Finale di stagione.

25 aprile 2011 da Mauro

Avevo interrotto la quarta stagione di Californication al settimo episodio.
Recuperato stasera vedendomeli tutti di seguito fino al finale.

Emozioni grandi (fortuna che con l’ottavo sono finiti gli episodi brutti) e pelle d’oca continua durante gli ultimi sei minuti che metto qui per poterli ritrovare con facilità ogni volta che vorrò.
Non cliccate se non l’avete ancora visto.
Cliccate se volete rivederlo.

http://www.youtube.com/watch?v=vg-TUdjySFI

“Perché la ama così tanto? Voglio dire, cos’ha di così speciale?”

“Non lo so. Credo di non averlo mai saputo. Credo che a volte trovi subito la persona giusta… e poi… determina la tua vita. Diventa parte di te.”

I motivi della merla.

24 aprile 2011 da Mauro

Come Uatu campo osservando nomi, cose, città e animali.
Analizzo ogni possibile variabile di qualsiasi situazione, ossessionato dal linguaggio di ognuno, dalla chiave per aprire e aprirsi, dai come che veicolano i cosa.
Se è meglio dire.
Se è meglio dare.
Se è meglio aspettare.
Se meglio andare.
Valuto e vivo ogni risposta come un insieme di bivi che portano all’unica strada percorribile per evitare il baratro del fraintendimento che nel 98% dei casi offusca i sensi e gli obiettivi.
E Dente sbaglia quando dice che ogni scelta è una rinuncia perché in realtà per ogni scelta le rinunce sono infinite.

Io non sono quello che faccio ma tutto quello che evito.

Come lo sceneggiatore di fumetti che non narra scegliendo la vignetta più bella ma eliminando tutte quelle ritenute superflue ai fini del racconto, applico alla vita lo stesso metodo.
Per cui dietro ogni mia frase nascondo le decine omesse. Dietro ogni gesto, tutti quelli scartati.
Sforzarsi di comprendere il linguaggio altrui per farlo proprio, per capirsi, per non banalizzare la parola.
In questo, ovviamente, muoiono la purezza del gesto istintivo e la personalità.
Aderire all’altro, non ci sono cazzi, allontana dal sé, ma è l’unico modo che ho trovato.

Rinunciando al caso, comprendo le cose.

Questo fa si che ogni mia frase porti con sé un bagaglio di inattaccabilità difficilmente confutabile.
Questo fa si che dietro ogni mia frase ostenti la sicurezza di chi ha passato in rassegna ogni possibile alternativa non trovandone di altrettanto valide.

Questo, in soldoni, fa si che io abbia sempre ragione.

Che io sappia come si fa.
Come si dice.
Come sarebbe meglio che.

E tutto ciò, ne converrete, è un notevole dito nel culo (con tutto il rispetto per il dito) per voi che lo subite, per me che mi subisco.

Perché è difficile gestire la convinzione di essere qualche passo avanti all’altro e assisterlo mentre sta gioiosamente andando a sbattere la faccia contro la serranda.
E’ difficile avvisarlo senza farlo sentire idiota.
Senza fargli decidere di accelerare volontariamente contro la serranda giusto per dispetto verso chi l’aveva avvisato.
E poi dovergli stare vicino mentre sta a terra con la capoccia aperta, sentendoti anche, in qualche modo, colpevole.

La salvezza (mia e vostra) credo possa risiedere solo nello stupore che mi dà la scoperta di essermi sbagliato.
Nel comprendere quanto la frase che non avevo ipotizzato fosse in realtà la migliore.
Nel verificare che l’istinto e la persona fottono bellamente l’analisi e la ragione.
Nel felice conseguimento di un imprevisto.

Perché non voglio vivere nella convinzione di sapere, di anticipare quello che accadrà riportandolo tutto alla mia esperienza.

Perché non voglio pensare che ciò che rifugge dalla mia logica sia per forza cialtrone, sbadato, sbagliato.

Perché io i motivi per cui la merla ha fatto il nido sulle scale che portano al parcheggio del nostro studio (percorse ogni giorno da centinaia di persone) proprio non riesco a capirli.

E di base sarei portato, quindi, a considerarti imbecille, merla mia.

Ti direi ma come ti viene in mente di metterti qui, a favore delle dita di quelli che toccano le tue uova quando non ci sei.
Di quelli che ti mettono le ciotoline con il latte vicino.

Per questo ti prego, ti prego merla bastarda, dimostrami che tu e il tuo cazzo di nido fatto di sterpi e cellophane avete ragione.

Prendi le mie analisi saputelle, le mie convinzioni, usale per pulirtici il culo piumato e dimostrami che non hai fatto una cazzata!
Rivelami la verità che nasconde il tuo gesto e fammi capire quanto io sia piccolo di fronte all’immensità delle tue scelte.

E se ci riuscirai, merla, ti sarò per sempre devoto.
Così’ come verso tutti quelli che riusciranno a sbattermi in faccia ogni mio sbaglio.

(p.s. le foto a corredo di questo post sono state scattate, fortunatamente a colori, da Marco Marini)

Miglioramento.

23 aprile 2011 da Mauro

A te, pianta del parco di cani e cemento sotto lo studio.
Sai di uva fragola, vaniglia,
e carrellate di ogni istante sereno.

Di notte ci sei.
Forte. Di giorno non ti sento mai.
Chissà da dove vieni/chissà che nome hai.
A saperlo, ne saprei di piante.
A saperlo, ne saprei di mondo.

Ma anche se non mi dici, sei comunque qui.
E non che mi lamenti, anzi, mi sta bene così.

Date la pace a questo poverino.

22 aprile 2011 da Mauro

http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=RF1dv-YZA_Q

Eterna, volendo.

“Tremonti me l’avrebbe detto!”

20 aprile 2011 da Mauro

http://www.youtube.com/watch?v=U2snzFQkkm0&feature=player_embedded#at=190

La misura è talmente tanto colma che le aspettative sono già abbondantemente sotto lo zero.
Questo vuol dire che quando parlano loro abbassiamo automaticamente il livello delle nostre pretese come se stessimo parlando con dei bambini neanche troppo svegli.
Per cui ormai basterebbe che dicessero qualcosa tipo: “C’è bisogno di giustizia!” per farci bagnare come cagnette ansiose di cambiamento.
E invece neanche la presenza di (ben) tre suggeritori basta per far dire qualcosa di minimamente sensato al nostro Ministro dell’Istruzione, Università e Ricerca.

Però, per fortuna, da altre parti ci informano che Bersani insorge.
Che è l’ossimoro del giorno.

Dove hai dormito la notte scorsa?

19 aprile 2011 da Mauro

Me lo chiederanno in coro tra qualche ora i Lead Belly, Mark e Kurt ed io risponderò: “Da nessuna parte, ho fatto Nottata.”
Quella che alle 4.12 ti tiene in studio, ‘che domani c’è la consegna grossa.
Quella in cui devi ascoltarli.

E cantarli.


Quella che è meglio presentare più roba di quanta richiesta perché quello che vorranno vedere sarà comunque qualcosa di diverso da quanto concordato.

E me ne sto qui, impicciato a montare e smontare sequenze per dimostrare che cambiando l’ordine degli addendi il risultato cambia eccome.

Perché questi addendi sono femmine sciantose che a seconda di chi si trovano vicino indossano un trucco che con me non portavano.
Femmine di significato e significanti che prima non avevano e che adesso gli calzano così a pennello da non volerne proprio sapere di dare la stessa cifra di prima.

E lo sa Ivan che guarda in alto e vede disegnata nel muro una donna con tentacoli al posto delle braccia e centodue storie d’amore che rendono eterno il quotidiano.

Lo sa Sabrina mentre scopre sottovoce come usare il suo talento per raccontare. Un baule di foto in bianco e nero e a colori aperto in punta di piedini scalzi.

Lo sa Fede che riesce a ragionare di corsa soltanto usando la matita. La tecnologia è una nemica che lo rallenta perché lo fa troppo grande.  Non sa ancora quanto.

Buttano giù idee e situazioni a metà tra l’accontentare e l’accontentarsi, stupendosi di gioie sempre uguali, e annoiandosi dei rodimenti di culo – quelli si – sempre diversi.

E allora come glielo spiego agli addendi che il risultato che devono dare è stato già deciso?
Come le convinco, le sciantose, a farsi portare dove voglio?

A dirgli, già lo so che finirete così, devo solo sistemarvi qui in mezzo, che non è né la partenza, né l’arrivo anche se siamo al cinema e i dieci minuti finali sono quelli fatali.

Come la morte in coriandoli di cumshot dei maritozzi del bar dei russi.

Come il Wolverine dei giorni di un futuro passato che è l’unico mezzo risolutivo che la Produzione ha individuato per far si che io legga un loro messaggio.

E sto qui.
A non preoccuparmi di quanto tutto ciò sia più metaforico del venerdi di Brezsny.
A perseverare nel campare scena dopo scena.
Sistemandole e cambiandone il valore con l’aiuto di quelli intorno a me.
Tenendo da parte quanto avvenuto prima, consegnandolo ad altri reparti.

E sapendo perfettamente, fin nei minimi dettagli, come andrà a finire.

Oddio, ci siamo persi Moretti!

18 aprile 2011 da Mauro

“Il conclave è riunito per eleggere il nuovo Papa. Dalle urne esce il nome di Papa Leone XIV. Il nuovo Papa, ancora piuttosto giovane e di indole attiva e spigliata, sentendosi un po’ soffocare dall’ambiente iperformalizzato del Vaticano, un giorno “sparisce”. Si è nascosto a Montepetra, un paesino terremotato del Sud nel quale, sotto le mentite spoglie di un sacerdote qualsiasi, si darà da fare per la ricostruzione. Filmetto lieve lieve, che scivola presto nella favola.”

[Saving GraceUSA1986Commedia, durata 112′]   Regia di Robert M. Young
Con Tom ContiFernando ReyErland JosephsonGiancarlo Giannini.

Fonte: film.tv.it

Il soggetto è praticamente lo stesso.
Ma Moretti fa più ridere.
E più incazzare. Allo stesso tempo.
Ridere & incazzare.
Ma la rabbia non nasce (né arriva) da dove Nanni vorrebbe, bensì dai troppi perché rimasti in sospeso.

Se è apprezzabile il voler prendere le distanze da tutto ciò che ci saremmo aspettati dal film (e da un certo modo sabinaguzzantesco di dire la propria opinione riguardo una tematica così suscettibile di tifoseria), dall’altro risultano inspiegabili tutti i passaggi a vuoto che il regista compie senza quasi accorgersene (il suo ruolo? quello della moglie? – non ditemi solo per la battuta del deficit, eh! – quello del giornalista del tg2 censurato? quello della decisione su chi dovrà essere il papa?), distratto da una regia che è sempre meno sua e più omologata a quella grandeur italiana d’esportazione che qualche frutto, comunque, lo sta portando.
C’è tantissimo Moretti e non ce n’è mai stato così poco.
Per cui com’è ‘sto film?
Emotivamente forte e capace di portarti dove vuole, tra un Michael Piccoli in stato di grazia, un bel discorso sull’attore, il plauso del pubblico e una serie di linee di dialogo da culto immediato.
Contenutisticamente inconcludente, e seppur portatore di un entusiasmo momentaneo, ci si ritrova il giorno dopo a guardare fuori dalla finestra e chiedersi: ma a me, questo film, cosa ha dato?

Niente.
O comunque poco.
Quel poco di cui avresti anche fatto volentieri a meno.

Stellette? 5 su 10.

Lei disse.

da Mauro

She said
I can be a frog
I can be a bat
I can be a bear
Or I can be a cat

She said
I can be a lion
I can be a Gila monster
I can be a warrior Indian
I can be a helicopter

She said
I can be a wolf
I can be a finch
I can be a jaguar
Or a locust on the bridge

She said
I can be a monkey
I can be a tiger
I can be a tornado
Knocking down your wires

Well, it seems like she can be anything
Any kind of creature she wants to be
Oh, it seems like she can be anything

Any kind of frog
Any kind of bear
Any kind of monkey

She wants to be.

Tex, pensaci tu.

12 aprile 2011 da Mauro

Molti si soffermano sulle patetiche dichiarazioni rilasciate ai giornalisti (effettivamente “le ho dato 45.000 euro per comprarsi strumenti per la depilazione così da non prostituirsi” è una frase che dà modo di soffermarsi) quando gli scambi più interessanti sono invece avvenuti all’interno del tribunale dove, ricordiamolo, illo è indagato per tutte le belle frodi fiscali, internazionali ed estere di cui Mediaset s’è macchiata nel corso degli anni.
Molti di questi scambi sono notevoli e danno un quadro chiaro del ridimensionamento che quest’uomo subisce quando non si trova davanti al suo pubblico, ma quello in cui incontra Tex travestito dal pubblico ministero  Fabio De Pasquale che lo zittisce senza pensarci due volte è da antologia.
Lo riporto utilizzando immagini di repertorio, non potendo affidarmi ad un video dell’evento, ma le parole sono esattamente quelle che sono state pronunciate in aula:

Imputato: “Ah! Lei è quello cattivo!”

Tex: “Si contenga con le battute.”

Imputato: “Si contenga lei con le accuse!”

Tex: “Le accuse sono il mio mestiere. Le battute, no.”

E il tutto si è concluso con una scazzottata, un criminale in gattabuia e un pranzo a base di patatine fritte e bistecche alte tre dita.
Nel mondo migliore in cui non viviamo.

Oggi. Fino a stasera.

29 marzo 2011 da Mauro

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