Wire! Wire! Wire!

25 febbraio 2011 da Mauro

Sembra che gli occhi siano l’unica parte del nostro corpo non soggetta al mutamento.
Guardando come li tengono serrati questi zii della new wave post punk inglese anni ’80 ho capito che è vero.

Un’ora e mezza continua di ipnotiche sfuriate e ballads infette.

Pause soltanto per ringraziare o percularci (sono partiti due “Bunga! Bunga!” urlati tra un brano e l’altro).

Chi li vide al momento giusto ne rimase folgorato.
Io che partecipo a questa seconda fase della loro carriera mi reputo semplicemente fortunato.

Grazie zii per questa epifania.

A breve, su tubi e muli vari, tutto il concerto in full hd.

Che qua mica stamo a pettinà le winx!
Eccovene un assaggio in bassa.

Se stasera sono qui…

21 febbraio 2011 da Mauro

… è perché mi/gli voglio bene.

Presenteranno il loro nuovo

e spazieranno, pescando a 360° nella loro eterogenea discografia.

Tito, tu puoi capire come sto.

Voi altri, se passate per Roma, considerateli tappa obbligata.
Prima del colosseo. E prima delle polpette di Pippo.

E ora MUSICA MAESTRO!

Altre guance da graffiare.
Ma di cosa stiamo parlando?

Il buffone di corte percula il regnante e al limite sogghigna di un’opposizione assente.
Se poi il regnante stesso si macchia d’infamia quotidiana, l’obbligo morale del buffone è quello di sottolineare le sue flaccide nudità.

L’imbarazzante ipocrisia del “parla anche degli altri” è allo stesso tempo attestato di complicità e nascondersi dietro ad un dito.
Ma di fronte ai crimini e alle tristi ostentazioni di un impero in decadenza, di cos’altro si vuole parlare?

Nella repubblica delle banane, il bambino che grida che il re è nudo viene rimproverato perché non ha notato che il duca indossa una giacca di due taglie più grande.

Seduti.
Colpevoli davanti al plotone d’esecuzione.

Ma invece di sparare, la massa applaude.
Di una cosa e del suo opposto.
La massa applaude.

“Libertà di darla.”

Dice il povero mentecatto, dimenticando che alla base di questa presunta libertà non c’è il raggiungimento di un piacere reciproco dato da uno scambio di mente e corpo, ma l’aspettativa di una minorenne e qualche sua coetanea della ricompensa in denaro di un vecchio che potrebbe cambiare le loro vite.

Libertà, pietà e povertà (etica, ostentata, simulata, celata) in questo caso hanno in comune soltanto la rima.

Nei film e nelle serie tv tutti hanno il loro posto fisso.

Per un po’ il mio Bronze ce l’ho avuto, ma poi ci si sposta, si cambia.
Eccheppalle i posti fissi che stasera è bello stare lì e domani nuotare da quell’altra parte.

Poi però Giulio, Lorenzo e Stefano hanno deciso di aprire una libreria.
Che è anche caffetteria.
Di decorarla con i capolavori di Paolo.
Con tante belle tavole originali.

E di tenerla aperta fino a notte fonda per permettere ad una combriccola di fumettisti cazzoni di sparare le loro nerdate.

Domani, Sabato 19 febbraio, inaugurerà ufficialmente.

A festeggiarla degnamente, il gruppo di fumettari di cui sopra, composto da

Giacomo Bevilacqua,
Werther Dell’Edera,
Gabriele Dell’Otto,
Emiliano Mammucari,
Giovanni Masi,
Roberto Recchioni,
Federico Rossi-Edrighi,
Riccardo Torti,
e il Sottoscritto,

a partire dalle ore 17 saranno disponibili per dediche e disegni (loro), o per mangiare pasta e fagioli con le mani insieme a voi (io).

Il locale si chiama

BOOKS & BRUNCH

e si trova in via Saluzzo 53/55, a Roma (fermata Ponte Lungo sulla linea A).

Se non siete di Roma, organizzatevi e partite per tempo.

Se siete di Roma e non passate, siete la lingua di Fede e lo scroto di Signorini.

Annunciato a sorpresa soltanto quattro giorni fa, il nuovo album dei Radiohead:

è disponibile in formato digitale a partire da…

…ora.

Daunlodate qui e pagate il giusto.

Questo è il video ufficiale del primo singolo

Qui lo stesso brano, ma in una dimensione più intima e acustica

Ed è limone buono, adatto ad ogni ferita, da ballare soli.

Tavole 62 e 63
Le trasformazioni di Robin.


Come nel caso del Giardino dell’Ozio Suicida, sentivo la necessità di alleggerire un po’ i toni.
I primi due terzi dell’albo erano decisamente troppo “pregni” di roba ed in più venivamo da una sequenza emotivamente molto intensa.
Anche troppo.
Troppo epica, troppo viscerale, troppo pesante.
Dovevo alleggerire il tutto altrimenti mi sarei ritrovato incastrato nel bel mezzo di un recente album di Nada, bello i primi 20 minuti ma poi, amica mia, datte pace.

Nella prima versione durava una paginetta soltanto e mostrava giusto tre cambiamenti di look.
E’ stato Roberto, trovandola divertente, a suggerirmi di allungarla.
Oltretutto, nella vignetta con Robin zombie (mi faceva ridere l’assonanza con Rob Zombie), c’era una voce fuori campo di John che diceva: “Cerveeeeeelli” e Robin che gli rispondeva zombamente: “coglioooooone”.
Era un inside Joke tra me e Federico che si ostina a dire che gli zombi parlino e dicano “Cervelli”.
Per me, talebano del dogma romeriano, questa è pura blasfemia.
Alla fine è stata tolta perché fumettisticamente funzionava poco, servivano troppo le inflessioni vocali per far ridere, quindi sarebbe stata più adatta per un altro media rispetto al fumetto.

Ah. Robin viene trasformata anche in Alien.

Mio fetish che spero di inserire in tutto ciò che farò (ehi, sono riuscito ad infilarlo anche in winx 2!!!).

Tavole 64/70

Queste pagine erano l’ultimo scoglio da superare, poi sapevo che sarebbe stata tutta discesa.
Dovevo riprendere tutti i fili del discorso, riavvolgerli ad uso e consumo del lettore per ribadire lo status a cui finalmente eravamo arrivati, e darlo per assodato.
John lancia le ultime stoccate a Clint e finalmente lo convince.
Ma soprattutto, convince il lettore, che se non gli crede ora, non gli crederà più e riterrà questa storia pura immondizia.

La decisione di intervallare il confronto tra Clint e John, con i siparietti nel ristorante:

è uno stratagemma per rendere più vario il racconto.

Cosa far fare ai personaggi mentre parlano allo scopo di passare delle informazioni al lettore è una delle rogne maggiori quando si sceneggia un fumetto.

Ha fatto scuola la tecnica che Castelli usa su Martin Mystére quando il professore si ritrova nel suo studio al numero 3 di Washington Mews, ad ascoltare i lunghi resoconti dei suoi clienti.

Primo piano del cliente. Controcampo/piano d’ascolto su Martin, dettaglio dei fogli che il cliente agita per avvalorare la sua tesi, totale del salottino con tutti i personaggi, esterno casa di Martin con i dialoghi che escono dalla finestra. Arrivo di Java che grugnisce a qualcosa di particolare detto dal cliente.

Il tutto serve per variare, per dare quel movimento che nel cinema è dato per scontato ma nei fumetti va comunicato in altri modi.
Per cui, la scelta di spezzare l’ennesimo confronto, con una scenetta ambientata qualche ora dopo (ehi, un flashforward!), in cui c’è anche una piccola trama (Robin si ubriaca e si lascia andare), sicuramente terrà l’attenzione del lettore più alta, senza annoiarsi a seguire soltanto il filo principale.

E il Paradiso di Dante è insopportabile. Povero Dante, vittima della sindrome dei Pearl Jam. Un primo capitolo sconvolgente, poi tutto il resto, mai all’altezza.

Tavole 71/77

Clint annuncia alla troupe il cambiamento di direzione del film.
Ecco, una cosa del genere, su un set cinematografico, equivale a dire ai direttori di produzione che hanno perso contemporaneamente entrambi i genitori in un incidente aereo.

In un film tradizionale, i due poteri forti sono rappresentati dal team di produzione e da quello artistico.
Del primo fa parte chi mette e chi gestisce i soldi (produttori, produttori esecutivi, amministratori, distribuitori) quindi quelli che si preoccupano, budget alla mano, dell’effettiva realizzabilità del film, nei tempi adatti all’uscita in sala.
I secondi invece (regista, sceneggiatori, attori ecc) si preoccupano di tutto quello che ha a che fare con la qualità del film che si sta realizzando.
E’ chiaro quindi che per questi ultimi, il film sia un costante work in progress da migliorare continuamente, anche a repentaglio della sua chiusura, mentre per i primi (per i quali ogni singolo passaggio è parte di una filiera produttiva molto più ampia), l’importante è portare a casa il girato nel minor tempo possibile.

Intuite benissimo che è veramente difficile che tra i due reparti scorra buon sangue.

Nella mia esperienza ho avuto modo di lavorare con tante di queste persone, alcune cazzuterrime, altre meno, ma posso garantire che un buon direttore di produzione è l’elemento più importante che possiate trovare sul set.
Più del regista.
Più dello stesso produttore.

Ma in questa sequenza mi sono voluto sfogare un po’ per tutte le volte che non sono riuscito ad ottenere i cambiamenti che richiedevo riguardo una determinata sequenza e, per voce di Clint (uno che ritengo sia arrivato al punto di potersi comportare in quel modo – per quanto sgradevole possa sembrare), dico su carta quello che su un set vero e proprio non potrei mai permettermi di dire!

Si, sono un autore frustrato. Lasciatemi sfogare così.

La sboronata con l’attorucolo, Flò e Sarah serviva, da una parte per fare – per l’appunto – una sboronata in puro stile JD, secondo poi per iniziare a chiudere qualche arco.

Ogni personaggio che occupa un certo ruolo nella storia deve compiere un suo arco.
Deve necessariamente partire da un punto A e trovare, nello svolgimento del racconto, il suo punto B.
Per quanto semplice o elementare possa essere, la mancanza dell’arco, lascia nel lettore un vuoto che non sa spiegarsi e che riassume nella sua testa con un: “ma allora quel personaggio che ci stava a fare?”

Punto A: Sarah è la dura e tosta coordinatrice del film. Inizia dando del filo da torcere a John e vessa la povera assistente Flo. Per di più si tromba un attorucolo facendogli fare carriera.
Punto B: Sarah si ritrova che la produzione del film che stava seguendo viene stravolta e lei è fatta fuori, sostituita per lasciare il posto a Flo, che oltretutto gli frega l’attorucolo.

allo stesso tempo

Punto A: Flo è una vessata assistente di produzione, priva di carisma e alla mercè delle persone più scafate di lei, tra cui lo stesso John.
Punto B: Flo merita di salire di grado per via della gavetta fatta sul set.

Ma gli esempi potrebbero continuare con tutti i personaggi di contorno perché le loro sono mini storie nelle storie.

Un tale diceva che le trame devono concludersi in maniera speculare.

Quindi un racconto di 100 pagine, che avrà il suo centro a pagina 50, chiuderà a pagina 90 le trame aperte a pagina 10 e intorno a pagina 70 quelle aperte a pagina 30.
E così via.
Questo fa si che le mini trame aperte a metà racconto trovino una conclusione praticamente immediata qualche pagina dopo, ma soprattutto che la trama generale che inizia a pagina 1, trovi il suo compimento soltanto a pagina 100.

Questo è il consiglio che mi dò ogni giorno.
Avere troppa fame è la cosa che più mi spaventa. Il baratro in cui si rischia di cadere quando si è affamati.
Un consiglio per John, ma in realtà un monito per me.

Tavole 78/81

L’articolo di Robin.

I giochi erano finalmente fatti.
John aveva convinto Clint ed il film era partito. Finalmente, quello che era lo scopo che Robin s’era prefissata, era stato raggiunto.

A questo punto, avevo quindi due necessità: rimettere in scena la p.r. di John e premere il pulsante dell’avanti veloce sulla realizzazione del film.
Ho unito queste due esigenze utilizzando il blog di Robin come “voce narrante” e mostrando diverse vignette ambientate in giorni successivi a quanto raccontato finora.

In questo modo, velocemente, ho potuto saltare tutti i passaggi che mostravano John attore (faticosissimi da digerire per il lettore, per cui trattati velocemente al fine di evitare l’effetto “Barbie sub”, “Barbie grande attrice”), il suo training, e varie peripezie sul set.
Ed in più, concludendo il tutto con questa vignetta:

mettevo proprio la parola fine alla nostra storia.
Prima che il film fosse uscito, già era un successo di pubblico.
Robin aveva ottenuto quello che voleva.

Ma.

Ma.

Voglio dire, siamo a tavola 81, ne mancano ancora 13… possibile che la storia sia finita qui?
Ci interessava VERAMENTE raccontare questo?
E soprattutto, che fine ha fatto Andy che era scomparso dopo aver dato il consiglio a John?

Se lo chiede anche il nostro dio nelle

Tavole 82/84

in cui, in sole tre pagine, passo decisamente troppi concetti (colpa mia, ero arrivato lungo), ossia:
La scomparsa di Andy


(Earl & Crabman sono un gentile omaggio di Luca Maresca)

John Doe attore

e Clint che inizia il suo delirio mistico.

Delle tre, la prima ha avuto il suo spazio. La seconda, come già detto, meno ne aveva e meglio stavamo tutti, la terza è stata trattata superficialmente.
Niente da fare, mea culpa.
Dopo aver ammantato Clint di un’aurea così leggendaria, raccontare la sua conversione in così poco spazio, l’ha ridotto ad una macchietta.
Me ne rendo conto.
Ma ho confidato nella grossa emotività delle scene precedenti e soprattutto di quelle che sapevo stavano per arrivare, per sperare che il lettore non gli desse così tanta importanza.
Dopotutto, arrivati a questo punto, il mio interesse non era più tanto su Clint (che qui, in pratica, arrivava alla conclusione del suo arco) quanto su John, Andy, e quel lato umano che si stava rivelando come il vero protagonista di questa storia.

E in queste vignette:

è nascosto già tutto quello che dopo andremo ad esplicitare: Clint se ne frega di Andy (appunto, il lato umano dei suoi film) perché troppo preso dalla sua deriva mistica.
Questo fa scattare il quinto senso e mezzo di John.

Tavole 85/89

John si reca all’indirizzo di casa di Andy

trova la porta aperta, ed entra.

Ed eccoci finalmente davanti ad uno dei miei momenti preferiti di tutto l’albo.

Allora, arrivato a questo punto (quindi a poco più di 10 tavole alla fine dell’episodio), ancora non sapevo se Andy esisteva oppure no.
Una parte di me voleva una conclusione alla Sesto Senso, con il lettore che torna ad inizio albo e scopre che solo John ha parlato con Andy per tutta la storia. E quella parte ha fatto si che io tornassi indietro e modificassi un po’ di cosine già scritte.
Fortunatamente quella parte è stata zittita molto presto.
Alla fine i sestosensismi li odio abbastanza, per cui, era deciso: Andy avrebbe sì rappresentato il lato umano di ogni film di Eastwood, ma sarebbe anche stato un personaggio in carne ed ossa.
Per cui, Andy, in un certo modo, quando non stava nel limbo dei personaggi inutilizzati, esisteva in tutto e per tutto.

Detto ciò… detto ciò, il Limbo dei personaggi in attesa di nuovo utilizzo, il cimitero dei non esistenti, mica m’era ancora venuto in mente!

Il confronto tra John ed Andy doveva avvenire a casa della comparsa, ma non mi convinceva.
Basta con ‘ste chiacchierone tra due personaggi in un unico ambiente.
Dovevo inventare qualcosa.

E oltretutto sentivo l’esigenza forte di ricollegarmi in qualche modo alla copertina realizzata da Davide De Cubellis.

Si perché in tutto ciò, mentre Luca ed io ci facevamo il nostro bell’albetto, l’attuale copertinista più bravo d’Italia mi scriveva per avere qualche notizia in merito all’albo in modo da iniziare a pensare a come copertinarlo.

Quando anch’io, non è che ne sapessi molto più di lui, gli scrivevo ciò:

“L’uomo con la macchina da presa” è il terzo numero della nuova serie di John Doe.

Come per altri episodi del primo story arc vediamo Robin Castillo, p.r. di John, alle prese con un modo per sollevare le quotazioni di John/Dio rispetto alla percezione degli esseri umani.

In questo caso l’idea è quella di farlo apparire in un film propagandistico sulla figura divina che lui rappresenta.
Sul concetto di dio e di religione in genere.
John ribatte che non accetterà mai… fino al momento in cui non scopre il nome del regista incaricato: il suo regista preferito di sempre (al momento siamo abbastanza certi che sarà Clint Eastwood).

Un regista profondamente ateo. Che nel suo immaginario ha sempre messo l’uomo e non il dio.
Quindi un regista che sicuramente farebbe scalpore realizzando un film intriso di religione.

John, che non può sfruttare i suoi poteri per scopi divini (sennò negherebbe il patto del libero arbitrio) e quindi si ritrova, come tutti, a fare un provino che non si concluderà benissimo, in quanto lo vede arruolato solo ed esclusivamente per fare la comparsa.

Resta stupito, è una grossa botta per il suo onore, finchè non incontra Andy.

Andy gli si presenta con questa battuta:  “Ci chiamano comparse e vogliono che nessuno si accorga della nostra presenza. Sarebbe più giusto “scomparse” allora. No?”
Andy afferma di aver fatto la comparsa in TUTTI i film del regista, che ormai lo considera una specie di portafortuna, e davanti a un John perplesso, sicuro di non averlo mai notato prima, risponde: “Mi hai sempre visto, ma io ho una faccia nata per essere dimenticata. Come la tua.”

Da questo momento quindi nasce una strana amicizia tra John ed Andy, un’amicizia nata in un ambito, quello delle comparse, di persone che si ammazzerebbero pur di farsi notare dal regista.
John impara molto da Andy ma nel momento stesso in cui viene notato dal regista e acquista sempre più peso nel film, inizia ad inimicarsi quello che sembrava un vero amico.

In breve l’amicizia tra i due naufraga e John diventa il pupillo del regista trasformando il film in uno spot religioso esattamente come programmato.

Ma qualcosa non va.

I film di questo regista hanno avuto sempre come fuoco, come obiettivo centrale, l’uomo, mai il divino, e John a un certo punto si troverà davanti al dubbio se continuare e realizzare, il primo – brutto – film di un regista che lui reputa un dio, oppure se rinunciare al suo proposito e, riconquistare un amico.

Il tutto, metaforicamente, ci serve per raccontare le frustazioni di Dio che, davanti ad un ateo, perde tutto il suo peso, il suo potere, svolgendo solo il ruolo di comparsa ai margini della sua esistenza.
Ed ha una doppia valenza sottolineando che in questo caso, dio è la comparsa, e ad esserci dietro alla macchina da presa è solo un uomo.

Il titolo invece, è preso in prestito da uno strano strano film del 1929, con una splendida locandina, che nasconde una storia molto particolare.”

Davide riflette un po’, e poi ci manda questo bozzetto:

seguito da questa mail:

“Roberto e Lorenzo, ciao.
Mauro, ciao in cc.

Come al solito, facce, ingombri, espressioni: tutto in fieri.
E’ solo un bozzetto.
Non so ancora con quale stile-tecnica la realizzerò.

Premesse.

In base a quello che mi ha scritto Mauro e alla mia interpretazione ho lavorato su quest’idea… con molto streben, ma è quello che volevo.
Se la seconda copertina era un ‘bastone’, questa dovrebbe un po’ fare da ‘carota’.

Non ho insistito molto sul “comedy”, per questo motivo. Ciò nonostante alcuni elementi inseriti nel bozzetto dovrebbero restituire all’azione una componente allegorica e “comedy”.

Concept.

La passione di Cristo, attraverso il cinema dell’uomo.

Dio s’è fatto uomo (il Cristo) per esperire tutto ciò che era dell’uomo e con la Passione, l’estremo e ultimo sacrificio, redimere l’uomo stesso dal peccato originale.
Cristo, (ultimo) agnello di Dio.

Durante la passione il Cristo si lascia giudicare, condannare e torturare dall’uomo fino alla pubblica gogna: la crocifissione.

John si fa uomo-attore in questo episodio, per attraversare le tappe di una nuova passione ed essere esposto alla gogna moderna del cinema: fatto per l’uomo e dall’uomo… il nostro regista in particolare.

Della sottotrama o trama parallela col personaggio “comparsa” me ne sono fregato abbastanza.”

Per me era fantastica.
Era fantastico soprattutto il ragionamento che stava dietro quel bozzetto.
Quindi gli ho fatto semplicemente togliere il nome di Eastwood dalla copertina per mantenere un minimo di curiosità sull’albo e tutto il resto è stato felicemente approvato.

Ma, e torniamo al ma di prima, m’assaliva nella mente il pensiero che poi, i lettori, si aspettavano di ritrovare il centurione col volto da macchina da presa nella storia!

Io me lo sarei aspettato.

Mi dicevo di no ma era solo un modo per non forzarmi ad inserire qualcosa che nella storia, fino a quel momento, non c’entrava nulla.
Certo che se avessi trovato un modo…

E il modo è arrivato mentre immaginavo questo Limbo dei personaggi dimenticati… Andy… e quindi qualcuno che lo scortasse per quelle lande.
Qualcuno di apparentemente minaccioso, come nella copertina, ma che poi si rivelava simpatico e divertente.

Anzi, proprio l’esigenza di non relegarli al ruolo di comparse mi ha fatto venire in mente che potessero avere questa stupida, piccola caratteristica:

Uno dei due ripete quello che ha appena detto l’altro.
L’altro si incazza.

Stop. Semplice.

Che tanto, di più, in quel poco spazio, non si poteva dire. Sclavi era un genio nel caratterizzare con elementi minuscoli dei personaggi che poi ti rimanevano nel cuore, io non aspiravo a tanto, ma il modello era sicuramente quello.

Ah. In giro per il cimitero dei personaggi che non vengono più utlizzati c’è:

Il battello di Steamboat Willie.
Il robot del Pianeta Proibito.
La luna di Melies.
La statua della libertà del Pianeta delle scimmie (l’originale).

Herbie.
Il libro dei morti di Evil Dead.
Semola.
Slottie dei Goonies.
Lo slittino di Quarto Potere.

Tavole 90/91

John finisce di parlare con Andy, comprende di aver sbagliato tutto e dopo aver visto che il suo mito è definitivamente diventato una macchietta, decide tranquillamente di cancellare la realtà di questo episodio:

Non credevo che me l’avrebbero mai passata, buttarla sulla gag, mi ha sicuramente aiutato.
E questo era il finale.

Tavola 92

Di tutta la realtà cancellata volevo comunque preservare il confronto tra John e il padre, quindi eccolo riproposto, ma con la battuta cambiata.
Clint resta la loro chiave, ma quello che è venuto a modificarsi è il ruolo svolto da John.

Questo l’epilogo numero uno.

Tavole 93 e 94

E questo l’epilogo numero 2.

Clint sta veramente girando un film intitolato Hoover, che dovrebbe uscire tra il 2011 e il 2012.
Mi piaceva concludere l’episodio nel giorno della prima perchè mi immaginavo si essere in sala, tra un annetto, e proprio come John, mettermi a cercare tra i fotogrammi, alla ricerca di Andy.

Ecco fatto.
L’episodio si chiude qui.
Mi scuso per essere stato troppo verboso ma spero di aver solleticato la curiosità, risposto a qualche domanda e magari aver svelato un po’ di quello che si nasconde dietro questo splendido mestiere.

Durante la stesura dell’albo non sono stati danneggiati animali ma in compenso ho ascoltato un sacco di bella musica.

(in rigoroso ordine alfabetico):

Swanlights – Antony and the Johnsons
The suburbs – Arcade Fire
Humbug – Arctic Monkeys
Transit Transit – Autolux
Penny Sparkle – Blonde Redhead
All the people – Live at Hyde Park 02/07/2009 – Blur
Californication – First Season OST
Dark Night of the Soul – Danger Mouse & Sparklehorse
Songs of pain 1980-81 – Daniel Johnston (“Never Relax”, vero Giò?)
Hunky Dory – David Bowie
Halcyon Digest – Deerhunter
Into the Wild – Eddie Vedder
D-Sides, Plastic Beach – Gorillaz
Grinderman 2 – Grinderman
Hawk – Isobel Campbell / Mark Lanegan
Our Inventions – Lali Puna
Overtime – Mary and the Strays
Heligoland – Massive Attack
Low Life – New Order
Slanted & Enchanted – Pavement
Greatest Hits. So far. – P.I.L.
Scott Pilgrim Vs The world OST
Rubber Soul, Revolver, Abbey Road – The Beatles
The Queen is dead – The Smiths
The XX – The XX
The Eraser – Thom Yorke
Desperate youth, blood thirsty babes – Tv on the Radio
Send, Object 47 – Wire.

Niente roba italiana quando sceneggio, perché sennò mi perdo a sentire le parole e finisco col trascriverle, come per errore.

Ciao.

Continuo a sfogliare il terzo numero della n.s. di John Doe e a raccontare quello che c’è dietro ognuna delle sue pagine.

Tavole 32/34

John vuole diventare il protagonista del film e non una mera comparsa.
La prima cosa che decide di fare, quindi, è andare a rompere le uova nel paniere all’attorone di turno.
Sarah (che è presente sul set per assicurarsi che il budget venga gestito adeguatamente e tutti svolgano correttamente il loro compito), se ne accorge ed interviene.

Nel frattempo Clint guarda nell’occhio della videocamera, un gesto emblematico ma ormai quasi solo simbolico perché usualmente il regista preferisce seguire la scena dal monitor delegando lo sguardo in camera a direttori della fotografia ed operatori di macchina.
Ma Clint è della vecchia scuola quindi, secondo me, lo fa.
E’ uno che si sporca le mani e che non è mai uscito dalla trincea.

John accusa l’attorucolo di lavorare solo in virtù della sua storia con la direttrice di produzione.

Ci tengo a sottolineare che questa non è una prassi abituale nel mondo del cinema (ok, a parte Benigni e la Braschi) e che anzi, solitamente, le coppie nascono e muoiono direttamente sul set, mai prima.
Il set, volendo, è più simile ad una colonia estiva dove è raro che ci si presenti accompagnati!
Aldilà del gossip, il senso di questa sequenza è legato semplicemente a quello che dovevo ottenere, ossia creare un po’ di fuffa per isolare Clint e John e permettergli di parlare da soli.
Ma avevo lasciato Clint alle prese con un set, quindi, come liberarsi di tutti?

Il piano era di iniziare mostrando la situazione di stallo: Clint al lavoro, seguito da Sarah.
A questo punto creare scompiglio con la storia di letto (che non sapevo assolutamente che avrei ripreso, in quel modo, sul finale) e buttarla sul John che fa il fico con Sarah sfottendola per le scarpe che porta.
Ora, se c’è una cosa di cui io mi intenda meno del vino… sono le scarpe!
Quindi mentre scrivevo questa sequenza ho mobilitato le mie colleghe rimaste in Rainbow alle 20.30 per una consegna improvvisa e ho chiesto quale fosse un marchio di scarpe immediatamente riconoscibile da un pubblico tra i 18 e i 30 anni che legge fumetti, segue serie tv ecc ecc.
La risposta è stata univoca: le Manolo Blahnik di Sex & the city!
Ora, se c’è una cosa di cui io mi intenda meno del vino e delle scarpe…
Mi sono fidato al volo e ho fatto anche quella certa figura da maschio postmoderno e attento agli interessi femminili.
Che se c’è una cosa di cui io… ok, basta. Fatto sta che, in questo scompiglio, ci siamo persi Clint. Dov’è andato?
A mangiare.
Bene.
Come far sapere a John DOVE è andato a mangiare?
Difficile, Sarah non glielo direbbe.

Ok, scelgo la via più facile.

Semplicemente John ci arriva sfruttando la sua conoscenza di Eastwood.
Non è il modo più elegante per risolvere una soluzione come questa e me ne rendo talmente tanto conto che, pur di distogliere subito l’attenzione da quel passaggio, sento il bisogno di inserire sia la battuta sull’Eastwood repubblicano/democratico che quella sul saluto da coattello in cui dice alle due di baciarsi tra di loro mentre aspettano il suo ritorno.

Come a chiedere al lettore di credermi e darmi fiducia.
Non è una cosa che si può fare spesso, quindi meglio non abusarne.

Tavole 35/42

In queste pagine ci sono i tentativi, falliti, di John per attirare l’attenzione di Clint.
Il primo approccio, nella mensa, è goffo ed impacciato.
John si comporta come quei fan che trattano il loro mito da amicone e lo assale in mensa mettendogli una mano intorno al collo e citando testualmente una frase che venne rivolta al suo personaggio in Gunny.
Il tutto davanti a Loren, la tipa della mensa.

“Loren” che oltretutto è un personaggio esistente e ben conosciuto da tutti i frequentatori della mensa di Cinecittà.
Ho scritto questa scena proprio perché mi faceva sorridere vederla in quella situazione lì, a nessuno verrebbe mai in mente di rivolgerlesi con un “Vai a rompere il cazzo a qualcun altro!” e ho pensato che comunque, poteva far sorridere a prescindere.

Arrivato a pagina 36 DOVEVO reinserire Robin.
Me l’ero persa troppe tavole fa, ed in più mi era comoda per rendere più dinamici i passaggi tra una situazione e l’altra.
Anzi, alternando i tentativi di convincimento con  le reazioni di Andy e Robin, potevo far scorrere il tempo e avviare l’inizio dei lavori per la produzione del film.
Potevo far “sentire” un po’ di set e giocarmi qualche scena avvenuta veramente.
Una scena come questa:

Era il 2005 e lavoravo a questo spot della Coca Cola:

la regia era di Ago Panini (un vero mostro di bravura) ed eravamo tutti a Castel S.Angelo.
Ad un certo punto due delle comparse, esattamente come John ed Andy, si mettono a parlare tranquillamente mentre si stava girando.
Ago non crede ai suoi occhi, grida uno STOOOOOOP! da risvegliare i morti e aggiunge: “Fatemi BRILLARE quelle due comparse! Toglietemele da davanti agli occhi!”
Tutti scoppiarono a ridere tranne l’assistente di produzione che balbettò un “L-le faccio brillare subito!”
Ora, “Brillare” è un termine un po’ ostico perché presta il fianco al doppio significato, l’ho sostituito con “Esplodere”, ma il senso rimane lo stesso.

La risposta di John invece fu ESATTAMENTE quella che diede la comparsa: “Volevamo solo aggiungere più verità alla scena!

A tavola 40 Andy dice: “Per un attore, recitare non è fingere. E’ interpretare e impersonare. Una cosa naturale come svegliarsi la mattina e, eroicamente, pisciare
Quell'”eroicamente, pisciare” è un rimando a Lucio Lucertola, anziano professore, che compare nel mio libro preferito di Stefano Benni: Comici Spaventati Guerrieri.

Un libro che comincia così:

Lucio Lucertola festeggiò il suo settantesimo compleanno svegliandosi. Riteneva questo un fondamentale segreto della vita: svegliarsi e addormentarsi un numero di volte esattamente uguale. Se ci si sveglia anche solo una volta in meno non si recupera più, si sputa la pallina, consummatum est, diceva Lucio che era stato professore di latino e italiano, ed era inoltre Curioso in altre scienze, le naturali le fi­losofiche le zoologiche (in particolare i batteri), la botanica urbana, i cinesi, il concetto di inizio finale. Lucio Lucertola sorge dal letto faticosamente, con una protesta rumorosa di tutte le ossa. Un canto melodioso e trionfale lo accompagna. Le stesse cellule senza scrupoli che riempiono di ghiaia arterie e articolazioni del vecchio Lucio, animano il risveglio entusiasta del suo giovane canarino. In un bicchiere sul comodino Lucio ritrova il sorriso da cui si è separato per una notte. Con un colpo di pettine lusinga i trenta capelli su perstiti, quindi eroicamente piscia. Ci fu un tempo lontano in cui doveva prendere ogni precauzione perché il dorato arcobaleno non imbizzarrisse e bagnasse ovunque nei dintorni. Ora, proteso sui bianco dell’abisso, sta attento che maligne gocce perpendicolari non gli condiscano le pantofole. Tam citus prosilit, nunc prolapsa prostata. Ama comporre versi, il mattino. Si infila gli occhiali. Si avvicini alla tenda della finestra, la squarcia. Appare al mondo, e il mondo gli appare.

Bello, no?

Nelle tavole 41 e 42 John decide, sbagliando nuovamente, di approcciare Clint nel momento di massima intimità.
Quest’ennesimo fallimento  gli fa capire di non essere in grado di gestire la situazione e di chiedere aiuto all’uomo che, per primo, l’ha messo davanti ad Eastwood.

Arrivati a questo punto, avevo raccontato al lettore qual era lo scopo di John, lo avevo mostrato fallire, ora dovevo trovare quell’elemento che gli aprisse gli occhi.
La chiave di volta.
Ed era la cosa che più mi terrorizzava nelle pagine precedenti a questo momento.
Qui mi giocavo tutto. L’approvazione per la storia o un sonoro vaffanculo.
Cosa ci poteva essere di così cazzuto da riuscire a convincere Clint a fare qualcosa che non voleva minimamente fare?
Non lo sa neanche John, ma John sa che deve proprio ad un inconsapevole Eastwood quel po’ di legame che riuscì a stabilire con suo padre, per cui è proprio da lui, morto tanti anni prima, che decide di recarsi.

(la citazione da Watchmen è tutta farina del sacco di Maresca, che ama riempire di piccole chicche le sue tavole)

Tavole 43/51


Prima di arrivare a scrivere questa parte mi sono interrogato a lungo su cosa avrebbe potuto dire a me John per convincermi a parlare di religione e spiritualità.
Io che credo nell’uomo esattamente come fa Clint, su cosa avrei potuto ascoltarlo?
Ho pensato a qual è il mio legame con dio e a cosa lo associo.
Ho pensato al paradiso come a quella condizione in cui ti senti, finalmente, accettato.
E ho pensato a quando io, da piccolo, come molti altri bambini, sentivo il bisogno di sentirmi accettato da mio padre.
La mia chiave fu De André, il noioso De André che tanto gli piaceva e che, semplicemente ascoltandolo, mi traghettava un po’ verso quel suo mondo interiore da cui io mi sentivo precluso.
Dal farmelo piacere forzatamente ad adorarlo fu solo questione di tempo ed ancora oggi, l’affetto che provo verso il cantautore genovese è in larga parte dovuto al ruolo che ha avuto nel mio rapporto con la figura paterna.
Con De Andrè ho iniziato a sentirmi accettato avvicinandomi a quel paradiso personale di cui parlo nell’albo.

E questo è quello che volevo raccontare perché anche parlando di me, stavo andando diretto al punto focale della storia.

Il bambino che vuole farsi accettare dal padre per raggiungere il proprio paradiso personale non è altro che la metafora del fedele della religione di cui John impersona il creatore.

Ma a differenza mia, John bambino, per farsi accettare da suo padre, punta sui film western, in particolare nella figura dello Straniero senza nome impersonato da Eastwood.
Ci riesce. Stabilisce un legame.
Clint, per lui, è stato la chiave per il raggiungimento dell’accettazione, del paradiso personale nei confronti di suo padre.

E ora lo vuole incontrare per parlargliene e per chiedergli un consiglio su come, eventualmente, rivelargli questa cosa.

Ma mentre sceglievo la giusta “voce” con cui raccontare quest’episodio, ho pensato che non potevo usare la mia. Non potevo usare John.
Era un gioco con le carte troppo scoperte e non sarei stato – totalmente – sincero.
Dovevo togliermi da me/lui.

E a quel punto m’è venuto in mente di far parlare per primo il padre di John.

M’ero fregato da solo.
Un colpo di scena interiore.
Invece di raccontare del figlio che cerca e trova un modo per farsi accettare (il che sarebbe stato, comunque, un lieto fine), raccontare i tentativi, falliti, del padre, nel voler ottenere lo stesso scopo.
Falliti perché il figlio non li notava minimamente.
Perché un bambino di 10 anni non riesce a pensare di essere così forte da far soffrire suo padre. Da lasciarlo impotente, senza fiato, nel vuoto dei suoi tentativi sprecati.
Ho immaginato questo padre che ci prova.
Che spera di riuscirci. Che ne parla con sua moglie. Ma che alla fine non sa neanche lui se ce la fa, perché è difficile che i bambini guardino aldilà del loro stesso naso.

E questo mi permetteva di rivalutare ancora una volta il concetto generale di quanto stavo raccontando: se per un bambino è difficile guadagnarsi l’approvazione di suo padre, quanto dev’essere complesso per un padre, guadagnarsi l’approvazione dei figli?
Quanto può essere faticoso per un Dio, sentirsi approvato dai suoi fedeli?

Chiusura del cerchio. In un solo colpo mi tornava la situazione di conflitto iniziale di John a braccetto con quello che vuole arrivare ad ottenere.

Mentre scrivevo, l’ansia di fare qualcosa di troppo ombelicale c’era.
Chiuso l’ultimo dialogo ho chiamato Roberto, gliel’ho letta tutta d’un fiato.
Lui ha aspettato un attimo e poi m’ha risposto: “Se non sapessi che è impossibile direi che da bambino mi seguivi di nascosto!”
Bene.
Se Roberto s’era immedesimato poteva valere lo stesso per tutti gli altri.
Non ero rimasto nel mio ombelico.

Tavole 52/53

Qualche tempo fa, in una delle solite cene piene di fumettari, il prode Leomacs raccontò un divertente aneddoto che legava Hugh Jackman e Clint Eastwood, ve lo riporto con le stesse parole di Jackman:

“Ero ad uno dei grandi eventi della Warner Bros e c’erano tutte queste grandi stelle del cinema in fila nel backstage. Stallone era davanti a me e Clint subito dietro e tutti eravamo così imbarazzantemente vicini.
Mi voltai e mi presentai: “Buon giorno Mr Eastwood, Hugh Jackman.” Clint rispose con un: “Si, lo so.”
Io allora continuai: “Comunque…so che dobbiamo andare ma volevo dirle che spesso mi dicono che assomiglio a lei in alcuni film e questo per me è il più grande degli onori.”
Clint replicò: “Ragazzo, stai intralciando la fila.”
Non lo dimenticherò mai. Quella sera mi rintanai in un angolo e non ebbi il coraggio di guardarlo ancora negli occhi!”

In questa tavola mi sono divertito a far fare a John la stessa figura.
Grazie Leo!

Tavole 54/56

Altra sequenza delicata.
Qui, John ha fatto il suo percorso, ha capito, e quindi è ora che passi questi concetti a Clint.
Dopo la ritrosia iniziale mi serve che Clint inizi ad ascoltare John.
Inizialmente lo fa nel suo modo burbero, poi si interessa ai discorsi del ragazzo, probabilmente solo per confutarli ma alla fine resta colpito dalle sue parole.
Tre pagine non da dedicare alla “conversione” di Clint, per quella c’è ancora tempo, ma per rendere credibile anche solo che decida di ascoltare quello che John ha da dirgli.
E John gli parla col cuore in mano.
Forse troppo. E da troppe tavole. C’è bisogno di una svolta sennò vado fuori personaggio e i lettori se ne accorgono.
Ok che siamo in una storia decisamente sentimentale, ma John ha un unico scopo nella vita: perseguire i suoi scopi.
Per cui usa, manipola, ottiene.
Questo il perché della

Tavola 57

in cui tutta la tensione emotiva degli avvenimenti precedenti crolla davanti al fatto che è John stesso a ridicolizzarli parlandone a Robin.
Si pone con lei come se tutto fosse stato mirato soltanto a fargli ottenere il risultato che voleva, ossia convincere Clint con ogni mezzo possibile.
Avendo visto come sono andate le cose con suo padre sappiamo benissimo che per un attimo, la maschera da duro profittatore, gli era rotolata per terra, ma l’atteggiamento che sfoggerà a partire da questa tavola, ci dimostrerà che in realtà era molto più rilassato di quanto potessimo ipotizzare.

Sentivo l’esigenza di un cambiamento di mood perchè mi rendevo conto che se avessi calcato ancora la mano sull’aspetto emotivo sarei risultato esageratamente stucchevole (invece alla fine me la sono cavata con un sopportabile: “un po’ stucchevole!”)

Tavole 58/60

Il “Giardino dell’ozio suicida” deve il suo aspetto grafico al mostrone gigante che trovate alla fine di questo video qui:

I ragazzi della Passion Pictures (gli stessi a cui si devono i video dei Gorillaz e molta altra bella roba) di Londra hanno realizzato questo capolavoro nel 2009, come video d’apertura del videogioco della serie Rockband dedicato ai Beatles. Guardarlo almeno una volta al giorno è cosa buona e giusta.

Volevo inserire un nuovo elemento “cosmico” da legare a John.
Un nuovo Ristorante al termine dell’universo. Qualcosa che si fosse creato per sé stesso negli anni.
Poi morivo dalla voglia di inserire qualcosa dei Beatles.

Come fare, come non fare, eccolo qui. Il Mostrone.

Ma che fa? Perchè inserirlo? Perchè cade?

Cade perchè si ammazza. E si ammazza continuamente per ricordare a John che non può riposarsi più del dovuto. E’ pur sempre Dio.

Divertiva me, divertiva Luca, divertiva i papà di John Doe. E quindi eccolo qui.

Fine Seconda parte.

Tra qualche ora sarà in edicola il quarto episodio della nuova serie di John Doe che vede esordire alle matite il buon Fabrizio Galliccia su testi di Lorenzo Bartoli.
Chi doveva leggere il numero 3 quindi se l’è già bello e sparato e visto che il commento dell’autore è il contenuto extra da dvd su cui mi lancio con più interesse, tento di replicarlo su queste pagine.
A me piace sentire il punto di vista di chi ha lavorato per ottenere il risultato che mi arriva come fruitore e sono assetato di aneddoti e piccoli trucchi.
Nel fumetto si fa raramente e quando anni fa, nel primo numero di JD mi trovai davanti la rubrica “Contenuti speciali” ho pensato fosse un’utile genialata.
Il limite di una sola pagina non permette però di raccontare tutti i retroscena di un albo e quindi, sperando di fare cosa grata ai lettori di JD, a chi vuole scoprire cosa si nasconde dietro le quinte e di divertire qualche collega, ecco cosa si nasconde, pagina dopo pagina, dietro alla sceneggiatura dell’albo di John Doe “L’uomo con la macchina da presa”, scritto dal sottoscritto e strepitosamente  disegnato da Luca Maresca.

Per la numerazione utilizzo quelle delle tavole, che tanto è stampata a margine ed è leggibilissima.

Ok, ciancio alle bande, albo alla mano, iniziamo!

Tavole 1/7

L’idea di utilizzare un monologo di Bill Hicks è di Roberto.
Io sapevo di voler cominciare l’albo con l’audizione di John davanti a quelli che sarebbero stati i direttori di produzione del film ma mi stavo perdendo per strade tortuosissime.
In una delle prime versioni, John fa l’audizione accompagnato da Pestilenza ed entrambi interpretano i passaggi di famosi film che, in un modo o nell’altro, citavano Dio.
E quindi eccoli alle prese con “I dieci comandamenti“, “Una settimana da Dio“, il quinto Star Trek, ecc ecc.
Quest’idea faceva schifo. E oltretutto poi mi sarei dovuto trascinare Pestilenza per tutta la storia quando non ce n’era alcun bisogno narrativo.
Non riuscivo a farla girare bene, Roberto che mi vedeva incastrato (lavoriamo spesso insieme, uno ad un lato del tavolo, uno a quell’altro) mi fa: “Ma scusa… Bill Hicks!”
Giusto!
E mentre ci divertivamo  a guardarci tutti i video di Hicks sul tubo pensavo che mi sarebbe piaciuto utilizzare proprio il comico plagiato da Luttazzi per far scattare istintivamente nel lettore più smaliziato un pensiero del tipo: “Eccone un altro che spaccia la roba di Hicks per sua!” Per poi invece smascherare contemporaneamente sia me che John, rivelando il nome dell’autore dello sketch all’interno dello stesso albo!

Da pagina 3 a pagina 6 mi prendo qualche libertà sullo sketch di Hicks e faccio la trashata di inserire una versione tamarra di Cristo e gli apostoli.

Nella vignetta 3 di pagina 3 c’è una mia cazzata su cui Roberto mi sta ancora perculando:

il gesto che fa Gesù serve già ad indicare il silenzio, e si usa proprio non dover usare la voce.
Inserendo “Silenzio!” nel balloon, lo vanifico.

Nella vignetta 5 di pagina 3 c’è un piccolo refuso. Nella battuta originale, invece di “Giovanni, controlla ad ore nove!” c’era scritto: “Giovanni, controlla ad ore IX!” Una cazzata, ma mi faceva ridere.

A pagina 5 faccio diventare Gesù chiaramente un Super Saiyan e l’omaggio è tutto per Dragonball ma soprattutto per Maresca.

Mi angosciava infatti sapere che in questo episodio gli avrei fatto disegnare un sacco di chiacchiere e poca azione, per cui ne ho approfittato per farlo divertire e per divertire il lettore, ben sapendo che, nelle prossime pagine, sarebbero state poche le occasioni simili.

La vignetta 5-6 di tavola 7 è la ragione per cui la scelta è ricaduta su questo monologo di Hicks e non su altri.
La conclusione con Dio che esclama: “E adesso vediamo chi crede in me!” mi sembrava perfettamente in linea col personaggio di John e già me lo vedevo con le braccia allargate e la faccia strafottente.

Luca si è superato.

Tavola 8

Qui scopriamo a chi si sta rivolgendo John.
Nel tratteggiare questi tre personaggi ho voluto inserire tre specifici caratteri con cui spesso mi sono trovato a collaborare nelle mie esperienze per tv e cinema.

Sarah è la tipica direttrice di produzione milanese che, per motivi imprecisati, si trova a lavorare a Roma.
Incazzata di partenza, quindi. E’ dura con tutto e tutti.
Intendiamoci, è una seria professionista e sa il fatto suo ma odia i suoi collaboratori non ritenendoli all’altezza del suo impegno. Lei ha lavorato 20 ore al giorno per ottenere il suo posto, tu che ne lavori solo 12, non meriti di esistere.
Trevor invece rappresenta il direttore di produzione tranquillo, molto vicino alla troupe. Per lui quello è solo un lavoro, che fa con passione, ma che non supera mai la soglia dell’ossessione.
Flo invece è l’assistente di produzione alla sua prima grossa prova. Mi andava di darle un nome da “cameriera” perché lei è lì per servire gli altri.
Il dialogo in cui Sarah la zittisce dicendole: “Tu non pensi niente, scrivi e basta.” è purtroppo tratto da una storia vera.

A questo punto della storia però, dopo il classico “prologo spiazzante” che serve per catapultare il lettore nella storia confondendolo un po’, arriva il momento della prima spiegazione.

Quando che Sarah chiede a John: “Signor Doe, perchè vuole recitare in questo film?” è la stessa cosa che si sta chiedendo il lettore, e quindi, le tavole…

Tavole 9/14

… introducono il flashback di spiegazione.
Robin è a casa di John.
Per me è importante che i personaggi mostrati in campo raccontino parte di quello che sono stati e di quello che saranno.

Robin è sul divano, indossa una tuta, è seduta e sta leggendo i commenti su un blog col suo Ipad mentre aspetta John che si prepara in bagno.
Capiamo che non hanno passato la notte insieme e che erano d’accordo per vedersi ed andare a correre insieme. Anzi, forse correre insieme ogni mattina è una loro prassi.
Lei è arrivata puntuale e lui doveva ancora svegliarsi.
E’ chiaro che non abita lì altrimenti si sarebbero preparati insieme e invece lei ora sta perdendo tempo, sperando che John si sbrighi ed escano di casa.
Oltretutto lei gli ha appena proposto l’idea del film (quindi diciamo al lettore che tutto nasce per iniziativa di Robin) e John non la prende benissimo.
Il John che non la prende bene è in realtà il lettore che potrebbe storcere il naso di fronte alla tematica di questo nuovo episodio.
Quindi, l’esigenza autoriale di “convincere” il lettore ad entrare nella storia, è camuffata dall’esigenza di Robin di convincere John.

John che nella tavola successiva dice “Non voglio avere nulla a che fare con un film di propaganda religiosa!” è il mio modo di mettere le mani avanti col lettore e dirgli: “Ehi, non ho nessuna intenzione di fare un fumetto di propaganda religiosa, tranquillo!”.

A tavola 11, le vignette di dialogo di Robin sono preziosissime per passare concetti, come ad esempio, quello del libero arbitrio, che è fondamentale perché limita i comportamenti di John, e noi sceneggiatori  non possiamo fare a meno di sottolinearlo numero dopo numero ad uso e consumo dei lettori occasionali che potrebbero arrivare a chiedersi perché Dio si fa tutti questi problemi per fare quello che gli va di fare.

Il vino che esce dalla fontanella di Central Park a tavola 14, lo “Chateau Latour del 1964” è un gentile omaggio di google: non capisco nulla di vini e al ristorante non sono mai quello che assaggia.

Questo scambio di battute presente nelle ultime quattro vignette della stessa tavola:


per me era chiaramente una falsità inventata da Robin, un gioco per perculare John e i suoi poteri, motivo per cui lui risponde con quel mezzo sorriso, come a dire “non ci provare ragazzina!”, invece molti di quelli che l’hanno letto (lo stesso Rrobe ad esempio) ha pensato che John l’avesse fatto davvero.
Poco male, mi funziona lo stesso.

Tavola 15

Necessaria per chiudere il prologo ed avviare la storia. John conclude la sua spiegazione(ai direttori di produzione e al lettore) e si rimette alla volontà della corte.

Tavole 16/19

John è in fila davanti agli studi di Cinecittà.
Ho deciso di ambientare la storia lì perché rappresenta quel poco di cinema eterno che l’Italia è riuscita a produrre, perché non viene specificato dov’è ambientata la storia (ci può anche stare che Clint decida di girare un film a Cinecittà) e perché, avendoci lavorato per anni, avevo un sacco di documentazione fotografica da dare al disegnatore.
Andy la comparsa, invece è, come sospettato da molti, proprio Lorenzo Bartoli.

E questa non era una cosa cose prevista, anzi!
Inizialmente Andy (il nome deriva dal protagonista di Extras, cinica serie tv inglese dedicata proprio al mondo delle comparse) doveva essere il nostro “cattivo”, l’antagonista di John, il nemicamico, per poi arrivare a rivelarsi sul finale, come il malvagissimo che John avrebbe dovuto sconfiggere.
Ed io ho iniziato a scrivere i suoi primi dialoghi in questa ottica qui. La sua frase di presentazione che leggete lì in alto,  era una frase in bilico, poteva appartenere ad un buono come ad un rancoroso.
In sceneggiatura dopo essermi schiarito un po’ le idee buttando giù i suoi primi dialoghi, lo descrivo così:

Ed ecco finalmente ANDY, il co-protagonista della nostra storia. Bianco, robustello, con pochi e radi capelli, sui 50 anni.
Senza segni caratteristici che ce lo imprimano con troppa chiarezza in mente. Hai incontrato un miliardo di Andy nella tua vita senza farci caso e non so come altro descrivertelo perché anch’io, quando li ho incontrati, non c’ho fatto caso.
Ha visto un sacco di cose ma quel sacco di cose non s’è mai accorto di lui.
Ha la saggezza del mondo e noi ci permettiamo di dimenticarlo. E’ adorabilmente buono. Ti avviso, caratterialmente lo scriverò come se fosse Bartoli.

A questo punto Luca decide che se può avere il carattere di Lorenzo… che ne abbia anche l’aspetto!
Avendo Bartoli tra le mani, la storia ha iniziato a prendere una direzione propria. Era lui. O meglio, era come io vedo lui. E’ l’idea di Bartoli nella mia testa.
Ecco che la figura del cattivo stava lentamente arrivando a cadere, ma mai avrei immaginato che cavolo di ruolo gli sarebbe spettato nel resto delle tavole!

Tavole 20/21

Tutte queste vignette sono ovviamente estrapolate da film di Eastwood. Nell’ordine:

Brivido nella notte
Honkytonk Man
Gunny
I ponti di Madison County
Gli Spietati
Gran Torino

Inutile dire che non è assolutamente vero che in queste scene ricorre la stessa comparsa!

Tavola 22/24

La battuta di Andy riferita alle donne e al cinema nella vignetta 3-4 di tavola 22 è un gioco, un modo per imitare lo stile di Lorenzo e le sue massime sulla vita, l’universo e tutto il resto.

Eastwood compare in queste pagine ma finora ancora nessuno l’ha nominato. E così sarà per tutto l’albo.
Anche questo un piccolo gioco tra di noi, Clint è il dio di questo episodio e quindi, mai nominare dio invano!

Tavole 25/26

A punto iniziava ad essermi chiaro che la storia che avevo deciso di raccontare (e che avete letto nel soggetto che ho postato qualche settimana fa) stava piano piano diventando altro.
Queste due tavole sono il seme del cambiamento.

Volevo che John suggellasse in qualche modo il suo incontro con Clint.
Volevo trovare un modo per passare al lettore il concetto che per John quello era DAVVERO un momento importante.
Importante persino per un dio.
Ho valutato un sacco di reazioni possibili ma le trovavo tutte poco convincenti. Ero nuovamente incartato e anche stavolta è tornato in mio aiuto Roberto con questa frase: “Io quando m’incarto parto col raccontare quello che conosco meglio. Sposta l’azione su ambiti tuoi.”

C’ho pensato un po’ e alla fine sono uscite queste due pagine in cui John incontra Clint e decide di andarlo a rivelare a suo padre, tanti anni prima, mentre era seduto sul divano con un John piccolo piccolo e insieme stavano proprio guardando un film di Eastwood.
Mentre la scrivevo non sapevo ancora QUANTO peso avrebbe avuto il padre nell’economia della storia ma lo introducevo con il preciso intento di farlo tornare.
In un modo o nell’altro avrei capito come.

Tavola 27

Ha più o meno la stessa valenza di tavola 15. Chiude il momento dell’incontro con Clint riportando l’azione nel presente.

Tavola 28

Inizia il film.
Immagino sia la prima tavola in cui seriamente Luca ha pensato di picchiarmi dopo aver letto quanto doveva inserire nel vignettone, tra regista, direttori di produzione, maestranze, attrezzature e roulotte.

Tavole 29/31

Hanno la stessa identica struttura e introducono le diverse gerarchie sul set.
La prima è dedicata a Clint e Sarah che si rivolgono alle maestranze tecniche, agli addetti alla fotografia.

La seconda è dedicata a Trevor che parla con gli attori.


La terza è per Flo e le comparse.


Per quelli di voi a cui piace l’aspetto tecnico, noterete che cominciano tutte e tre con una 1-2 verticale, in cui c’è il “boss” che parla rivolto verso fuori campo.
Nella vignetta 3 c’è un primo piano del boss, nella 4  il controcampo in cui viene rivelato chi sta ascoltando, nella 5 si torna sul boss che conclude il discorso, e infine nella 6 c’è la reazione degli astanti.

Questo accade nella tavola con Clint, accade nella tavola con Trevor, NON ACCADE nella tavola con Flo, perché John manda a puttane tutta questa bella organizzazione per fare il cazzone e perché la ragazza non ha ancora acquisito il carisma adatto per tenerlo a bada e per gestire gli imprevisti del set.

Fine prima parte.

In attesa.

24 gennaio 2011 da Mauro

Girando per il quartiere cinese di Bangkok a bordo di un tuk-tuk noto un piccolo tempio spuntare dalle fronde di questi alberi.

E’ un periodo dell’anno in cui di turisti ce ne sono pochi, quindi tutta la quiete di posti simili è a beneficio del sottoscritto.

Silenzio. Silenzio assoluto.
Mi avvicino per leggere cosa c’è scritto su quel cartello.

E scopro che il caldo s’è mosso come un epigono di Carrol.

Tra il cartello interno ed un opuscolo informativo, capisco di trovarmi in un tempio molto antico, che risale all’epoca in cui la capitale del Siam (il vecchio nome della Thailandia) era Ayutthaya e che a quei tempi era noto come Wat Takien, ossia Tempio dell’albero dei miracoli.
Il nome è cambiato, ma l’albero (chiamato “Lanka Bodhi Tree”) è ancora qui, in splendida forma.

Il tempio divenne un monastero regale e cambiò nome in Wat Mahaprutaram sotto il regno di Rama IV, in onore dell’abate capo Phramaha Pruttacarya.

All’interno di una prima sala si trova un Buddha in estasi (niente a che vedere con quello meraviglioso del Wat Pho, di cui parlerò in uno dei prossimi post) e altre raffigurazioni dello stesso soggetto.

Ma io mi perdo dentro un libro di preghiere di cui l’unica cosa che capisco è che l’alfabeto thailandese è in assoluto il più bello del mondo.

Su un muro sono appesi diversi fogli dell’iching. Non li conto ma immagino siano tutti.

L’occhio mi cade su questo, che sembra il testo di una canzone dei radiohead.

“Be faithful and firm. Watch your step. Support can be obtained from among onest people.
Bad omen foreseen. Refill oil to the lamps at this place, and unfavorable situation will be alleviated.
Patient recovering. No child forthcoming as yet. No luck. Legale case defensible. Refill the oil.”

ossia

“Sii fermo e fedele. Attento a dove vai. Tra gente onesta, è possibile ottenere supporto.
Previsti cattivi auspici. Ricarica l’olio delle lampade di questo luogo, e saranno alleviate situazioni sfavorevoli.
Paziente recupero. Nessun figlio in arrivo al momento. Niente fortuna. Caso legale difendibile. Ricarica l’olio.”

Ed entro in quest’altra sala.

Il rosso, il nero e l’oro (un oro finto, di facciata, qui ogni cosa è di legno placcato d’oro o, in alcuni casi, ricoperta di piccoli adesivi dorati) colorano la sala con statue e  immagini della vita del Buddha.

Ma quello che attira la mia attenzione s’intravede dalla grata di una delle finestre grandi. I mattoncini in primo piano portano le firme di quelli che li hanno donati per costruire un nuovo tempio, ma subito oltre, vedo una serie di foto.

Guardo meglio e capisco di trovarmi davanti ad un cimitero. Con le macchine parcheggiate davanti alle foto dei defunti.

L’interesse verso il tempio svanisce in un nanosecondo e mi precipito a sapere tutto su quel cimitero lì.
Peccato che, dall’interno del tempio, l’unico modo per arrivarci sia passando attraverso quella che sembra essere la casa di un monaco.
Ok, tanto il cancello è aperto.

Arrivo in un momento probabilmente poco felice visto che il monaco si sta dedicando alla sua toeletta ma è lui stesso a farmi segno di entrare.

Gli chiedo cosa siano tutte quelle foto e lui, con il viso tutto bianco di crema da barba, mi risponde qualcosa di incomprensibile.
Faccio cenno di non capire.
Si tocca la pelle. Non capisco. Il petto. Niente.
Poi ha un’illuminazione, si avvicina al cane (qui è pieno di cani) e prende un osso.
Io gli faccio segno di aver capito. Lì ci sono le ossa di queste persone.
E’ un ossario.
No, mi dice. Prende l’osso e ci soffia sopra. Poi muove una mano per l’aria.

Ceneri! Cazzo, ceneri!, giusto. Ovvio.
E’ un cimitero di persone cremate.

Gli chiedo chi sono.

Gli chiedo se c’è un motivo particolare perché proprio queste persone siano qui.
Mi sembrano poche per rappresentare la totalità dei cremati di Bangkok, e penso che forse siano individui che, in un certo qual modo, abbiano a che fare con il tempio.
Mi risponde di no. E sorride un po’ della mia domanda. Sono persone. Persone e basta.

E allora me le guardo un po’. Sono tutte in bianco e nero. Forse le più recenti risalgono ad una cinquantina d’anni fa, oppure, usano metterle tutt’ora così.
Non ci sono date comprensibili che mi permettano di stabilire in che periodo sono vissuti.

In alcune non c’è più la foto e non c’è più la targa.
Una scritta ed una foto fanno la differenza tra una persona e un vasetto di cenere.

Mi chiedo se esista ancora qualcuno che sa chi fosse questo qui, in alto a sinistra, o quello lì, in basso a destra.
Qualcuno che ha acceso quegli incensi e che forse è venuto a ricordarlo poco fa.

Non credo nell’aspetto emotivo dei cimiteri.
Non sono mai andato a trovare i miei morti se non per compiacere i vivi, credendo fermamente che chiunque non sia più con me possa essere ricordato soltanto nella mia testa.
Che nessun luogo possa contenere una persona.
Che tutto quello che siamo stati non risiede nell’involucro appassito del nostro corpo ma nelle cose che ci riportano alla mente una presenza.
Nei libri che abbiamo letto insieme.
Nei posti visitati.
In una frase detta, in una risata specifica.
Nell’attesa e nella voglia di rivedersi.

E quindi, anche in un posto simile, la testa mi va solo ai vivi.
A come tutto quello che vedo, il tavolino con le panche, le sedie di plastica, le scope, le macchine parcheggiate, la cenere senza foto, sia segno tangibile tanto della loro presenza quanto della loro assenza.

Tutto in sospeso nell’attesa di un ritorno.

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