The Tree Of Life – Recensione.

25 maggio 2011 da Mauro

Dura 138 minuti la Smisurata Preghiera di Terrence Malick.

Una preghiera laica sussurrata, e a volte urlata, sullo sfondo dello scontro quotidiano tra la Natura e la Grazia.
Gli estremi che danzano, giganti, sulle stelle e sui pianeti, che trovano la vita nascosta nell’incontro tra due cellule e nelle fiamme dell’apocalisse solare conducono l’esistenza a quell’entropia verso cui tutto tende.

L’infinitamente grande che non si può contrastare, che non si può dire, che non si può afferrare,  che si può solo, al massimo, provare a mostrare, insieme all’infinitamente piccolo che, giocando sullo stesso piano, prova a dare risposta ai cosa, ai come, ai perché.

Lo smarrimento di un uomo di fronte a un lutto. I moti terrestri, solari, universali.
Cosa ci distingue, cosa identifica il nostro ruolo? Cosa siamo noi?

Se la Natura è incontrollabile ma soprattutto sorda, non sarà un dio inventato, ma la Grazia che tutto può abbracciare (anche l’istinto di una creatura primordiale)  l’unico elemento che ci permette di non venirne travolti ma di viverla trovando il nostro posto nell’ordine delle cose.
Nella risultante del conflitto tra il macro e il micro sta la risposta, la chiave, il motivo per continuare a camminare in mezzo agli altri.

Madre, padre, siete entrambi in conflitto dentro di me“.

E’ il pensiero che ossessiona il piccolo Jack (il giovane Hunter McCracken al suo esordio cinematografico).
Primo dei tre figli che compongono la famiglia degli O’Brian in quell’america di passaggio tra la campagna rurale e l’industrializzazione dei piccoli centri che era il Texas degli anni ’50.

Jack che è cresciuto inadeguato tra l’educazione urlata di un padre padrone (splendidamente interpretato da Brad Pitt che arricchisce di un nuovo, indimenticabile, personaggio – dopo il James Cole di Twelve Monkeys, il Tyler Durden di Fight Club e l’Aldo Raine capo dei tarantiniani Bastardi senza gloria, la sua galleria di caratteri in cui il lavoro sul corpo, sulla fisicità dell’attore va di pari passo con l’interpretazione emotiva)

aggressivo nei modi quanto fragile nelle emozioni e incapace di reagire a qualsiasi contesto possa rivelarglisi avverso (la perdita del suo ruolo dentro casa, la perdita della certezza data dal lavoro).

Jack che è cresciuto coccolato e protetto dalle attenzioni e dalla cura di una madre solare, candida, dolce e presente

interpretata da Jessica Chastain alla sua prima vera grande prova sul grande schermo.

Jack che è cresciuto con un fratello sempre migliore di lui. Sempre più piccolo di lui. A cui tendere e da sconfiggere. Da abbracciare ed eliminare nella corsa alla sopravvivenza.
Jack che è cresciuto con un secondo fratello di cui poco è dato sapere perché poco ha inciso sulla sua crescita.

Un padre che è Natura mutevole, che travolge col suo impeto ciò che gli si para davanti ma allo stesso tempo crolla davanti all’incedere degli eventi.
Una madre che è Grazia e per questo sempre simile a sé stessa nella forma di un sorriso, di una corsa, di una danza.
Un fratello che è migliore di quello a cui vorrebbe tendere.
Un fratello che è troppo distante da queste problematiche per preoccuparlo.

Strade. Vie. Porte.
Di quante radici diramate nel sottosuolo della sua casa, di quanti rami allungati verso l’alto, è composto l’albero della vita di Jack O’Brien adesso che è un adulto perso nel labirinto delle costrizioni sociali ed emozionali?
Chi è il Jack di oggi, con il volto e le paure di uno Sean Penn spaesato e privo di punti di riferimento?


Qual è il suo ruolo e cosa fare per comprenderlo? A Chi affidarsi nel giorno della perdita di sua madre, unico elemento ancora in vita di quella che è stata la sua famiglia?

Al Dio a cui gli è stato insegnato di rivolgere le sue preghiere?
Al lavoro cui si deve ogni sacrificio della vita quotidiana?
Alla ricerca o alla conferma di un amore stabile e solido con cui costruire una nuova famiglia?

Al ricordo. Al perdono. Alla Natura. Alla Grazia.

Malick filma e firma il suo testamento (po)etico affidandosi ad una lunga e continua serie di immagini meravigliose, intime, epiche e minimali

cui la fotografia del decano Emmanuel Lubezki regala la luce eterna delle immagini statiche di un Gregory Crewdson lontano da Lynch e più vicino all’America che sa di cosa parlare quando parla d’amore raccontata nei frammenti di Raymond Carver.
L’occhio del regista statunitense segue le origini del mondo con distacco fermo ed estatico ma è pronto a far volare la il suo punto di vista con un trasporto leggero e soave (“Sembra quasi il punto di vista del vento” dirà il mio amico regista/scrittore Ivan Silvestrini) quando si tratta di seguire la crescita dei personaggi di cui viene raccontata una storia volontariamente piccola.

Un momento di universo. L’infinitesimale del tutto.

Un frattale che ci appartiene ed è della stessa materia di cui è fatto ognuno di noi.

Stellette? 9 su 10.

P.S.
Per apprezzare appieno il film è assolutamente sconsigliato:
– Andarlo a vedere dopo le 20.30.
– Permettere ai cazzoni in sala di parlare, bofonchiare, ridere.
– Accettare chi ne dirà peste e corna proprio per gli stessi motivi per cui voi lo avete amato.
– Ammettere che la migliore recensione possibile l’ha fatta quel tizio che l’ha definito “un meraviglioso screensaver di due ore e venti”

Comodo come un gatto…

20 maggio 2011 da Mauro

…sulla schiena di un pazzo in bicicletta.

Succede anche questo nel quartiere dove abito.

E di colpo, tornare di corsa a casa in pausa pranzo, acquista un senso in più!

Fluida è la vita.
Fluida è la via.

No ma è bella, eh!

19 maggio 2011 da Mauro

Mette di buon umore passare la mattina per la Stazione Termini e scoprire che è stata realizzata la statua di uno che SEMBRA il defunto Giovanni Paolo II ma che se la guardi bene, è in realtà un chiaro omaggio a due famosi personaggi di Star Wars:

Jabba the Hutt

e Darth Vader…

…nella sua versione senza casco…

… e con la mantella aperta lì che se la guardi un pelino da dietro SEMBRA disegnata apposta per sottolineare un messaggio chiaro ed inequivocabile:

Il tutto sotto gli occhi di Alemanno che SEMBRA un sindaco, ma per non essere da meno…

… fa la magnum!

Vivo in una città che ha per sindaco Ben Stiller che appoggia la realizzazione di statue di Darth Vader… esistono altri motivi per amarla?

E adesso spetta a Valerio Nizi, disegnatore dal tratto ruvido ed istintivo, dirci la sua sulle tavole che ha realizzato per l’albo di John Doe attualmente in edicola.

Ciao Valerio! A te è toccato disegnare le tavole in cui il John Doe attuale si scontra con quello della seconda stagione: la morte.
Anzi, sarebbe meglio dire che tu, dopo aver letto lo script relativo alle quattro case, ci hai “sottilmente” fatto capire che avresti voluto disegnare proprio quell’episodio. Come mai? Che legami hai con quel tipo di scenario?

Beh, diciamo innanzitutto che il nero è il mio colore, aggiungiamo che il periodo in cui John impersonava la Morte è stato sicuramente il mio preferito della serie e anche…  perché no, che volevo provare l’ebbrezza di uccidere un immortale.
E l’ho addirittura assaporata due volte in sole dieci tavole! Prima John Doe dio, poi Dylan Dog (
in una sequenza del fumetto che omaggia l’episodio in cui Dylan rimane l’unico essere vivente sulla terra. N.d.M.)

che non sarà un dio, ma di immortalità sicuro ne sa qualcosa come ormai classico personaggio Bonelli!

E poi di’ la verità, per come ti ho posto la richiesta una volta letta la sceneggiatura… come avresti potuto dirmi di no? Hihihi!
Lo sai che la katana ce l’ho sul serio…:D
Scherzi a parte, nella mia visione personale del fumetto (dal punto di vista del disegnatore) ci sono due cose alla base: lo storytelling e l’atmosfera.
Lo storytelling impeccabile di autori come John Romita JR o Steve Dillon lo tengo sempre a mente quando comincio a disegnare una storia.
Per l’atmosfera invece i miei riferimenti di lusso sono la poesia graffiante dei pennini di  Jorge Zaffino, l’estetica impareggiabile di Massimo Carnevale e la freschezza dei pennelli di Goran Parlov.
La mini storia che ho realizzato all’interno dell’ultimo episodio di John Doe l’ho trovata cucita su misura per me fin dalla prima lettura.
E il resto beh, lo sai!


Hai già letto tutto l’albo stampato? Che effetto ti ha fatto?

Finalmente ho letto tutto l’albo ed è stata una grossa soddisfazione per me aver fatto parte del progetto.
Mi era piaciuto molto quello che avevo letto e visto, le tavole di Valerio e Manolo (che conosco e stimo come amici e come colleghi) e ancora di più ho apprezzato quello che non avevo visto e letto!
Le tavole incredibili di Federico e Marco, che spero di avere l’opportunità e il piacere di conoscere anche di persona al più presto.
E poi devo aggiungere che la soddisfazione di andare in edicola a prendere il tuo fumetto, soprattutto quando è la prima volta, non ha prezzo!


Chi è Valerio Nizi? Da dove viene?

Chi sono? Uno fortunato innanzitutto, perché sto cominciando a fare il lavoro che più mi piace.
All’anagrafe sono un 31enne con una laurea in lettere, un diploma di scuola di fumetto e tanta voglia di spaccare.

Nel tempo libero,oltre alla mia ragazza e ai miei amici, cerco di assecondare le mie altre passioncelle: lo sport,la lettura (non solo di fumetti), il cinema e le serie tv!
Visto che si parla di fumetti da queste parti sappiate che i miei preferiti sono soprattutto quelli della Vertigo, e in particolare Hellblazer, Scalped, American Vampire, e poi l’inossidabile Punitore (serie max).
Da dove vengo? Dalla Città Eterna, grande amore nel bene e nel male, e più in particolare da casa mia, dove mio padre mi ha cresciuto a pane, Bonelli e Lanciostoy & Skorpio.
Poi dici che ti lamenti se ti viene il figlio disegnatore…

Hai frequentato anche tu una scuola di fumetti. Ci dici cosa funziona in queste scuole e cosa invece ancora non va?
Si, ho frequentato la Scuola Romana dei Fumetti, dove ho avuto l’opportunità di conoscere grandi autori e belle persone, che mi hanno aiutato a sviluppare le mie capacità, e soprattutto a migliorare il mio gusto estetico facendomi scoprire tanti disegnatori e storytellers grandiosi dei quali ignoravo colpevolmente l’esistenza.
Secondo la mia esperienza il problema è che una scuola di fumetto mette di fronte l’allievo a una realtà enorme, ed è molto difficile venirne a capo, sia per chi insegna che per chi impara.
Stando dalla parte di chi impara, posso solo dire che c’è tanto da lavorare, da studiare, sempre.
Perché questo lavoro meraviglioso è in divenire. Perché se non sei il primo a credere in quello che fai, come farai un domani a convincere un editore a darti una possibilità?

Cosa ti ha dato la facoltà di lettere? Oggi una facoltà come quella apre veramente al mondo del lavoro? Tornando indietro rifaresti lo stesso percorso?

Bah, sinceramente, per quanto riguarda la mia cultura personale, sono contento di essermi laureato in lettere perché ho avuto la possibilità di conoscere tanti autori che da solo magari mi sarei perso e anche di lasciarmi alle spalle un sacco di pregiudizi letterari che avevo una volta uscito dal liceo.
Per quanto riguarda il lavoro però, il piatto piange come tu ben sai. Io sono stato fortunato perché ho trovato una strada alternativa che mi piace un sacco, ma se dovessi consigliare a qualcuno di iscriversi a lettere perché è una buona scommessa sul proprio futuro lavorativo no,non potrei proprio farlo.



Visto che prima hai accennato alle serie tv parliamo di quelle. Con loro ho un rapporto ambivalente: non riesco a fare a meno di vederle ma ogni volta me la prendo con me stesso perché mi tengono lontane dai film. Tu che ne pensi? Me ne suggerisci 2 da vedere assolutamente?

Beh, quest’anno c’è stato il problema del gravissimo vuoto lasciato da 24.
Si, non da Lost, serie di cui, sinceramente io non ho sentito la minima mancanza, anzi, se vogliamo dirla tutta… mi sono fermato al sesto episodio della terza stagione.

Ma torniamo all’attualità, dicevo il vuoto lasciato da 24 è stata una bella pezza. Ma devo ringraziare quelli della HBO che sfornano sempre prodotti di prima qualità come Boardwalk Empire con un immenso Steve Buscemi o il più recente ma non meno sontuoso Game of Thrones tratto dalla saga di George R.R. Martin.
Poi le conferme di serie che mi avevano pienamente convinto già nella passata stagione, come Justified  (ispirato al personaggio creato da Elmore Leonard) e l’adrenalinico e splatteroso Spartacus.
Le quattro serie sopracitate le consiglio senz’altro in blocco. Naturalmente se non avete visto 24… recuperate!

Obbligami anche a leggere due fumetti.

Hellblazer

perché è il mio preferito e perché Constantine beh…non è Keanu Reeves!

E Scalped

perchè a mio modesto avviso è il miglior fumetto “for mature readers” attualmente in circolazione.

E ad ascoltare due album musicali.

Prima un classico:
l’ “Unplugged in Sweden” di Chris Cornell

che è uno dei miei album preferiti di sempre, mentre tra le novità direi

“Collapse into now” dei REM

perchè sono i miei preferiti e hanno sempre classe da vendere!

Per finire: cosa stai facendo ora? E soprattutto, cosa ti piacerebbe fare?

Vediamo…rispondo alle domande di uno sceneggiatore impicc…ah no intendevi lavorativamente?
Aspetto la sceneggiatura di un nuovo John Doe che Roberto sta scrivendo (spero) e adesso adesso sono alle prese con delle tavole di prova del Punisher MAX che la Marvel mi ha gentilmente richiesto e appena finisco le posto sul blog.
Cosa mi piacerebbe fare? Il sogno è lavorare sulle mie serie preferite: Dylan Dog qui da noi, e Hellblazer in america.
Poi c’è il sogno ulteriore che è quello, un giorno, di poter lavorare su qualcosa di mio al 100%, testi e disegni.
La strada è ancora lunghissima ma il viaggio è iniziato!

E con queste belle parole, vi linko il Blog di Valerio e, dopo avervi mostrato i layout delle tavole fatte per l’episodio di John Doe e quelle di prova realizzate per Scalped e Moon Knight della Marvel, eccovi anche una di quelle che presentò per poter lavorare su John Doe!

Seconda parte delle interviste dedicate ai cinque disegnatori di questo albo di John Doe e stavolta è il turno del trentenne Manolo Morrone, anche lui al suo esordio assoluto sulla testata!

Esordio complesso in quanto gli è toccato in sorte l’episodio forse più complesso tra quelli che avvengono all’interno delle “case”.
Manolo ha dovuto rappresentare un confronto difficile sul piano della caratterizzazione espressiva in quanto le differenze tra il John della prima stagione e quello della stagione attuale sono soprattutto caratteriali e non marcatamente fisiche come per quello della seconda o della terza.
Per cui Manolo ha dovuto prestare attenzione ad ogni singola sfumatura espressiva e ad ogni posa del personaggio, lasciando che fossero i dettagli i veri protagonisti di queste tavole.

Ciao Manolo, visto? L’albo è VERAMENTE uscito in edicola, l’hai già letto?
Che effetto ti ha fatto leggerlo e trovarti lì in mezzo?

Già letto? Divorato! Non vedevo l’ora.
Non avevo letto tutta la sceneggiatura perchè non volevo sapere come andava a finire, volevo godermi l’albo,sfogliarlo avanti e indietro, leggendolo e guardando i disegni, come faccio con tutti i fumetti.
Trovarmi lì in mezzo è stato un bell’ effetto, per prima cosa ho letto i nomi dei disegnatori, c’ero anch’ io, ho sorriso e mi sono pure emozionato.

Dicci un po’ chi è Manolo Morrone e come mai un giorno ha scelto di voler fare questo lavoro.

Bimbo Manolo da grande voleva disegnare. Proprio così.
Quindi diciamo che molte delle scelte che ho fatto nella vita sono state condizionate dalla mia passione per il disegno anche se non sapevo bene quale strada percorrere.
La svolta è arrivata quando, per reagire ad un periodo in cui la vita m’ha preso un po’ a schiaffi, mi sono iscritto alla scuola di fumetto.
Il risultato è che adesso ho ancora più voglia di disegnare di quando ero bambino.

Hai frequentato una scuola di fumetti. Cosa ti è rimasto di quell’esperienza? Pregi e difetti.
Che consigli daresti ad un ragazzo che volesse frequentarne una?

La scuola di fumetti è stata molto importante, semplicemente mi ha aiutato a capire che voglio fare i fumetti, e non è poco.
Oltre a farmi crescere tecnicamente mi ha fatto comprendere quanti sono gli elementi che ci sono dietro ogni singola pagina di fumetto, e poi mi ha lasciato delle amicizie solide con persone alle quali resterò sempre legato.
Parlando dei difetti… la scuola di fumetto sa darti lezioni indispensabili e lezioni che puoi trovare del tutto inutili, proprio come ogni scuola.
Consiglio a chiunque voglia fare fumetti di frequentare una scuola cercando di capire chi può insegnarti veramente tanto e chi non può o non vuole insegnarti niente.

Qual è il fumetto che più hai amato? Quello che più hai odiato? E quello che ti sei sempre vergognato di ammettere che ti piaceva da morire?

Diciamo che sono cresciuto a pane e Conan perchè da piccolo disegnavo guardando John Buscema e Frazetta, poi sono stato un pessimo lettore di fumetti per anni finchè non ho cominciato a frequentare la scuola, a quel punto sono stato travolto da tantissimi disegnatori e sono impazzito.
La verità è che mi piacciono troppe cose, molti disegnatori americani con stili diversi, e altrettanti disegnatori italiani.
Devo molto a Stefano Caselli
, è stato veramente capace di insegnarmi tanto, con lui ho capito come comunicare con il lettore.
Di solito quando sei a contatto con dei professionisti e vedi le cose che fanno ti capita o di voler piangere in un angolo pensando che non raggiungerai mai quel livello o di avere una grande voglia di disegnare, ecco a me capitano entrambe le cose in successione, troppo spesso.
Penso di essere solo all’ inizio e di poter crescere ancora tanto, ecco perchè mi appassiono a tanti stili diversi, spero che il mio stile sia sempre in evoluzione. Tutti i disegnatori che seguo con più interesse mi insegnano inconsapevolmente qualcosa, in oltre sono maestri già soltanto facendo ciò che fanno.
Ho amato molto Nextwave di Ellis e Immonen, mi ha divertito e mi ha colpito molto dal punto di vista grafico, ricordo che sull’autobus lo leggevo e ridevo da solo.
Finora non ho odiato nessun fumetto e spero di non dovermi mai vergognare di ammettere che un fumetto mi piace.

A che stai lavorando ora e come ti vedi da qui a dieci anni?

Innanzitutto spero che la mia collaborazione con John Doe non termini qui, per il resto sto cercando di fare qualcosa per il mercato americano, è un habitat che mi piace molto. Non voglio dire che non mi piacerebbe lavorare anche per altri mercati, anzi, è che mi sento a mio agio disegnando supereroi ipertrofici che fanno esplodere mille cose perchè je piace fa casino, non chiedetemi perchè.

Se potessi vedermi fra dieci anni sarei contento di scoprire una persona che ama fare il proprio lavoro, che si diverte con poco, un foglio e una matita.
E poi ovviamente ricco, famoso e grosso come The Rock.

Salutami regalandomi un film, un album musicale, un libro e un posto da vedere.

The big Lebowski

perchè vale sempre la pena rivederlo,

“Queen” dei Queen

perchè è il gruppo che mi ha preso per mano e portato verso il rock.

Il libro è ” Il più grande uomo scimmia del pleistocene”

perchè non l’ho letto e mi devi dire com’è.

Il posto è la quasi selvaggia Isola Del Giglio.

E io accetto ben volentieri, lo ringrazio, e chiudo l’intervista di Manolo segnalandovi il suo blog e mostrandovi le prime tavole di prova con cui s’è proposto per collaborare per John Doe:

Beati.

1 maggio 2011 da Mauro

Come tutte le persone sane di mente venute a Napoli per il Comicon, la prima cosa che ho fatto, sceso dal treno, è stato salutare i miei compagni di viaggio e dirigermi verso il primo barbiere disponibile nei dintorni della stazione.

Lo trovo subito.
Si chiama Ciro (“e come vuoi che si chiami un barbiere di Napoli?” mi dice lui).
Mi fa accomodare e mentre mi lava i capelli s’inerpica in un tortuoso discorso sul matrimonio di William e Kate in cui comunque alla fine mi rassicura che, pur non avendo nulla contro i gay, per un minuto s’è innamorato di Beckam.
Che quello è proprio uomo. Ma uomo, uomo. Più della sua donna costretta a mettersi quel fiore addosso per farsi notare.
Gli dico che sono d’accordo con lui pur non avendo, neanch’io, nulla contro i gay.

Dal lavaggio, passo al taglio.
Deludo Ciro dicendogli che non tifo per nessuna squadra di calcio.
Lui mi risponde chiedendomi: “Vabbuò, almeno ce l’avrai una bandiera?”.
Faccio cenno di no con la testa rischiando di farmi saltare un orecchio.
Ciro mi mette le mani sulle spalle e mi dice che sbaglio, perché una bandiera devo averla perché mi aiuterebbe un po’ nel contesto sociale. Mi parla della madre che tiene settant’anni, non capisce niente, ma parla del Napoli e per questo i nipotini le vogliono bene.
Non mi sento di dargli torto, e gli dico che al prossimo che me lo chiederà risponderò che sono del Napoli.
Lui mi bacchetta. “Sei romano, non ti conviene, cerca di capire se quelli con cui stai parlando sono della Roma o della Lazio e tieni per quella squadra che ti dicono. Così funziona.”
Siamo oltre i confini del cerchiobottismo, penso, ma non faccio in tempo ad esplicitarlo perché entra l’uomo dalla voce grossa ed entusiasta che avvisa Ciro del fatto che sta partendo per Roma.
Ciro gli chiede “che vai affare?”
E voce grossa ed entusiasta gli risponde che va a vendere la sua nuova invenzione.
Apre la borsa e ne tira fuori una decina di CD.
Tutti hanno stampata sopra la faccia del papa.
Ce li mostra fiero. Sono tutti come quello della foto che ho messo in apertura del post.

Lui spiega:

“100 di questi mi costano 10 euro, già con la stampa sopra con scritto: La vera storia di Papa Giovanni Paolo II, io ora vado a Roma e li vendo a quelli che stanno lì per la beatificazione ad offerta libera! E la cosa bella è che dentro a questi dischi… non ci sta niente!”

Io lo guardo come si guarda un oracolo.

Qualcosa mi dice che attratto dall’oasi del facile guadagno, non si sia reso conto di quanto sia così allegoricamente potente il fatto che “la vera storia di Giovanni Paolo II” sia un disco vuoto.
Di quanto l’acquisto stesso del disco sia un puro atto di fede.
Di quanto, tutti quelli che oggi sono a Roma per la beatificazione di quell’uomo, vogliano gioiosamente credere in qualcosa che non c’è.
Nella santità di un uomo.
In un disco vuoto.

Mi ha convinto.
Ne compro uno, dandogli due euro. Eccolo:

Il tizio mi ringrazia stringendomi la mano e va via, verso Roma.

Ciro borbotta e io gli chiedo come si chiama il tizio.
Mi risponde: “Gennaro. Come vuoi che si chiami nu mariuol’ ‘e Napule?”



Valerio Schiti
è il disegnatore principale del settimo episodio della nuova serie di John Doe. E’ la prima volta che lavoro con lui e fino al momento di avviare questa collaborazione non ci eravamo mai né visti né sentiti. Ci siamo conosciuti lavorando insieme e devo ammettere che raramente mi sono trovato così bene con un collega.
Valerio è sveglio. Valerio è entusiasta. Valerio usa il cervello prima della matita. Valerio è bravo.
Il resto vedo di scoprirlo facendogli qualche domanda:

Ciao Valerio, sei il mattatore assoluto di questo numero. Ne hai portato a casa due/terzi delle tavole in tempi, diciamo così, non proprio rilassanti e senza scalfire minimamente la tua qualità. Com’è andata? Cosa vuol dire realizzare tutte queste tavole di un fumetto popolare da edicola, sapendo che già molti autori, prima di te (anche parecchio noti) hanno lasciato il segno con la loro interpretazione del personaggio?

Fai bene a chiedermi degli autori che mi hanno preceduto perchè molti di loro sono fra i professionisti italiani che ammiro di più.
Anche solo immaginare di raccogliere l’eredità di talenti del calibro di Riccardo Burchielli, Werther Dell’Edera o Matteo Cremona, solo per citarne alcuni, è una spada di Damocle davvero inquietante per un disegnatore alla sua prima “uscita lunga” in edicola.
Immagina la scena: campo medio, leggermente dall’alto, io gobbo che disegno e sopra la mia bella capoccetta la spada di Damocle… una bella immagine!
L’unico modo per superare lo stress delle prime pagine è stato pensare di realizzare un “mio” John Doe personale che considerasse i John realizzati precedentemente ma che in un certo senso fosse “diverso”.
Devo ammettere di essere stato facilitato in questa “opera di distrazione” per molte ragioni.
Innanzitutto perchè la testata è storicamente una delle più libere del mercato italiano. Sulle pagine di John Doe c’è sempre stato spazio per la sperimentazione sia grafica che narrativa, grande liberà di sintesi nel realizzare i tratti dei personaggi ed un’anomala tolleranza per l’impaginazione della tavola che non deve necessariamente seguire il consolidato stile bonelliano.

La seconda fortuna è il personaggio stesso di John, soprattutto in quest’ultima stagione ed in particolare in questa storia (e qui ti faccio i complimenti, caro Mauro) (Grazie! Lecchino). (Prego! Stronzo). (lecchino.) (Stronzo.)
Io stesso sono rimasto sorpreso nel verificare quanto fosse divertente disegnare un dio vanitoso, quasi metrosexual, con tutto il bagaglio di atteggiamenti, espressioni e dettagli di abbigliamento che porta con sè.
Inventare vestiti (Dior), scarpe (Paciotti), gioielli (ancora Dior) è stato il modo migliore per avvicinarmi al nuovo carattere di John e raccontarlo indirettamente al lettore.
Tra l’altro è stato fondamentale in questo tentativo l’appoggio di Vega, la mia ragazza, che mi ha introdotto ai sacri misteri del mondo della moda!
(n.d.M. “Vega Guerrieri” è la fortunata che ha rapito il cuore di Schiti. Ora. Seriamente. Aldilà di questo momento da Cento Vetrine, “Vega Guerrieri” è o non è il nome più cazzuto che abbiate mai sentito?)
Inoltre la storia che hai scritto mi ha permesso di soffermarmi sulla sua recitazione che passa da spavaldo a frustrato, da divertito a triste, da affascinante a spaventato: John Doe è un personaggio vivo, e in questa storia “psicanalitica” lo è più che mai!
La terza fortuna è stata la vagonata di citazioni che mi hai permesso di realizzare graficamente.
Oltre agli omaggi cinematografici come al maestoso Clint Eastwood, o letterari, come Douglas Adams, c’è stata la possibilità di sbizzarrirsi citando John Doe stesso!
In un’unica doppia tavola ho potuto provare a rappresentare la “storia” di John Doe, disegnandolo in tutte le sue reincarnazioni principali, tutte uguali ma necessariamente tutte diverse! Ho provato a ricordare ai lettori una stagione intera attraverso un “outfit” particolare o una posa. Che dire: uno spasso!



Tutte queste circostanze hanno contribuito a farmi dimenticare le responsabilità legate alla scadenza, all’eredità dei disegnatori che mi hanno preceduto e alla visibilità della testata e concentrarmi sul divertimento!
Spero davvero si sia divertito anche chi ha letto questo pagine, oltre a me che le ho disegnate!

Quando hai pensato per la prima volta che avresti fatto fumetti nella vita? E quali sono state le tue prime mosse in merito? Avanti su, non essere timida e parlaci di te!

Sinceramente io mi ricordo di aver disegnato praticamente da sempre, come un po’tutti i disegnatori!
All’inizio però non pensavo ai fumetti ma ovviamente ai cartoni animati perchè come molti miei coetanei ero e sono ancora oggi innamorato pazzo dei “robottoni” giapponesi!
Poi a dieci anni mi sono venuti gli orecchioni. Ecchissenefrega, dirai tu. Però in quell’occasione mia madre mi comprò il mio primo numero dei “Fantastici 4”, scritto e disegnato da John Byrne.
Quei disegni uniti in un mix letale con la febbre a 40 mi hanno folgorato! Da quel momento ho cominciato a seguire le testate della Marvel, l’Uomo Ragno in particolare, che mi ha educato quasi quanto i miei genitori!

Poi successivamente sono arrivati i grandi autori, le serie italiane e pochissimi manga. Ancora in seguito c’è stata la parentesi dell’architettura. Per tutto il tempo dell’università e per qualche annetto successivo alla laurea ero davvero sicuro che avrei fatto l’architetto.
Mi sono iscritto alla “Scuola internazionale di Comics” quando ero ancora convinto che le due passioni potessero convivere. Grosso errore! Il vecchio amore sopito per la narrazione a fumetti ha definitivamente schiacciato l’architettura. Comunque devo ammettere mio malgrado che le nozioni imparate in anni di università mi tornano utili molto spesso ed inoltre adoro disegnare riferimenti a quel mondo, come ad esempio le sedie Barcellona di Mies van der Rohe presenti in questo numero di John!

Hai nominato la Scuola Internazionale dei Comics. Molti di quelli con cui collaboro sono sono usciti da questo tipo di scuole. Ci dici a cova va incontro un ragazzo che decide di frequentarle? Pregi e difetti
.

Mi sento davvero di consigliare a chiunque voglia intraprendere una carriera nei fumetti di iscriversi assolutamente ad una scuola!
La prima elemento che bisogna considerare è che quello del fumettista è un lavoro.
Sembrerà banale ma molte persone confondono il fumetto con un gioco, un hobby, o si focalizzano maggiormente sotto il punto di vista artistico del mezzo senza considerare, anche e soprattutto, che si tratta soprattutto di un lavoro con regole, pressioni, contratti, collaborazioni, scadenze e responsabilità. Una scuola di fumetto, quando è seria, ti prepara ad affrontare questo mondo impostando orari, consegne e revisioni e controllando costantemente la qualità del tuo lavoro. E questo credo vada riconosciuto, col rischio di sembrare un musone pedante!
Secondo punto a favore delle scuole è quello di poter imparare il mestiere attraverso le esperienze di veri professionisti. Oltre ad imparare da loro nozioni necessarie ed obbligatorie come anatomia, prospettiva, narrazione e tecnica c’è anche tutto il bagaglio di consigli che si possono ottenere solo attraverso la conoscenza diretta di chi fa davvero questo mestiere.
Terzo punto a favore delle scuole è che i professori ti spingono costantemente a leggere fumetti ed a leggerli in maniera intelligente, valutando narrazione, stile, anatomia… Anche questo sembrerà banale ma secondo me non si possono disegnare fumetti se non si leggono fumetti. Dopo una prima lettura fatta per divertimento, un insegnante può stimolare a vedere una storia da una prospettiva più tecnica che da soli non avremmo considerato per niente o quantomeno solo in parte.
Poi magari arriva il fenomeno che in solitaria, nella sua cameretta, come un piccolo Leopardi dei fumetti, si mette lì e diventa un grande autore… per carità, è possibile, però è rarissimo. Nella maggior parte dei casi è necessaria una guida. Io ti giuro che il pensiero più frequente durante le lezioni è stato “Ah, vedi, io non c’avrei mai pensato!”.
Per quanto riguarda i punti a sfavore non saprei. Sinceramente l’unico aspetto negativo che mi viene in mente è il prezzo. Seguire un buon corso di fumetto costa e costa parecchio e non tutti possono permetterselo. E questo è un vero peccato.

Ho visto che stai realizzando delle prove per la Marvel. Cosa pensi che possa darti il fumetto americano rispetto a quello italiano? E viceversa, quali pensi siano i punti forti del fumetto italiano rispetto a quello d’oltreoceano?

Sarei il più grande degli ipocriti se ti dicessi che non sogno di lavorare per il mercato americano!
Te l’ho detto, quelli americani sono i fumetti del mio “imprinting” per cui mi sento legatissimo a certi personaggi, in particolare a quelli Marvel.


Però il fumetto italiano in questi anni sta avendo la sua rivincita su quello anglosassone o statunitense. Dopo l’ondata di film tratti dai personaggi dei comics americani il pubblico si è abituato ad una narrazione a fumetti più cinematografica fatta di inquadrature che simulano i movimenti della macchina da presa. Penso alle carrellate, alle zoomate al taglio della vignetta più cinematografico ed alla tendenza ad evitare di “sbordare”, cioè di far uscire il personaggio dalla vignetta e soprattutto una maggiore cura nel rappresentare le location. Se questa è una novità nel mercato americano (salvo alcune pregevoli eccezioni) di certo non lo è in quello italiano! Le pubblicazioni bonelliane sono cinematografiche ante litteram e ci sono autori grandiosi, per esempio Gianni De Luca, che hanno usato impaginazioni da film ancora prima che si pensasse a realizzare film tratti dai fumetti. Probabilmente è proprio grazie a questa tradizione che tantissimi autori italiani stanno sfondando in Inghilterra e negli Stati Uniti. Guarda caso molti di loro sono passati anche per le tavole di John Doe!

Con cosa lavori? Avanti, rivela i trucchi del mestiere.

Non vi sorprenderò. Carta, matite, pennarelli e pennelli sono le uniche cose che uso, anche se talvolta ripiego sul primo strumento che mi capita sotto mano. Non c’è una regola. Faccio piccole incursioni digitali e piccole cose “old school” come spugna o pennello secco. L’importante è il risultato finale!

Diciamo che il processo completo passa per varie fasi.
Fase uno: lettura della sceneggiatura.
Fase due: panico! Oddiocomelafaccio?!!!!.
Fase tre: ovvero lo zen e l’arte del “thumbnail”. Mi calmo e mi butto giù degli schizzetti brutti ma brutti per organizzarmi la tavola (alcuni fra quelli del numero sette li ho anche pubblicati sul mio blog).

Fase quattro: mi stampo la squadratura digitale della tavola e butto giù le matite.

Fase cinque: china, pennarello e tutta la robaccia che trovo sul tavolo.

Fase sei: scansione e impaginazione definitiva, più un minimo di post-produzione per effetti sonori, testi e pulitura di qualche imperfezione.
E poi basta, sono banalissimo… Ah, tra l’altro mi scarico un botto di foto come riferimento per gli ambienti e i personaggi! Mi piace cercare i vestiti, le macchine, le location… però odio ricalcare! Secondo me rendono le inquadrature troppo statiche. Documentarsi si, copiare no!

A questo proposito facciamo godere i lettori con un piccolo aneddoto.
Mi dicono che dovrò fare John Doe 07. Vado nel panico, poi mi calmo e poi mi metto a cercare i riferimenti che suppongo mi serviranno. Tra le altre cose mi scarico tonnellate di foto di New York. Poi inizio a disegnare… mi faccio le prime tavole… vado avanti per un po’… e poi tu decidi di sganciare la mina: siamo a Londra! Ad onor del vero, quando ti ho raccontato delle foto tu mi hai anche detto che non faceva nulla e avremmo potuto cambiare ambientazione quando invece avresti potuto dire: “Muori, maledetto, lo sceneggiatore sono io e decido io!”, ma mi hai dato una chance per mettermi a mio agio.
E io non me lo dimentico!

E adesso svela i tuoi maestri.

Di maestri ce ne sono un infinità! Dividiamoli in due categorie: quelli consapevoli e quelli inconsapevoli.

Quelli consapevoli sono quelli che ho avuto come insegnanti a scuola. Sono stati tutti fondamentali ma dei ringraziamenti particolari vanno a Saverio Tenuta, a David Messina, a Roberto Ricci, a Paolo Grella e a Bruno Letizia. A loro sono particolarmente debitore!

Quelli inconsapevoli sono gli autori a cui mi sono ispirato. E ti assicuro che sarebbero davvero tantissimi da elencare! Ho amato Mike Mignola e Alan Davis, Brian Hitch e John Romita Jr. Fra gli italiani “classici” decisamente Gianni De Luca e Sergio Toppi. Fra le “novità” straniere abbiamo David Lafuente, Sean Gordon Murphy, Zach Howard, Stuart Immonen ed Eric Canete. Fra le “novità” italiane Riccardo Burchielli, Matteo Cremona, Matteo Scalera, Sara Pichelli… e anche basta che ho rotto le palle! E sicuro come la morte mi sono scordato qualcuno… spero non si offenda!

Per finire, regalami un film da vedere. Un libro da leggere. Un disco da ascoltare. Un posto da visitare.

Il film è “C’era una volta in America”, per Sergio Leone.

Il libro è “American Tabloid”, perchè lo sto leggendo adesso e me ne sto innamorando.

Il disco è “Ok Computer” dei Radiohead, perchè li ho amati e li amo ancora!

Il posto è Napoli, perchè è fantastica, perchè lì ho trascorso alcuni giorni bellissimi con Vega e perchè lì ci incontreremo presto e ti farò i complimenti di persona per la nomination al Micheluzzi!

Ecco. Questo, e parecchio altro, è Valerio Schiti.
Seguitelo sul suo blog. Non perdetelo di vista.
E non venitemi a dire che non vi avevo avvisati.

P.s.
Vi lascio con una chicchetta: le prove che fece Valerio per John Doe:

Accostatele a quelle dell’albo attualmente in edicola e vedrete quant’è cresciuto rispetto a queste, che già erano parecchio sopra la media!


BambinipiangeteMammecomprate!!!

26 aprile 2011 da Mauro

E finalmente è uscito!

E non ho problemi ad ammettere che è la cosa di cui più sono fiero tra quelle a cui ho lavorato.
E FIERO è proprio il termine adatto.

Fiero per aver potuto realizzare una storia particolarissima sia per forma che per contenuti senza alcun vincolo da parte della casa editrice, anzi, con il loro pieno appoggio.

Fiero che quest’albo contenga tanti stili quanti sono i talenti ci hanno messo sopra le mani.

Fiero per le scoperte, fiero per gli amici, fiero per le conferme.

Fiero per aver raccontato quello che volevo, rischiando forte su una strada opposta a quella percorsa con l’albo precedente (un po’ come quei gruppi che fanno un primo album che ottiene parecchie recensioni positive e quindi ne realizzano un secondo completamente diverso!)

Fiero della copertina. Fiero del titolo. Fiero dell’editoriale.

Questo John Doe n.7 che stringo in mano proprio ora, con i suoi pregi e i suoi difetti, è ESATTAMENTE quello che volevo ed è frutto del lavoro congiunto di queste persone qui:

Lorenzo Bartoli

Che l’ha approvato.

RRobe

Che l’ha seguito e supervisionato.

Decu

Che gli ha messo addosso il vestito della festa.

Il sottoscritto

Che l’ha pensato e sceneggiato.

Valerio Schiti

A cui è toccato l’onore e l’onere di disegnare la storia principale (per la precisione, sue sono le tavole 1/29, 40-41, 52-53, 64-65, 74/94).

Manolo Morrone

Che ha disegnato lo scontro tra John Doe attuale e quello della prima stagione (tavole 30/39)

Valerio Nizi

Che ha fortemente spinto per poter disegnare il confronto col John della seconda (tavole 42/51).

Federico Rossi Edrighi

Che ha affogato John nel fiume dell’oblio e delle sue forti chine (tavole 54/63).

Marco Marini

che ha messo il suo talento a disposizione per raccontare quante sono le inquietudini del dubbio (tavole 66/73).

e infine Paolo Loss

Che ne ha supervisionato l’aspetto grafico.

Dieci maschioni che ce l’hanno messa tutta per farvi passare una mezz’ora serena in compagnia del nostro John Doe (per le fan più esigenti si realizzano anche calendari personalizzati su richiesta!).
All’appello manca soltanto l’editore che l’ha pubblicato, ma solo perché sembra che brilli talmente tanto di luce propria da rendere impossibile fotografarlo!

Nei prossimi giorni pubblicherò delle interviste fatte a tutti questi bei tipi qui e vi racconteranno la loro sull’albo in questione.
Per quanto riguarda me invece, sto preparando il nuovo dietro le quinte commentato che la volta precedente è stato accolto piacevolmente!

E adesso correte in edicola che sono veramente curioso di sapere cosa ne pensiate!

Buona lettura!

Secondo il comitato selezionatore del Comicon (composto da Loris CantarelliStefano PerulloSusanna ScrivoAndrea Voglino Laura Pasotti per Il Garage Ermetico.) i cinque sceneggiatori più meritevoli di vincere il prestigioso Premio Micheluzzi quest’anno sono:

Ausonia per Interni 3 (pubblicato dalla Double Shot)
Alessandro Bilotta per lo splendido Valter Buio (Star Comics)
Makkox per quelle rivelazioni che sono state “La vasca”, “Amoremio” e “Perline” (Coniglio Editore)
Gianfranco Manfredi per lo speciale conclusivo di Magico Vento (Sergio Bonelli Editore)
– Un certo Mauro Uzzeo per quel numero 3 di John Doe (“L’uomo con la macchina da presa”) di cui tanto s’è parlato su queste pagine.

Che dire?
Niente che possa descrivere pienamente la sensazione mista di imbarazzo e onore che m’ha riempito il petto appena letta la notizia.

So benissimo che la mia strada nel mondo del fumetto è appena cominciata e davanti a me c’è solo una grande salita ma al momento mi sembra costellata di alberi da frutto, colleghi partecipi e amici presenti.

Ricevere un riconoscimento simile durante una convention che è, da anni, in assoluto la mia preferita tra tutte le italiane (non è mica un caso che sia l’unica di cui ho già parlato su queste pagine!) è, per me, un segnale grande.
L’incentivo a continuare per quella salita senza ripensamenti.
E per chi fa questo lavoro, poche cose sono importanti quanto gli incentivi.

E proprio per questo non posso non ringraziare Roberto, Lorenzo, Enzo e Sergio che mi hanno permesso di salire a bordo della corazzata John Doe.

Di seguito la lista completa delle nomination (piena piena di bella roba):

MIGLIOR FUMETTO

Acqua Storta, di Valerio Bindi/MP5 (MERIDIANO ZERO)
Anna Politkovskaja, di Francesco Matteuzzi/Elisabetta Benfatto (BECCO GIALLO)
Ciao ciao bambina, di Sara Colaone (KAPPA EDIZIONI)
Cinquemila chilometri al secondo, di Manuele Fior (COCONINO PRESS)
Quaderni ucraini. Memorie dai tempi dell’URSS, di Igort (MONDADORI – STRADE BLU)

MIGLIOR SERIE DAL DISEGNO REALISTICO
La vasca, Amoremio, Perline di Makkox su Canemucco (CONIGLIO EDITORE)
Hasta la Victoria! 4, di Stefano Casini (GRIFO EDIZIONI)
Interni 3, di Ausonia (DOUBLE SHOT)
Lilith, di Luca Enoch (SERGIO BONELLI EDITORE)
Valter Buio, di Alessandro Bilotta/AA.VV. (STAR COMICS)

MIGLIOR SERIE DAL DISEGNO NON REALISTICO
A come ignoranza (volume 4.5 e 5), di Daw (PROGLO)
Kika, la ragazza dei gatti, di Massimo Cavezzali/Andrea Camerini
(su Lupo Alberto – MCK PUBLISHING)
My name is Palmiro (volume 2), di Sauro Ciantini (DOUBLE SHOT)
Rat-Man, di Leo Ortolani (PANINI COMICS)
Telescherno, di Stefano Disegni (su Magazine Sette -Corriere della Sera)

MIGLIOR DISEGNATORE
Daniele Caluri, per Don Zauker – Inferno e Paradiso (DOUBLE SHOT)
Manuele Fior, per Cinquemila chilometri al secondo (COCONINO PRESS)
MP5, per Acqua Storta (MERIDIANO ZERO)
Fabio Pezzi, per Magico Vento Speciale n.1 (SERGIO BONELLI EDITORE)
Vanna Vinci, per Gatti neri cani bianchi volume 2 (KAPPA EDIZIONI)

MIGLIOR SCENEGGIATORE
Ausonia, per Interni 3 (DOUBLE SHOT)
Alessandro Bilotta, per Valter Buio (STAR COMICS)
Makkox, per La vasca, Amoremio, Perline su Canemucco (CONIGLIO EDITORE)
Gianfranco Manfredi, per per Magico Vento Speciale n.1 (SERGIO BONELLI EDITORE)
Mauro Uzzeo, per John Doe 81 (n.3) “l’Uomo con la Macchina da Presa” (EDITORIALE AUREA)

MIGLIOR FUMETTO ESTERO
Il cielo sopra il Louvre, di Jean-Claude Carrière/Bernard Yslaire (001 EDIZIONI)
Hiroshima. Nel paese dei fiori di ciliegio, di Fumiyo Kono (RONIN MANGA)
Luna Park, di Kevin Baker/Danijel Zezelj (MAGIC PRESS)
Malinky Robot, di Sonny Liew (LAVIERI COMICS)
Mia mamma (è in America, ha conosciuto Bufalo Bill), di Jean Regnaud/Émile Bravo (BAO PUBLISHING)
Uno zoo d’inverno, di Jiro Taniguchi (RIZZOLI LIZARD)

MIGLIOR SERIE A FUMETTI ESTERA
Bakuman, di Tsugumi Obata (PANINI COMICS)
Ex Machina, di Brian K. Vaughan/AA.VV. (MAGIC PRESS)
Il Mondo d’Alef-Tau, di Alejandro Jodorowsky/Marco Nizzoli (COMMA 22)
Scalped, di Jason Aaron/R.M.Guéra (PLANETA DEAGOSTINI COMICS)
Scott Pilgrim. Una vita niente male, di Brian L. O’Malley (RIZZOLI LIZARD)
Vinland saga, di Makoto Yukimura (STAR COMICS)

MIGLIORE RIEDIZIONE DI UN CLASSICO
Mumin e i briganti, di Tove Jansson (BLACK VELVET)
Le Panoramiche di Jacovitti, di Benito Jacovitti (NUOVI EQUILIBRI)
Il mondo dei Ronfi, di Adriano Carnevali (STRUWWELPETER)
Sailor Moon, Naoko Takeuchi (GP PUBLISHING)
Gli anni d’oro di Topolino, di AA.VV./Floyd Gottfredson (RCS Quotidiani)

MIGLIORE STORIA BREVE
I Ronfi, di Adriano Carnevali su Pic Nic (SUPERAMICI)
Quel pomeriggio di un giorno da conigli, di Tuono Pettinato in Wonderland (NICOLA PESCE EDITORE)
Mark Twain, di Piero Fissore/StefanoVoltolini su Giornalino n.48 (PERIODICI SAN PAOLO)
Tombra, di Sergio Ponchione in Wonderland (NICOLA PESCE EDITORE)
Il come e il quando, di Paolo Bacilieri su ANIMAls gennaio 2010 (CONIGLIO EDITORE)

MIGLIOR WEB FUMETTO
A Panda Piace, di Giacomo Bevilacqua
pandalikes.blogspot.com
InkSpinster, di Deco
www.inkspinster.com
Crazy Nena, di Serena Romio
serenaromio.blogspot.com
Rusty Dogs, di AA.VV.
rusty-dogs.blogspot.com
Flaviano’s, di Flaviano Armentaro
flavianoarmentaro.blogspot.com

E una breve scheda personale del comitato selezionatore:

Loris Cantarelli (Milano, 1970) è redattore del mensile Fumo di China e scrive di fumetti su riviste e libri di saggistica. Sull’argomento ha tenuto una rubrica settimanale sulla milanese Radio Popolare e collabora con Riminicomix. Ha curato con Paolo Guiducci il volume Nel mezzo del cammin di una vignetta… Dante a fumetti (Cartoon Club 2004) e con lo staff di Comicon Attilio Micheluzzi: Architetto d’avventure (Black Velvet 2008) e L’Audace Bonelli (Comicon 2010). Dal 2010 cura il blog illustrautori.blogspot.com.

Stefano Perullo (Napoli, 1970), libraio di professione, è giornalista e critico per passione. È il titolare della Fumetteria Comix Factory (Caserta) e collaboratore delle riviste Scuola di Fumetto, Fumo di China, Mega e Rumore.

Susanna Scrivo (Catania, 1978) è laureata in letteratura giapponese all’Orientale di Napoli e ha studiato alla Sophia University di Tokyo. Traduce manga. Con Roberta Ponticiello ha curato Con gli occhi a mandorla. Sguardi sul Giappone dei cartoon e dei fumetti (Tunué, 2005); è autrice di Nuvole e arcobaleni. Il fumetto GLBT (Tunué, 2009), Heidi, la bambina delle Alpi (Iacobelli, 2009) e Rumiko Takahashi – La regina dei manga (Iacobelli 2010).

Andrea Voglino (Milano, 1965) ha esordito nel mondo del fumetto alla fine degli anni ’80 come assistente di Enzo Baldoni. Al suo attivo, traduzioni e commenti critici per editori quali Rizzoli, Edizioni Play Press e Saldapress. Attualmente scrive di comics su Alias, supplemento settimanale del quotidiano il manifesto, e sul suo blog www.avsl.blogspot.com.

Laura Pasotti (Mantova, 1972) è giornalista. Da sei anni conduce Il Garage Ermetico, trasmissione radiofonica dedicata al fumetto, attraverso approfondimenti su opere di recente uscita o interviste inedite su autori che hanno fatto grande la storia del medium, e che va in onda su diverse emittenti italiane. Collabora con Fumo di china.

Cosa aggiungere?
Per tutti quelli in gara, in bocca a più lupi possibili e in culo a tutte le poche balene rimaste, per tutti gli altri… ci si vede a Napoli!

Amen.

25 aprile 2011 da Mauro

Scandicci.
Italia.

« Previous Entries Next Entries »