L’illusionista – Recensione.

1 dicembre 2010 da Mauro

Durante la premiere di Appuntamento a Belleville al Festival di Cannes del 2003, Sylvain Chomet viene avvicinato da due strambi figuri: Jerome Deschamps e Macha Makeieff.
Detengono i diritti delle opere di Jacques Tati, mimo, attore e regista di sei lungometraggi girati tra l’inizio degli anni ’50 e la fine dei ’70 e ancora oggi tra i massimi vertici del cinema francese, e gli offrono la possibilità di trasporre in animazione lo script inedito de L’illusioniste, che Tati scrisse negli anni a cavallo tra la produzione di Mon Oncle e Playtime.

Chomet gode nelle sue stesse mutande e si getta a piene mani in una missione definita “suicida” dai più, quei più che pensano che il cinema in animazione tradizionale sia materiale d’epoca, quelli che ritengono che un cartone animato possa essere realizzato solo per vendere merchandising, quelli che un film d’animazione dev’essere solo per bambini, quelli che esigono che la favola sia solo moderna e comunque piena di gag.

Si sgancia da quel Despereaux che doveva essere il suo primo film in Cgi e dedica anima e corpo al progetto di riportare in vita il genio di Tati riuscendo, nel 2010, a dar luce al suo secondo lungometraggio animato.

Con una poetica già bella e delineata dal film precedente e il segno forte e riconoscibile, in questo nuovo capitolo del suo percorso artistico, Chomet spinge oltre ogni limite gli elementi che lo caratterizzano.

Dilatato, silenzioso, rarefatto, sospeso.

Questi gli aggettivi che meglio si adattano alla piccola poesia messa in scena dal regista dell’ultimo film di Tati.
Del Tati attore. Del Tati autore.
Quello che Chomet reinterpreta e fa suo nelle movenze, nei tic, nei minimi dettagli non solo è Monsieur Houlot ma tutta la galleria di personaggi messi in scena da Tatisheffe in mezzo secolo di carriera e che adesso, per 90 minuti, torna tra di noi in quella che, più vera di un remake, è la rappresentazione della vita che continua, si cristallizza nell’immagine cinematografica dell’uomo a colori che rivede se stesso in bianco e nero, e si fa sogno.

Il finire della carriera di un vecchio illusionista, costretto a ridurre i suoi spettacoli a causa dell’arrivo di nuove forme d’intrattenimento (sia maledetto il rock!), che trova nuovi stimoli nel regalare un po’ di magia alla vita della giovane ragazza che ha deciso di seguirlo, è metafora della doppia condizione esistenziale che ha spinto Tatì prima e Chomet dopo, a raccontarla per espiare a differenti forme di mancanza.

Secondo alcune epistole dell’epoca, Tati avrebbe scritto la sceneggiatura de L’illusioniste immaginando una sua vita con Helga Marie-Jeanne Schiel, figlia illegittima abbandonata subito dopo la nascita, motivo per cui decise di abbandonare il progetto ritenendolo di una sofferenza decisamente troppo grande da sopportare.

Secondo Chomet invece, lo script sarebbe stato dedicato a Sophie, la figlia riconosciuta, come testamento spirituale per la sua crescita.
Ma è una versione che sembra avere a che fare più con la sua storia personale piuttosto che con quella di Tati . Chomet stesso ha infatti dichiarato di aver adattato il testo di partenza immedesimandosi nel personaggio principale a causa del rimpianto che prova per non aver visto crescere la figlia piccola, per via della separazione dalla moglie e degli impegni con il cinema.

Due rimpianti alle prese con una colpa da espiare e una tavolozza di colori, musiche e (pochissime) parole per rappresentarlo.

Una messa in scena barocca e allo stesso tempo minimale, stilosa ma classica.
Con un uso della cgi raffinato ed elegante, senza il timore di imbastardire la forte matrice artigianale dell’opera.

Tutta di Chomet la scelta di trasformare la Praga scelta da Tati in una Edimburgo pastellata di mille segni e dai tratti poco definiti, così come l’idea d’inserire l’esilerante coniglio carnivoro al posto della gallina beccante.
E intorno a loro una galleria di personaggi indimenticabili filtrati attraverso il punto di vista del creatore di quelle illusioni che portano una bambina a pensare che un mondo di magia e amore possa realmente esistere.
Anche se non è così.

Per trasformarlo realmente ci sarebbe bisogno di un mago.
Ma i maghi non esistono.

Stellette? 9 su 10

Me lo merito.

30 novembre 2010 da Mauro

Perchè non t’ho mai avvicinato tutte le volte che ti ho visto da lontano.
E tutte le volte che mia sorella ti passava davanti mentre andava all’università e tu te ne stavi nel tuo bar solito e lei mi chiamava per dirmi: “Ehi se passi ora lo conosci, tanto per almeno un’ora resta qua!”

Sei l’unico per cui ho provato un timore reverenziale tale da non essere riuscito neanche a stringerti la mano.
Neanche quella volta al festival di Venezia perchè lo so che avrei preferito abbracciarti.

Ho sempre rimandato.
Non ora, dai.

Mi hai insegnato tutto quello che c’era da imparare, ma io ho la fortuna di essere un allievo indisciplinato.
Per questo le lezioni più importanti me le sono tenute per questi anni in cui non ci sarai.

 E tutti voi registi che vi mettete nella stessa posizione dei grandi senza averne ragione alcuna, voi altri, voi altri, rognosi, come osate restar vivi?

httpv://www.youtube.com/watch?v=ioUIC84ZTRE

Addormentarmi leggendo una recensione.

Questa.

Eravamo rimasti che l’Immonda Dori sotto casa mia (no, non è una battona, dovrebbe, e sottolineo “dovrebbe”, essere una libreria) ci aveva consigliato di lavarci e di fare una buona colazione.

Adesso ci ricorda, dalla sua vetrina principale, che possiamo anche fare entrambe le cose insieme:

Ma già sento le vocine dei miei piccoli fans che dicono in coro: “Mauro, fottuto manipolatore mediatico, è chiaro che ci mostri l’unica vetrina simile, escludendo le altre per i tuoi vili scopi bolscevichi! Avanti, abbi le palle di mostrare anche le altre!”

Avete ragione.  Ecco le altre.

Vetrina con piatti.

Vetrina con servo.

Vetrina con orsi.

Vetrina con libri.

Tra i quali riconosciamo, oltre agli imprescindibili Branko e Ale & Franz…

… anche Forattini, Teo Teocoli e Barbara D’urso.

E un canale di scolo per la fogne, incredibilmente simile alla forma di una recensione.

Scienza della comunicazione.

26 novembre 2010 da Mauro

Kellogg’s e Parmalat decidono di allearsi.


Il latte la prende così bene che reagisce vomitando via tutti i cereali.


BLEEEEUUURRGHHHHHH!!!

Sono tante, tantissime, le persone che vagliano e approvano (o rifiutano) le proposte creative con cui le aziende comunicano verso il pubblico.

Tutte hanno detto a questa pubblicità.

Tra quelle scartate c’era il latte che saliva su una gru manifestando contro l’inserimento dei cereali e, quella shock, in cui i cereali dichiaravano di preferire di gran lunga il tè freddo.

Non ero pronto, non sono pronto mai.

24 novembre 2010 da Mauro

Per i cambiamenti.

Mi spiazzano, non sono all’altezza.
Mi chiedo dov’ero mentre cambiava, cosa facevo di così importante per accorgermene soltanto alla fine.
E come sarà convivere con qualcosa che, volenti o nolenti, sostituita da altro è come se non ci fosse più.

Fortuna che abitudine e indifferenza sono sorelle che se la ridono alle spalle di chi sta lì a guardare il soffitto e a unire i puntini neri che vede sul muro.

Mi abituerò anche al nuovo suono della chat di Facebook.

Era ovvio che con quella faccia lì, prima o poi qualcuno c’avrebbe pensato.

Ma questo è troppo anche per me.

E per concludere, il mio preferito, OVVIAMENTE:

Qui trovate la gallery completa.
Buona visione, peccatori.
E che Dio Lasseter abbia pietà di voi.

La più donna d’Italia.
Come lei, no-no-no-no-non ce n’è!

I vincitori di X-Factor.

23 novembre 2010 da Mauro

Tenendo bene a mente che quello di Peter David è l’unico X-Factor per cui bisogna provare massimo rispetto, clicco 2 sul mio telecomando.

Non guardavo X-Factor dai tempi di Morgan, che però mi faceva un effetto strano: quando parlava, io non riuscivo a fare all’amore.

Saranno passati due anni, tornavo a casa la sera, la femmina era lì che guardava avidamente, si creava struscio corpifero, poi arrivava Morgan e io mi fermavo.
Non era importante che fossi d’accordo o meno con quel tizio che si ostina a fare brutte cover di De Andrè, per condividere o per criticare, io comunque DOVEVO ascoltare il verbo di Morgan.

Poi fortunatamente l’hanno mandato a raccogliere cicorietta di campo nei sobborghi di Sezze Scalo ed io non ho più avuto un solo motivo per assistere a questo scempio di musichette e televoti.
A riguardo del quale ho espresso chiara e forte la mia opinione, in coppia con quel fico di Recchioni, in un episodio di Dylan Dog di prossima uscita, di cui vi avviserò per tempo. Questo era un messaggio promozionale.

Fatto sta che adesso lo sto guardando. E’ la finale.

C’è uno che si rotola nella monnezza, riesce contemporaneamente a far incazzare tutti gli archetipi che plagia, grida “spero si tromba”, ma soprattutto assomiglia orrendamente alla parodia di Marilyn Manson che andava in onda su All Music qualche anno fa:

C’è quello che ce la mette tutta per candidarsi come Inutile Dimenticato.

C’è quella brava che deve dei soldi a Tori Amos ma è comunque brava, o meglio, rispetto gli altri due, non si limita a far girare le palle.

Ci sono 3 ex comici decaduti che adesso si travestono da babbi natale nei centri commerciali.

C’è quello che ha fatto rivoltare nella tomba Paul McCartney dichiarando che i Pooh sono i Beatles italiani.

Il caso umano (categoria che ben si adatta a più di uno dei presenti).

E poi c’è la vincitrice assoluta di questa puntata (ma, mi si dice, anche delle puntate precedenti).

LEI

Ok, che c’è il concorso collegato ad X-Factor ma quel minimo di rispetto verso il pubblico imporrebbe qualcosa di meno ostentato.
Rendendomi perfettamente conto di pretendere troppo, mi accontenterei se nelle prossime edizioni ricambiassero organizzando un concorso in compartecipazione con un’azienda produttrice di grossi dildi, che esposti per tutta la puntata sotto il mento della Tatangelo potrebbero improvvisamente giustificare la sua presenza tra i giudici.

Quasi quasi rimpiango Manfredi.

(ma quanti momenti di livello ci sono in questo film?!?!)

E per rispondere al titolo di questo post, concludo rivelandovi che i vincitori di questa edizione di X-Factor sono:

Madrox

e Layla Miller

(da ragazzina).

E’ stata una buona annata.

…makes Mauro a zombi boy.

E Marini c’ha ragione lui.

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