensata ferocia, su un morto).

Ritrovarsi a pranzo con Riyoko Ikeda e poter mostrare questa foto alla mia sorellina:

Maurizio Di Vincenzo che mi lascia senza parole per cinque minuti e con un sorriso scemo e contento per tutta la serata.

La cena Bonelli che, negli anni, è diventata la cena con le persone che vedo più spesso e più volentieri.
Alessandro che vince con Valter Buio e ringrazia i suoi collaboratori.
La faccia della proprietaria del ristorante davanti alle foto estive di Santucci (che è il supereroe dell’abbozzo con stile).
Luca Raffaelli, entusiasta, emozionato, presente.
Ivan Brunetti che si scusa di non essere bravo come Mammucari mentre mi fa questo disegno

(si, c’è anche lo zampino di Chris Ware…)

(ah!, Mammucari m’aveva fatto questo)

Giacomo a cui telefonano in diretta, dal palco, per fargli ritirare il premio per PandaLikes


RICCARDO TORTI che non resta a cena con noi per postare su Fb tutto il suo essere andato in puzza per la mia schiacciante vittoria NERF!
“Morte all’impero!” Gridato alle truppe imperiali più tristi di sempre.

E infine i Culi.
Tanti da oscurare il sole.

Come vedrete.

Intorno a Iginio Straffi circolano leggende pari a quelle dei grandi personaggi del secolo scorso.

C’è chi lo considera un genio, chi ne sparla appena può, chi lo adora incondizionatamente, chi sostiene sia un bluff, e chi afferma che non abbia ancora raccolto quanto meriterebbe.

E questo è ovvio che accada quando una persona riesce, rimboccandosi le maniche, a passare dal tavolo da disegno alla gestione di un impero milionario che si stende lungo i quattro angoli del globo.

Ho iniziato a collaborare con lui nel giugno del 2006 e quello che posso dire con assoluta certezza è che non c’è stato un giorno in cui non l’abbia visto lavorare.

Iginio è uno di quegli insoddisfatti cronici capaci di non prendere sonno se ritiene che una sequenza possa essere migliorata, che un effetto sonoro possa arrivare meglio il momento successivo, se un contratto rischia di essere rimandato.

E’ il comandante che, quotidianamente, lascia la nave solo quando anche l’ultimo mozzo è arrivato a casa da un pezzo.

Persone simili ti mettono costantemente alla prova, alzando giornalmente l’asticella della qualità verso l’alto e portandoti a superare quelli che, in quel momento, vedi come limiti.

L’intervista che leggerete qui sotto mi è stata rilasciata di sera, tra le diciannove e le venti, nascosti in una stanza per evitare di essere scoperti da qualche caporeparto che voleva fargli revisionare una sequenza o dalla segretaria che aveva bisogno di segnargli un appuntamento.

E’ stata la prima ora in più di quattro anni, in cui il suo cellulare era spento e nessuno è entrato a recapitargli un messaggio.
La prima ora in cui l’ho visto, completamente, libero.
Un’intera ora in cui Iginio s’è scrollato di dosso il fardello dell’imprenditore/creativo/regista/disegnatore/produttore/tuttofare e ha messo davanti a tutto l’uomo, con le sue vittorie, le sue debolezze e anche i suoi rimpianti.

E’ stato un bel parlare e sono convinto che ne uscirà un profilo interessante e, sotto alcuni punti di vista, inedito.

Buona lettura.

Ciao Iginio e benvenuto su queste pagine.
Tra meno di un mese il tuo secondo lungometraggio cinematografico sarà in tutte le sale italiane.
Come stai?

Sicuramente più tranquillo della volta scorsa. Anche perché siamo coscenti del gran miglioramento raggiunto rispetto al primo film, sia a livello di know-how che di gruppo. Siamo cresciuti in esperienza e questo ci ha portati a realizzare un film più completo del primo per quanto riguarda la qualità visiva, la qualità della storia raccontata e la qualità degli stessi processi produttivi.  E questo anche grazie al tempo in più che abbiamo avuto.
L’unica incognita che rimane aperta è la più importante: riuscirà questo nuovo film a fare breccia nel pubblico delle Winx? Io sono convinto di si, ma quel minimo d’incertezza del risultato c’è sempre.

Quindi stavolta riuscirai a sederti rilassato e a goderti il film?

Si, anche se poi è inevitabile che inizi a salire, come una febbre, la voglia di sapere come si sta comportando il film nelle sale e quindi di andare a controllare, soprattutto durante il primo weekend, quali saranno le reazioni degli spettatori. Se risponderanno bene ai momenti commoventi come a quelli più divertenti. Sono sicuro che tra il venerdì e la domenica passerò in sala la maggior parte del mio tempo!

Winx – il segreto del regno perduto (N.d.M.: il primo film delle Winx, uscito nel novembre 2007) raccontava la naturale conclusione della trama iniziata addirittura nel primissimo episodio della serie animata. Qual è stata invece la spinta per questo secondo capitolo? Cosa volevi raccontare?

Per ogni storia che si chiude ce ne sono almeno altre cento che si aprono. Come ben sai, visto che abbiamo lavorato tanto insieme (N.d.M.: le riunioni sulla storia di Winx 2 sono effettivamente cominciate tra la fine del 2006 e l’inizio del 2007) lo snodo principale doveva essere legato al rapporto tra i ritrovati genitori naturali di Bloom e i suoi genitori adottivi. Sentivo di dover “fare giustizia”, dopo aver dedicato tutto il primo film ai genitori naturali, volevo sottolineare la mia posizione rispetto ai genitori adottivi con cui Bloom ha vissuto tutta la sua vita, raccontando come “genitore” sia chi cresce, conosce, e comprende il giusto modo d’interfacciarsi con la propria figlia.
Poi ovviamente c’erano tantissimi altri aspetti, Bloom che si ritrova ad essere principessa del regno che ha salvato ma non esista un secondo a mettere in dubbio la sua posizione quando viene posta davanti alla scelta tra  lasciare il suo Sky o abbandonare il regno. Poi, come in tutte le storie delle Winx c’è la fiducia come collante di ogni amicizia,  e questo tanto tra sei piccole teenager, quanto tra due re costretti a prendere decisioni che sembrano mettere a rischio qualsiasi legame.

La famiglia non come istituzione ma come legame, la fiducia e le difficoltà nel compiere una scelta. Tematiche che poco hanno a che fare con quella che è la percezione comune di un certo tipo di critica per la quale Winx è soltanto sinonimo di superficialità e falsi valori.

Che effetto ti fa imbatterti in critiche del genere?

Beh, all’inizio mi arrabbiavo moltissimo, oramai non dico di averci fatto il callo, ma sono talmente abituato a superare le critiche superficiali di chi, magari, ne parla senza averne visto un singolo episodio, che non mi toccano più di tanto. Sono certo di aver costruito dei modelli che esaltano, appunto, i valori positivi a cui tengo e a cui teniamo e che non hanno nulla a che fare con quell’immagine tutta legata alla moda, ai trucchi e all’apparire che affibbiano alle Winx magari basandosi solo sull’immagine di un giocattolo. Certo, sono anche prodotti come quelli che finanziano i film, questo però non vuol dire che possano intaccare il messaggio reale che comunichiamo in ogni episodio, sia televisivo che cinematografico.

Le winx nascono con un tuo disegno su carta e dopo pochi anni diventano un brand riconosciuto in tutto il mondo. La mia massima aspirazione è raccontare storie che emozionino chi le fruisce, ma anche nelle mie più sfrenate fantasie non riesco a immaginare di riuscire ad arrivare a farmi ascoltare in tutti i continenti. Tu che ci sei riuscito… cosa si prova? Com’è inventare qualcosa che entra nel linguaggio comune?

Mauro, lavoriamo a stretto contatto da tanto tempo quindi devo essere molto sincero con te. Se un po’ mi conosci, avrai capito che se avessi la possibilità, la fortuna anche, di poter fare solo il creativo, solo il regista, avrei anche la gioia di godere un pochino di più di quanto stiamo facendo. E anche un po’ di tutto il resto, anche della vita, forse.

Il problema è proprio legato al ruolo che ricopro e che consiste nel mandare avanti questa baracca che è cresciuta negli anni e ora è uno dei gruppi più importanti per l’animazione, europea quantomeno. Questo fa si che ogni giorno devi inventare qualcosa.
Perché basta distrarsi un attimo, o dare le cose per scontate, e la macchina si blocca. E bloccare una macchina significa mandare a casa dei professionisti, perdere del know-how faticosamente costruito… e questo ti porta ogni giorno ad avere questa specie di maledizione, un po’ per quel fuoco d’ambizione personale di voler riuscire a fare una cosa piuttosto che un’altra, un po’ perché senti la responsabilità morale verso le persone che lavorano con te. Questo tipo di realtà che ti porta necessariamente a dover sempre pensare al prossimo obiettivo, a come fare per tenere tutto comunque in movimento e a creare progetti per il futuro, ti porta a non restare fermo sul momento, col rischio di non goderti mai veramente niente.
I giornalisti domandano sempre: “Lei come si sente ad essere stato il primo italiano che… ecc ecc” e io rispondo: Ho faticato e fatico ancora tanto. Per raccontare una storia nuova, per dargli un appeal interessante, per negoziare contratti, per convincere le tv di tutto il mondo. E anche raggiunto l’obiettivo, c’è sempre il next, il prossimo passo, l’accorgersi di essere in ritardo con quel progetto con la Francia, con il parco a tema, con il film sui gladiatori ( N.d.M.: il prossimo lungometraggio cui sta lavorando la Rainbow Cgi, da una sceneggiatura scritta in collaborazione con Michael Wilson, sceneggiatore di Ice Age) .
Abbiamo superato la fase in cui dovevamo preoccuparci dell’anno successivo, adesso ti trovi a muovere pedine per le quali vedrai i risultati tra quattro o cinque anni e mantenere questo tenore, nella mia situazione attuale, è imperativo.
L’unico modo che conosco per staccare da questo loop che appare senza via d’uscita è restare aggrappato a quello che sono veramente. E io sono una persona che non vuole staccarsi dalla propria terra e che sta bene quando partecipa ad una delle festicciole organizzate in campagna dal padre. E in quelle tre ore t’accorgi che tutto perde importanza e ti impegni in cose che ti rilassano e ti fanno stare bene.
Poi però il pensiero ritorna, è sempre lì, e finisce che gli altri si accorgono che t’incanti e non sanno che stai pensando: “devo mettere a posto quella cosa,  sennò tra due anni si ferma tutto”. Anche queste due nuove serie televisive delle Winx, realizzate in coproduzione con Nickelodeon, sono anche utili per riempire un grosso periodo di lavoro tra un film e l’altro. Per fermarti e ritenerti soddisfatto di quello che hai fatto devi fare solo l’autore. Bisogna essere predisposti.

Parliamo un po’ di fumetti. Dici sempre che sono il tuo primo amore e la tua passione.
Quali quelli che ti hanno segnato e con quale autore ti piacerebbe collaborare? Quali, infine, trasformeresti in cartoni animati di successo?

Sicuramente in cima alla mia lista ci sono fumetti italiani. Cito sempre gli imprescindibili Corto Maltese e Ken Parker, perché sono personaggi a cui devo molto e che hanno scandito i giorni della mia formazione, da ragazzo. Sia per quanto riguarda le storie che raccontavano sia per i disegni che le descrivevano imprimendole nella mia mente.
Sono legato quindi a tantissimi disegnatori italiani che oggi lavorano per Bonelli e che magari qualche anno fa riempivano le pagine di riviste come la storica Comic Art.
Come non citare Moebius o Bilal anche se gli autori per cui ho una vera passione sono Bernet e anche un certo Ruben Pellejero, anche lui  molto simile a Pratt nel segno ma non nelle storie. Un altro “prattiano” che ricordo con affetto per le storie di Frank Cappa è Manfred Sommer, ma in quel periodo era tutto un fermento e come facevi a restare impassibile davanti a un Giardino o a un Manara? La lista potrebbe durare all’infinito.
Sceglierne uno da trasformare in un cartone animato di successo è invece difficile perché, a differenza della tradizione giapponese o anche americana, in Italia è veramente arduo immaginarne una trasposizione. E’ stato fatto con Lupo Alberto e io c’ho messo del mio con Monster Allergy, ma nel campo del fumetto popolare per adulti non è così facile, ho provato a chiedere a Sergio Bonelli i diritti di Dylan Dog per farne un cartone animato che potesse piacere anche ai più grandi, ma per il momento non sembra ancora possibile.

Proponiamogli Zagor! Zagor sarebbe perfetto!

Dici che funzionerebbe?

Certo. E’ il più gran fumetto di sempre, come può non funzionare? Poi ci sono i boschi, con le liane e le paludi, l’avventura, quella specie di costume da supereroe… chiunque lo guarderebbe!
Ok, ammetto che parlando di Zagor
posso perdere di obiettività.

Tra i due del grande Nolitta io preferivo Mister No, forse più in linea con le mie corde.

E mi divertiva tanto Il comandante Mark che menava le mani e tirava di spada. Ma questi sono personaggi difficili per l’attuale mondo del cartoon perché ormai l’immaginario collettivo è dominato da personaggi che devono avere il superpotere o qualche marcata stravaganza, non è facile inserire degli eroi di stampo “realistico” come da nostra tradizione.

Invece parlando di live action… Dylan Dog ha tutti gli elementi per venir fuori come un bel film, ma io punterei anche su qualche storia di Ken Parker. Il cinema sembra nato apposta per raccontare il west e le sceneggiature che scriveva Berardi sembrano concepite per essere raccontate al cinema

Poi finchè Robert Redford non tira le cuoia…

Eh,  lì sarà dura anche perché Brad Pitt comincia ad invecchiare e Redford diceva che era il suo unico erede per stile e somiglianza.

Un’ultima domanda prima di salutarti. Cosa vuoi fare che non hai ancora fatto?

Si. Devo fare un film in live action.

Mi piace il “devo”.

Assolutamente. Live action con effetti.
Anche se a dirla tutta mi piacerebbe girare una commedia basata su una storia che ho in testa da tempo.  E quando dico “da tempo”, non scherzo visto che la scrissi nel lontano 1985 e ancora la sento dentro.
Bisogna che mi sbrighi.

Nel numero di Best Movie attualmente in distribuzione…

…siamo presenti in ben due articoli!

Nel primo c’è una semplice nota della partecipazione di  Winx 2 – Magica Avventura al Festival del Cinema di Roma.

Nel secondo, invece, c’è il resoconto di qualche ora passata nei nostri studi della Rainbow Cgi.

Se siete interessati a sbirciare dietro le quinte… accattatevillo!

Una parola per tutti, anche per te.

30 settembre 2010 da Mauro

Eppure la terra sta sempre ferma“.

Non ci si è mossi di una virgola.

Dalle pagine del suo blog, Gipi inizia a sbottonarsi su alcuni degli elementi del film che sta girando.
E’ contento di poterne finalmente parlare e rivela quello che, secondo me, è l’aspetto più interessante di tutta la vicenda: per il suo film d’esordio nel mondo cinematografico ha deciso di non puntare sull’adattamento di una sua opera a fumetti ma di utilizzare, come materiale di partenza, i racconti presenti nel volume “Nessuno mi farà del male” di Giacomo Monti (titolo strepitoso, racconti strepitosi), pubblicato da Canicola.

E’ stato Gianni stesso a parlarne a Roberto (e a me che fotografavo) nella bella cornice del Circolo degli Artisti a Roma, dei perchè e dei per come sia arrivato a maturare la decisione di staccarsi dalla forma più direttamente autobiografica per seguire percorsi nuovi – sempre, ovviamente, filtrati attraverso la sua personalità.
Ci ha parlato anche di un sacco d’altre cose ma per quelle vi rimando al blog di Rrobe.

Il rifiuto della mossa facile, che sembrava quasi obbligata, della riduzione pedissequa di uno dei volumi precedentemente pubblicati (da Gianni evitata, a dire il vero, anche nella trasposizione teatrale di S.) mi sembra una scelta talmente pulita sotto il piano dell’onestà intellettuale che meriterebbe risalto e rispetto.

Claudio Valenti di Fumetto d’Autore riesce, con una sua segnalazione, nel difficile compito di parlarne male (per quanto ne può prevedere), parlarne male (grammaticamente) e parlarne male (nel senso che ne parla in un articolo, di per sé, banale).

Queste le sue parole:

Se i film tratti da fumetti sono ormai prassi consolidata nel cinema internazionale, desta un certo interesse la notizia che Gian Alfonso Pacinotti dirigerà un film tratto da Nessuno mi farà del male, creato da Giacomo Monti. Gli esempi di film italiani basati sui comics sono limitati e con l’occasione ricordiamo tra tutti lo pischedelico Diabolik di Mario Bava (il migliore), il divertente Sturmtruppen di Salvatore Samperi, lo sfortunatoTEX ed il Signore degli Abissi di Duccio Tessari, il dylaniato Dellamorte Dellamore (anche se non tratto direttamente dal fumetto, ma un romanzio di Sclavi, il più vicino a Dylan Dog) di Michele Soavi e lo scialbo Paz! di Renato De Maria.
Frutto di una collaborazione tra la
Fandango, casa di produzione, e la Coconino Press, Nessuno mi farà del male si ispira ad un volume pubblicato da Canicola che raccoglie diverse storie, a cui è stata dedicata una mostra in occasione della quarta edizione di Bilbolbul.
Il nome del regista potrebbe non dire granchè agli appassionati, ma trattasi in realtà del vero nome di
GiPi, artista parecchio noto nel campo delle Nuvole Disegnate e delle illustrazioni.
Spiace vedere come ancora una volta il cinema italiano non riesca ad uscire dai confini del cosiddetto “film autoriale”, non tentando nemmeno nel campo delle pellicole fumettose di trovare il coraggio per trasporre opere divertenti, spensierate, di genere insomma, incantenandosi ancora una volta in una ristretta cerchia d’elite che mai potrà avere appeal sul grande pubblico. Dimenticatevi insomma un futuro Iron Man, un Cavaliere Oscuro o anche magari un John Doe distribuito al cinema con il marchio di una casa di produzione cinematografica italiana…”

Tacendo della quantità di refusi presenti (una seconda lettura prima di premere “pubblica” aiuterebbe) la domanda è:

Caro Claudio, ma di cosa stai parlando?

Parti dal presupposto che il film di Gipi sia tratto dal volume di Monti, per esporre una tesi delirante priva di qualsiasi riscontro con la realtà.

“Spiace vedere come ancora una volta il cinema italiano non riesca ad uscire dai confini del cosiddetto “film autoriale”.

Spiace. Spiace cosa? Che Gipi scelga di fare un film “autoriale”?
Non l’hai visto. Non sai quale approccio stia usando per il suo film (di cui ha scritto da zero e di suo pugno, la sceneggiatura) ma a te basta per definirlo “autoriale”, perchè probabilmente reputi “autoriale” la materia di partenza senza, immagino, averla letta (ehi ci sono gli ufo!).
Ma anche fosse… questo sarebbe un problema?
“L’Italia che non riesce ad uscire dai confini del cosiddetto film autoriale” è un’Italia che nasce, vive e muore soltanto nella tua testa, in quanto i progetti in cui l’industria cinematografica italiana investe sono, per la maggior parte, prodotti popolari per famiglie ed è solo di quello che sopravvive il cinema italiano (così come gli unici registi che, ad oggi, ci campano).

Il capolavoro te lo tieni per la frase conclusiva:

“Dimenticatevi insomma un futuro Iron Man, un Cavaliere Oscuro o anche magari un John Doe distribuito al cinema con il marchio di una casa di produzione cinematografica italiana…”.

Ti rendi conto che, a parte John Doe, hai utilizzato come esempi due property che già campano dei loro franchising cinematografici legati più all’immaginario che li circonda che all’effettivo venduto dei loro fumetti? Due property che NON POSSONO essere prodotti da case italiane?
Ma a questo punto… quali potrebbero essere gli italici equivalenti? Il film su Nathan Never? Pensi che venga percepito con lo stesso impatto dal pubblico generalista?
Il film su Dylan Dog… ma, guarda un po’, anche quello prodotto dagli americani.
Perchè mai? Non vorrai farmi credere che pensi realmente che il motivo sia da ricercarsi in questa miope società italiana che inneggia al film d’autore fottendosene dei gusti del pubblico, vero?
Non è che, forse, film del genere in Italia non possono venire prodotti perchè hanno bisogno di un investimento sproporzionato rispetto alle reali ipotesi di guadagno?

Sai cosa REALMENTE spiace, Claudio?

Che un sito che si fregia del nome “Fumetto d’autore” non abbia una linea editoriale che ne rimarchi il suo significato.
Pubblicare un articolo come il tuo, la cui pecca non è legata ai refusi quanto alla banalità del concetto esposto, quando avresti potuto coglierne decine di sfumature.
Davanti alla possibilità di segnalare quello che è, a tutti gli effetti, un evento, avete puntato sulla più stupida e inutile delle polemiche.

C’è un saggio che vi indica la luna e voi non vi limitate a guardargli il dito, provate a spezzarglielo.

Noia.

Il 29 ottobre uscirà nelle sale italiane il lungometraggio animato a cui sto lavorando (insieme a un mucchio di brava gente) dal – non troppo lontano – luglio 2007.

Ho deciso di inaugurare questo spazio per mostrare quanti, e quanto complessi, possano essere i passaggi produttivi che portano alla realizzazione di un lungometraggio animato in un contesto anomalo come quello italiano (in cui, una vera e propria industria dell’animazione, non c’è).

Troverete quindi, una serie di interviste e interventi di chi, per questo film, ha investito fino all’ultima goccia del suo sudore per far si che segnasse un nuovo punto d’arrivo nel contesto della cgi del Bel paese, partendo proprio da colui che, del mondo Winx è il creatore: Iginio Straffi.

Prendetelo quindi, come un lungo backstage in cui scoprirete come, per nessuno di noi, queste sei buffe personaggette siano robetta per ragazzine,  ma contengano tutta una serie di elementi che sono serviti per metterci alla prova sotto un milione di punti di vista diversi.

Dalla possibilità di mescolare il comedy con l’action, il fantasy e il romance, alla paura e la voglia di realizzare il primo lungometraggio animato stereoscopico italiano.
Dallo studio sui tessuti e le dinamiche alla sperimentazione di effetti sonori e musicali.
Dalla realizzazione di infiniti ambienti fino alla costruzione del modello del personaggio meno in vista di tutti.
Dal non accontentarsi di fare semplicemente il sequel del film del 2007 ma rimettendo tutto in gioco per cercare di alzare di qualche tacca il livello qualitativo della resa finale, partendo dai design fino ad arrivare all’ultimo frame compositato e color corretto.

Ogni persona, a dispetto di ruoli e gerarchie, è stata fondamentale per raggiungere questo risultato.

Qualcuno dirà che avremmo potuto fare meglio, qualcuno dirà che avremmo potuto fare peggio, questo non cambia il fatto che il film che uscirà in sala rappresenta esattamente le persone che c’hanno lavorato, nei tempi e nelle modalità a loro disposizione.

Ed io non riesco a non esserne orgoglioso.

Ecco il trailer ufficiale (visto in testa a Toy Story 3 e all’ultimo Shrek) realizzato puntando maggiormente all’aspetto comedy del film, lasciando intravedere soltanto alcuni degli aspetti legati all’ambito più avventuroso.

A questo ne seguirà un altro, volto completamente a sottolineare quanto sia presente e importante l’aspetto stereoscopico nel film, a ,quanto la visione di Winx 2 in 3d, sia realmente un’esperienza diversa dalla fruizione tradizionale.
Vedere muoversi in massa la platea di bambini presenti agli screen test realizzati internamente, per provare a sfiorare le sei winx o a toccare le magie che realizzavano, ci ha emozionati parecchio, soprattutto considerando che per noi è stato IMPERATIVO realizzare una stereoscopia attenta e conforme agli standard di sicurezza legati ai bambini.

Il nuovo trailer sarà presente sulle copie stereoscopiche di Cattivissimo me.

Questo invece è un filmato che realizzammo qualche tempo fa per un servizio televisivo e, seppure mostri shot non ancora completi come quelli del trailer ufficiale, è un’occasione per sbirciare alcune sequenze in più, in cui s’intravede la citta di Avram (completamente assente nel primo trailer) e qualche fata di menare, che male non ci sta.

Quest’ultimo video invece è una piccola chicca: il primo trailer ufficiale nella sua versione per la Russia.

Russia in cui, il fermento per l’uscita del film è così grande che, come potete vedere dalla locandina…

…il film esce persino prima che in Italia!

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