“Tutta la verità, nient’altro che la verità” è la formula a cui devi attenerti prima di deporre in tribunale.

Forum su Mediaset, viene percepito come reale dalla maggior parte del pubblico che lo segue.
Solo una minoranza degli spettatori sa che i personaggi in causa sono dei figuranti ma afferma che i casi di cui parlano sono reali, o che comunque destano in loro un qualche interesse.
Falsità e intrattenimento sono sempre andati a braccetto quindi, poco male.
Anche il wrestling è finzione e intrattiene che è una meraviglia.
Così fa il cinema e la letteratura. E il porno. Oh, il porno.

Ma riguardo alla puntata di Forum recentemente andata in onda e finita oggi al centro dell’attenzione grazie al tam tam dei social network non possiamo limitarci a parlare di falsità o di intrattenimento, bensì di propaganda:

Una propaganda che sciacalla su una terribile tragedia puntando alla fascia più ignorante del suo pubblico, la fascia quotidianamente, coscientemente, plagiata per ottenere consenso.
Per ottenere il voto.
Quando il voto non è partecipazione ma condizionamento mediatico.

Ma la propaganda è cialtrona come la classe dirigenziale che sponsorizza e non si limita a mettere in bocca alla figurante un grottesco:

“Vorrei ringraziare il presidente e il governo perché non ci hanno fatto mancare niente… Tutti hanno le case con i giardini e con i garage, tutti lavorano, le attività stanno riaprendo”.

Al quale è la stessa presentatrice Rita Dalla Chiesa ad unirsi con:

“Dovete ringraziare anche Bertolaso che ha fatto un grandissimo lavoro”.

ma gli autori del programma arrivano a mettere in bocca alla figurante un passaggio spregevole come questo:

“Inizialmente hanno messo le tendopoli ma subito dopo hanno riconsegnato le case con giardino e garage. Sono rimasti 300-400 che sono ancora negli hotel e gli fa comodo.”

concludendo con

“Stanno lì a spese dello Stato: mangiano, bevono e non pagano, pure io ci vorrei andare.”

Ecco.
Questo è il rispetto dimostrato alle vittime della tragedia di L’Aquila.

Quindi, visto che ogni cosa succede perchè qualcuno la fa accadere, basta andare sul sito mediaset dedicato a Forum ed è possibile ricavare i nomi degli autori del programma.

Eccoli:

Rita dalla Chiesa


Deborah Chiappini


Italo Felici


Elena Lugli


Massimo Righini


Giovanni Riva Berni

Nino Spirlì (attivo anche come attore)


Francesca Tavassi.

A questi si aggiungono Francesco De Luca, Nino Spirlì e Raffaele Lo Bue, di cui non sono riuscito a reperire foto online.

Quello che la figurante Marina Villa ha detto in trasmissione è farina del loro sacco.
Ringraziateli.

Contribuiscono ad affossare l’Italia restituendo le immagini di una Videocrazia senza più freni il cui condottiero cortocircuita le menti dei plagiati ribadendo che si difenderà dalla “gogna mediatica” cui è sottoposto.

La verità, semmai ne è esistita una, non è mai stata così lontana dalla scatola.
La pluralità dell’informazione sta minando il suo potere, il basso è il nuovo centro e nell’alto continuano a crederci sempre più in pochi.
Ora non resta che spegnerla.
Ora non resta che spegnerli.

Storia dell’arte.

25 marzo 2011 da Mauro

“Lichtenstein si è occupato di uno dei principali canali della cultura di massa, i racconti figurati (cartoons, fumetti): di fatto uno dei sintomi più preoccupanti della società odierna a trascurare il discorso, il linguaggio articolato, la scrittura e la lettura. L’analisi della banalità di quel tipo di comunicazione fatta da Lichtenstein è metodologicamente ineccepibile. Isola un’immagine dalla striscia, la ingrandisce, studia accuratamente i processi anche tipografici mediante i quali l’immagine è stata resa comunicabile in milioni di esemplari: rifacendolo a mano, sotto il microscopio, dimostra che quel processo di produzione industriale d’immagini è stato assolutamente corretto, un modello di perfezione tecnologica.

Si mette insomma nella posizione del dirigente tecnico, che sa quali problemi e difficoltà siano stati affrontati per giungere allo standard che permette a milioni di persone di leggere contemporaneamente lo stesso racconto, interpretarlo nello stesso modo, provare lo stesso momentaneo brivido e, un istante dopo, dimenticarlo. Ai consumatori del “fumetto” è evitato anche il minimo sforzo intellettuale; tutto è stato pensato e fatto al vertice. La pittura (anche se non possa più chiamarsi così) di Lichtenstein è una prova di intelligenza, ma in sostanza dimostra soltanto che l’artista ha capito il trucco ed è idoneo a far parte del “trust dei cervelli”.

(G.C.Argan, La crisi dell’arte come scienza europea, in L’arte moderna 1770-1970, Sansoni, Firenze, 1970)

Bravo Argan.

Eri così carino.
Eri così carino.
Pigro di testa.
E ben vestito.

Ah, ma allora a qualcosa serve!

22 marzo 2011 da Mauro

Il teatro, dico.

A Pirandè,
A Pasolì,
A De Filì!
Inginocchiatevi e puppatelo a Taichi Saotome!



Un grazie ETERNO a Gio per avermelo fatto scoprire.

Non avrete altro dio.

17 marzo 2011 da Mauro


Valerio Schiti

Manolo Morrone

Valerio Nizi

Federico Rossi Edrighi

Marco Marini
e ovviamente…


Davide De Cubellis!

Il perché di questo spiegamento di forze?

Eccolo qui:

Caro John… questa volta avrai bisogno di tutto l’aiuto possibile!

John Doe n. 7

Non avrai altro dio.

Testi del sottoscritto, disegni di quell’armata di geni lì.

Tra due mesi in tutte le edicole dell’universo conosciuto.

Dylan Dog – Recensione.

16 marzo 2011 da Mauro

Esce oggi in tutt’Italia il film che i fan dell’Indagatore dell’incubo aspettano e temono da più di due decenni.

Nei mesi passati ho guardato con curiosità a tutto quello che in un modo o nell’altro sbucava dal set del film.
Dalle prime clip che mostravano uno shooting provvisorio, ancor privo di post produzione, trovate nei forum americani dedicati ai vfx, passando per i teaser, le featurette, i poster e arrivando fino ai trailer.

Di volta in volta le perplessità aumentavano e diminuivano a seconda di quello che sfuggiva alla segretezza della produzione.
Ed ecco così che si arrivava a scoprire che Dylan sarebbe stato interpretato da Superman, che ci sarebbe stato il galeone ma non Groucho, che la pistola era ok ma il maggiolone diventava nero, che di Bloch neanche l’ombra e che Londra era diventata New Orleans.

Il che, non necessariamente sarebbe stato un male.

I film tratti da fumetti/libri di culto si trovano solitamente davanti al dilemma delle aspettative del fan che è pronto a scagliarsi contro qualsiasi differenza possa rilevare nel passaggio da un media all’altro.
Per cui, questi poveri registi/adattatori, hanno davanti a loro un certo numero di strade da percorrere:

La riproposizione pedissequa.
Ma Sin City ha dimostrato che certe idee sarebbe meglio non farsele proprio venire in mente.

Un adattamento ai tempi e ai contenuti.
E Spiderman, x-men, v for vendetta e watchmen hanno dimostrato che poteva essere una strada percorribile.

Una trasposizione fedele del mood e delle dinamiche nel rispetto del fumetto e delle specificità del nuovo media.
E questo, finora, l’hanno fatto egregiamente soltanto 300 e Scott Pilgrim.

In quale di queste tre categorie si va ad inserire il film di Dylan Dog?

Nella quarta.

Quella del film che non ha nulla a che vedere col fumetto originale ma ne compra il nome per evitare possibili cause (“ehi, c’è bel tenebroso che risolve casi legati al mondo dell’esoterismo accompagnato da una spalla comica! Dove l’ho già visto?“) e per giocarsi il brand nella frase di lancio “Tratto dalla più venduta graphic novel…” che oggi tira più di un pelo di “Tratto da una storia vera”.

Dylan Dog Film ha qualcosa a che fare con Dylan Dog Fumetto?

No.

Ha dei punti in comune? Il fan ritroverà quello che ben conosce del suo personaggio?

Si.
E queste, paradossalmente, sono le cose che più fanno incazzare.

In “Dead of night” tutti gli elementi che rimandano in qualche modo al personaggio di Sclavi sono del tutto insulsi, fuori luogo ed immotivati in termini narrativi.
Alcuni esempi.

Il vestito.
Dylan inizialmente si veste con camicia giallina. Nel momento in cui decide di entrare in azione apre il suo armadio. Appeso, tra altri abiti diversi,  c’è il classico completo rosso e nero che lui decide di usare con la musica rockona di sotto fondo. Perché lo indossa? A cosa serve che lo indossi ora?

Nel fumetto Dylan veste SOLO in quel modo e nel suo armadio ci sono SOLO quei vestiti lì. Tutti uguali. Non porta la camicia rossa con la giacca nera per “entrare in azione”.

Il galeone.
C’è ed è sulla scrivania.
Perchè? Perchè Dylan nel fumetto lo costruisce per rilassarsi mentre pensa. E per tutti gli altri motivi esistenziali e metaforici.
Nel film non si sa. Si vede due volte ed è sempre già lì, senza MAI venir utilizzato.

Il clarinetto.
C’è. Dylan lo usa una volta. Per suonare When the saints go marchin’in. E poi scompare.

Non esiste caraterizzazione per nessuno di questi aspetti. Immotivato il vestito, immotivato il galeone, immotivato il clarinetto.

Ok, non disperiamo, qual è l’aspetto più importante di Dylan Dog?
Cos’è Dylan Dog aldilà di tutte le sotto e sovrastrutture?

Dylan Dog è un fumetto che utilizza l’orrore come metafora del sociale, dimostrando che gli unici mostri che esistono realmente sono le persone che perdono la loro umanità.

Cosa c’è di tutto questo in Dead of Night?

Niente.
Talmente niente che la GRANDE idea di partenza del film è che il mondo sia tranquillamente popolato di vampiri, licantropi e zombi perfettamente integrati nella società con le loro abitudini, i loro negozi e i loro locali.
Che dell'”uomo” non ci sia traccia.

Del Dylan romantico, fragile, incredulo davanti a ciò che lo circonda, incapace di affrontare le situazioni che lo sovrastano, non rimane niente, sostituito da una montagna di muscoli armata fino ai denti con pistole dai più diversi e variopinti proiettili e che dice di non avere bisogno di un piano ma di pistole più grosse.

Del Groucho surreale, elemento destabilizzante che continua nei suoi sproloqui mentre intorno a lui si scatena l’apocalisse, resta una classica spalla comica hollywoodiana, tutta urletti e facce buffe.

Del Giuda Ballerino, una veloce presenza soltanto nella versione italiana, mentre per l’ideatore e l’editore, una citazione talmente trash da far risultare simpatiche quelle contenute in Daredevil.

Ma ammettiamolo.
Tutto questo, potrebbe anche non valere nulla davanti ad un buon film.
Dopotutto, se non avessi mai letto Dylan Dog e se me ne fregassi quindi dell’aderenza con l’originale potrei comunque godermi un buon film.

Ed è qui che Munroe perde la sua vera battaglia.

Dead of night è un film con uno script lacunoso e traballante che riesce a rendere confuso un plot di una banalità sconcertante.
La caratterizzazione dei personaggi (veramente troppi) è trascrivibile sulla capocchia di uno spillo.
I momenti di comicità involontaria superano di gran lunga quelli voluti.
La risoluzione finale è talmente cialtrona che dovreste ringraziarmi nel risparmiarvi la descrizione.

La regia è goffa, ma talmente goffa che nel 2011, con tutto lo stuolo di aiuti e direttori della fotografia devi VERAMENTE impegnarti per fare un film “formalmente” sbagliato, con un uso continuamente improprio ed esagerato delle tendine a scorrimento e dei primi piani di Brandon Routh basito.

Quello che Munroe mette in scena, contrariamente alle sue intenzioni, non è altro che intrattenimento televisivo pomeridiano, niente di più, niente di meno.

Quindi alla fine, di questo “kolossal USA” di cui va cianciando Claudia Morgoglione in questo articolo qui (glielo spiegate voi che Dellamorte Dellamore NON E’ una trasposizione “povera ed un po’ trash” di Dylan Dog?) di cui  il soggetto e la sceneggiatura girano addirittura da 13 anni (e che il film sia vecchio è abbastanza palese) e la cui produzione è stata funestata da continui casini che ne hanno slittato la realizzazione passandola di mano di regista in regista, cosa rimane?

Una serie continua di brutte scelte.

Che non accennano a finire neanche a film chiuso e distribuito.

Davanti al fumetto che in Italia è stato un vero e proprio fenomeno di costume e che ancora oggi muove cifre da capogiro, Moviemax ha scelto di puntare su una serie di poster

locandine,

e teaser promozionali

che nel definirli dilettanteschi si passa per emuli di Mollica.

Oltretutto, preso dall’entusiasmo promozionale per l’uscita del lungometraggio, ed avendo visto come s’erano mosse altre realtà nella promozione dei loro film, gli proposi una fitta copertura online tra i blogger legati in qualche modo a Dylan (sceneggiatori, disegnatori, giornalisti) e personaggi appartenenti al mondo dell’intrattenimento e parecchio affezionati all’indagatore dell’incubo.
Il tutto, ovviamente, a titolo completamente gratuito.

Da parte loro un chiaro e diretto e, per carità, legittimo: “no”.

Ed ecco quindi che all’anteprima del festival del cinema di roma, nessun abitante della blogosfera era presente, così come nessun autore.
Ed ecco quindi che all’unica anteprima ufficiale, gli unici esclusi, erano quelli più vicini al mondo del fumetto.

Immagino, col senno di poi, che la motivazione fosse legata agli effettivi problemi qualitativi della pellicola e alla necessità di non mostrare troppo in anticipo di cosa si stava parlando per tentare di salvaguardare, comunque, gli incassi del primo weekend.
Motivazione, ripeto, assolutamente legittima, dopotutto ognuno sceglie come vendere e distribuire al meglio i propri prodotti.
Ma perdersi per strada il “popolo di internet” per timore del chiacchiericcio, non mi sembra una politica al passo coi tempi.

Ma quindi, com’è possibile che alla fine io e Giovanni Masi, siamo riusciti ad infilarci all’anteprima del film?

Semplice e paradossale allo stesso tempo: i nostri telefoni hanno squillato a distanza di 5 minuti l’uno dall’altro e la sorridente vocina che chiamava dalla Fnac nei pressi dello studio (che frequentiamo spesso) ci ha avvisati che, “in quanto buoni clienti perfettamente in target” eravamo stati selezionati per l’anteprima del film di Dylan Dog!

Accompagnati dai fidi Federico e Raffaele, potevamo considerarci vincitori, eravamo riusciti a vedere il film ben 16 ore prima della sua uscita ufficiale.
Non molto tempo… ma abbastanza per cominciare a parlarne nel peggiore dei modi.

Grazie Fnac!

Stellette? 2 su 10

Black Swan – Recensione.

14 marzo 2011 da Mauro


Aronofsky amplifica e conclude il discorso sull’Essere introdotto in The Wrestler e lo fa seguendo per 90 minuti le spalle, le dita e i riflessi negli specchi di Natalie Portman.


Laddove Randy “The Ram”, schiavo e vittima del dio che era stato, si negava ogni possibilità di adattamento ad una società che andava avanti senza fermarsi ad aspettare il suo passo lento da videogioco a sedici bit, Nina è costretta ad evolvere perché solo tingendo di nero le sue ali bianche potrà definitivamente volare.

La Portman, alla prima performance  realmente memorabile della sua carriera dai tempi di Leon, si mostra tanto concreta nella prima parte del film quanto sospesa, spezzata e priva di punti di riferimento nella seconda.

Il suo è un percorso composto dai riflessi di mille specchi che rimandano indietro un’immagine in cui fa sempre più fatica a riconoscersi.
La Nina che ha lottato una vita intera per raggiungere i traguardi che si era prefissata, scopre che le sue verità sono valide quanto il loro opposto.

Che a un cigno bianco ne corrisponde sempre uno nero e che è stata chiamata, lei tra tutte, ad interpretarli entrambi.

Ma come si diventa il proprio opposto?

Su questo indaga Aronofsky, tirando una linea tra le estremizzazioni della carne che vedono a braccetto Cronemberg e Schopenahuer (il corpo come volontà e rappresentazione) e quelle dello spirito in cui fa capolino più di un grottesco VonTrier (la figura della madre, le trasformazioni in digitale) e trovando il cardine del suo discorso nella seduzione.

Quella che Cassel (inturgidendo i capezzoli della totalità delle presenze femminili in sala)

invoca come impeto di pura vita, senza freni, senza muri, e che Mila Cunis

incarna senza alcuno sforzo.
Quella sensualità che Nina non aveva mai perseguito perché ha a che fare con l’istinto più che con la dedizione.
Quella che Nina aveva sempre ignorato perché schiava di una madre che su di lei riversava i suoi fallimenti.
Quella che Nina aveva sempre negato strappando, una per volta, le ali nere che spuntavano sulla sua schiena.
Quella che Nina aveva sempre fuggito perché alla radice della seduzione c’è il confronto. E dal confronto si può uscire vincitori o sconfitti.
E si fa presto a diventare una nuova Winona Rider.

Con l’utilizzo della camera a spalla e dei 360° intorno al personaggio nella parte centrale dello schermo, ormai diventati un vero e proprio marchio di fabbrica, il regista statunitense assolve le più classiche istanze del cinema del balletto, mixandole con rara consapevolezza a quelle del thriller psicologico.
Gioca con i piani dividendoli in maniera netta, in un bianco e nero contenutistico e formale che rappresenta allo stesso tempo la vetta e la conclusione di un percorso artistico che in Logan potrebbe trovare un nuovo inizio.

In questo video, il lavoro svolto sugli effetti:

Mentre  questa è la shplenteta illustrazione con cui Giovanni Rigano ha raccontato il suo punto di vista:

Stellette? 8 su 10

Coppie! Andate a figliare!

10 marzo 2011 da Mauro

Che in tutti i negozi è appena uscito ciò:

e non vi basteranno le bambine che già avete.

Potrete gustarvi le meraviglie del primo film stereoscopico mai realizzato in Italia.

Potrete godere della visione di questo backstage

finalmente in alta qualità.

E se tutto ciò non vi bastasse, potrete sempre andare in giro a dire che Mauro s’è tagliato la barba.
E ne avete le prove.

Domenica, ore 13.43.

7 marzo 2011 da Mauro

A te che hai aspettato 31 anni,
375 mesi,
11.049 giorni,
265176 ore,
15910560 minuti
954633600 secondi
per darmi ieri, per la prima volta, ragione su un argomento.

Ecco, proprio a te,
che così facendo hai messo in moto tutta quella serie di eventi che causeranno l’apocalisse.
Proprio e solo a te,
spetta il mio amore eterno.

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Mauro dice NO anche quest’anno.

28 febbraio 2011 da Mauro

E’ andata come l’anno scorso.
Ma stavolta è intollerabile che il premio come miglior regia venga dato a Il discorso del re.

Bellissimo film, per carità, niente da dire.

Ma bellissimo per taaaaaanti motivi diversi dalla regia.
Bellissima l’interpretazione degli stellari Colin Flirth e  Geoffrey Rush.
Bellissimo lo script.
Bellissime le scenografie e la messa in scena.

E la regia?

Mah.
Interessante in alcuni punti.
Arguta in altri.
Noiosa a volte.
Senza infamia e senza lode spesso.

Se poi la andiamo a paragonare a quella di due colossi della regia come The Social Network di Fincher e 127 ore di Boyle i discorsi stanno a zero.

Fincher nel suo ultimo film porta all’apice la ricerca di glaciale messa in scena che ha iniziato a perseguire abbandonando tutti i fincherismi che l’hanno accompagnato fino a Panic Room.
E dopo le sperimentazioni del buono Zodiac e dell’orribile Benjamin Button firma un capolavoro di rara maestria.
Il distacco che diventa calore.
Il ghiaccio in grado di emozionare.
Un sussurro sentito da una distanza incolmabile.
Una stanza grigia e asettica in cui fare l’amore.
Questa è la regia che si è presentata agli oscar e che s’è vista scippare un premio che avrebbe strameritato o, quantomeno, avrebbe dovuto condividere con l’ultimo Danny Boyle.

In 127 ore la forma si fa linguaggio ed entrambe si inginocchiano allo stile e alla narrazione.
A partire dal tiratissimo incipit di presentazione del personaggio, passando per l’uso diegetico ed extradiegetico del digitale fino a concludere con le visioni del protagonista in cui immagine e suono creano un’esperienza sensoriale che non si limita a toccare la vista e l’udito ma entrano sottopelle col suono di una chitarra capace di recidervi i tendini.
Boyle trasuda competenza pur restando sempre e comunque lontano dal barocchismo di cui si imbevono (e si sono imbevuti) autori molto più blasonati, ed è lì, a farsi la sua cosa nella casa.
Sopra tutti gli altri.

Queste sono state le migliori regie tra quelle in nomination.

Tutto il resto non è sicuramente noia, ma neanche gioia.

p.s.
Ma quant’è italiana la brutta locandina italiana di 127hours?

P.P.S.
Ah! per quanto io ami Lasseter, l’oscar a Toy Story 3 e NON a Dragon Trainer urla proprio vendetta.

Che la Furia Buia si accanisca su di voi.

Sul numero di Wired attualmente in edicola:

c’è un lungo articolo dedicato alla nostra factory in Via della Bufalotta 374.

Ringrazio Giancarlo Dotto che racconta molto di quanto si nasconde dietro il processo tecnico/creativo di una casa di produzione di cartoni animati e trova anche il tempo per soffermarsi a descrivere la mia postazione di lavoro con queste belle parole: “…la sua scrivania è un’orgia di stimoli, di un vissuto che include tutto, a tempo pieno, fumetti, resti di cibo, libri di Pirandello, cd di De Gregori”.
All’elenco mi limiterei ad aggiungere la fondamentale discografia di Bowie, la snow ball di Ponyo, il vaso di Totoro, infinite action figures, poster, libri di fotografia ecc ecc, ma prometto di postare una foto prossimamente!

Ringrazio Michele Palazzi per le belle foto che ci ritraggono.

E per quanto riguarda la copertina e l’argomento principale di del numero di Wired…

come ricorderete…

… su queste pagine

…ci si era già portati avanti!

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