Perdona e dimentica.

24 agosto 2011 da Mauro

In vista della prossima partenza per il festival del cinema di venezia – che quest’anno ha una selezione di titoli da strapparsi i capelli uno ad uno – ho messo il vestitino del bravo e coscienzioso studente e ogni momento della giornata in cui non scrivo/mangio/evacuo/dormo/cantocanzoniacasodeglismiths, lo passo a rispolverare le filmografie dei tre registi che attendo con più trepidazione:


Todd Solondz,


Johnnie To,


e Shinya Tsukamoto.

Ho inaugurato il cineforum casalingo con “Vengeance

di To, che avevo visto in sala tempo fa, seduto subito dietro al regista, grazie ad una segnalazione lampo del mio mago della pioggia preferito.

E Vendicami è un film da vedere per tanti di quei motivi che se questa fosse una recensione li elencherei tutti uno dietro l’altro, a partire dall’intensa e crepuscolare interpretazione di Johnny Hallyday, passando per colori e messa in scena, fino ad arrivare al mash up tra la Cina epica dei wuxiapian e la Hong Kong delle storie di mafia ben note anche qui da noi del fronte occidentale. Ma questa, come dicevo, recensione non è, per cui al massimo riporto quanto disse quel giorno lo stesso To:

“Io giro tanti film, quelli che piacciono a me sono quelli con cui non faccio soldi. Per questo devo girarne altri, che mi piacciono meno, ma almeno mi permettono di fare cassa. Così posso concedermi il lusso di girarne uno che può anche andare male ma non m’interessa, perché ne vado fiero. Questo è uno di quelli.”

E di quello che dice To, potete fidarvi.

Se vi fiderete pure del sottoscritto, e scaricherete il film online, inizierete a vederlo senza sorprese.

Se invece comprate il regolare dvd

(no bluray per l’italia, ladies and gentleman) scoprirete con gioia che

A) la selezione scene funziona solo cliccando nei quadrati e non sul numero della scena.
B) inserendolo in un qualsiasi computer, risulta essere il dvd di un altro film: “Simon Koniansky” (anche se per un errore nell’errore nell’errore del tizio che s’è occupato dell’autoring video il film risulta essere “SimonKoniansy” senza la kappa. E si, scrivo tiziO e non tiziA perché se scorrete quelle belle statistiche legate ai serial killer e ai mostri vari, scoprirete che i peggiori crimini dell’umanità – tra cui è sicuramente da ascrivere un pessimo autoring dvd – sono commessi da maschi).

Ora, io di questo misterioso film vi metto anche il trailer ma non me lo guardo perché sono uno che queste cose le prende bene.

Scrivetemi voi se ne vale la pena.

Torniamo a Vengeance e al perché questo post si intitoli come il quinto film di Todd Solondz (ci sarebbe una ennesima parentesi da aprire ma me la tengo per la fine, giuro)

Francois Costello (il personaggio interpretato da Hallyday) è un cuoco.
Smise di fare il killer quando un proiettile gli rimase mezzo infilato nel cervello.
Per cui, oggi che Francois deve vendicarsi del massacro di figlia, genero e nipotini, deve fare le cose con attenzione, perché a causa di quel proiettile lui dimentica.
E dimentica sempre più in fretta.
E fotografa ogni cosa che vede segnando cosa rappresenta per lui. Un nemico. Un amico. Una vendetta.

Ma cos’è la vendetta per chi dimentica? Per qualcuno che ha bisogno che gli venga costantemente ricordato che è in guerra?

Se lo chiedono anche loro, qui:

E me lo chiedo pur io che a questa cosa ci penso spesso.

Perché la seconda cosa che mi sento dire più volte è che sbaglio nel fossilizzarmi sugli aspetti positivi delle persone ignorando quelli negativi, che effettivamente ci sono e sono sotto gli occhi di tutti.
E la prima è che ho la testa bacata perché dimentico qualsiasi cosa.

Ho sempre pensato che fossero due caratteristiche ben divise, dopotutto la seconda è causata da un mix tra carattere e contesto, la prima è invece diretta conseguenza del credere profondamente nell’entropia e nel brutto.
Per cui ogni bonus che arriva è stupore inaspettato. E’ meraviglia.
Perché l’errore è credere che il bello ci sia dovuto e non considerare che, fondamentalmente, ognuno di noi lotta quotidianamente per sopravvivere a sé stesso prima che agli altri.
E dare è un passo successivo che già determina una prima vittoria.
Dare diventa più prezioso di qualsiasi togliere perché indica uno sforzo in più invece che in meno. E quello è il valore.

Ma se le due cose fossero completamente collegate?

Dopotutto io litigo forte quando ricordo tutte le esatte parole ascoltate che mi hanno fatto incazzare. E me le ripeto una dietro l’altra, continuamente, in un mantra fomentante rabbia. In loop. Le parole. Le facce. Le parole.
E mi ricordo mia nonna, in pieno alzheimer,  sempre sorridente. E di quella signora perennemente incattivita verso un mondo che non le ha mai dato tanto e che la faceva bestemmiare, se n’era dimenticata persino lei.

E allora come dimenticare senza l’orrore di dimenticarsi? (che ognuno è solo quello che è stato e che vorrà essere)

Io, in una dimenticanza buona, senza proiettile, in una panacea dirottabile verso la serenità, vorrei crederci.
Senza rancori, senza allarmi e senza sorprese.

Perché siamo scatoloni fragili, da maneggiare con cautela, e romperci è troppo più semplice quando, per aggiustarci, le istruzioni sono in tutte le lingue tranne che la nostra.

Solondz, dicevo prima, l’ultima parentesi.
A Venezia proietteranno il suo sesto film e quelli che DOVETE vedere, per il momento, sono tre.

– Fuga dalla scuola media.
– Happiness – Felicità.
– Perdona e dimentica.

I titoli originali del primo e del terzo erano i ben più evocativi: “Benvenuta nella Casa di Bambola” e “Vita in tempo di guerra”.
Per il secondo, io non lo so se si sono preoccupati eccessivamente del rischio di non essere compresi, ma hanno scelto di ribadire la felicità.

Per una volta sono d’accordo, e canto:

I tried to forgive, I tried to forget
Tried to not to relive what makes me upset
We all make mistakes so why not admit them?
I made a mistake, it’s just like me now

Life during wartime
Life during wartime
Time to reflect
Time to think
Life during wartime

I try to forget, try not to forget
The things you don’t get you always regret
When times are so rough and people are dying
I say that’s enough, there’s no use in lying

Life during wartime
Life during wartime
Time to improve
Time to do good
Life during wartime

I thought I could change the way that you think
Instead it’s so strange, I’ve turned you to drink
Oh why did I, why did I roam around on my own?
I should’ve stayed home, should’ve stayed home
And thrown out your iPhone, thrown out your iPhone

I thought I forgave, I thought I forgot
I tried to be brave but found I could not
I made a mistake and now it’s all too late
My heart’s full of ache, is this what is called fate?

Life during wartime
Life during wartime
Time to repeat
Time to be strong
Life during wartime

You cannot forget what can’t be forget
The life that you live, is that all that you’ve got?
Life during wartime
Life during wartime
Life during wartime
Time to repeat
Time to be strong
Life during wartime
You cannot forget what can’t be forgot
The life that you live, is that all that you’ve got?
Life during wartime

Super Utero Cercasi…

11 agosto 2011 da Mauro

…per dare vita a Super Bambino MASCHIO che il 18 novembre abbia già compiuto almeno quattro anni.

DEVO avere un figlio da portare qui.

Astenersi normouterine, mitomani e/o perditempo.

La domanda.

La premiata ditta Rossi Edrighi / Marini

la risposta.

E nelle immagini, oltre alla manifesta felicità di lavorare sotto il cocente sole d’agosto,  è rivelato, tra le righe, anche l’argomento dell’albo.

Buon bagno a tutti, stiamo lavorando per voi.

Trova le differenze.

8 agosto 2011 da Mauro

Estate significa anche

E allora giochiamo!

Tra queste due immagini, scattate rispettivamente nell’estate del 2009

e l’8 agosto 2011

ci sono sette piccole differenze.

Io, affacciandomi dalla finestra della mia casa in abruzzo, ne ho trovata soltanto una.

M’è bastata.

(per le altre, al massimo, andrò a sbirciare a pag.46)

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E venne il giorno…

5 agosto 2011 da Mauro

… in cui il fomento dimostrò inequivocabilmente al politicamente corretto di avere i giorni contati.

Sappiate, Elena, Rrò, Federì, ValèGiò, Lorè, AnnalìRiccà, Flavià, , Già, che finché non faremo anche noi una cosa simile, non mi darò pace!!!

Secondo me l’avrebbe fatto così.
Peccato.

1) …ricevere una mail da una ragazza russa che ti chiede (chiamandoti Kyle) di darle il tuo numero di conto perché da sola non riesce a mantenere il figlio che ha avuto da te prima che tu scappassi e le servono soldi immediatamente…

2) …guardare una pallosissima raccolta video di finti suicidi in webcam e scoprire quante persone, ancora oggi, chiamano immediatamente i carabinieri sperando di segnalare in tempo il fatto e salvare la vita alla biondina nella vasca da bagno, o al tizio appeso…

3) affrontare le insistenti avances omosex di un tizio su facebook che, in un inglese improbabile, si spaccia per Asiatico Disponibile A Lasciare Il Laos Solo Per Venire A Massaggiarti E A Fare l’Amore con Te…

non erano eventi così tanto improbabili?

Quando, tutto ciò, ha iniziato a sembrarci, se non normale, meravigliosamente plausibile?

Che ci volete fare, sarà il caldo, sarà l’ozono, sarà una stagione cinematografica finora abbastanza deludente, fatto sta che è un’estate florida di Meraviglie della Natura.
Per cui, dopo Renato, di un paio di post fa, godetevi la storiella di questo nuovo fenomeno, ambientata nella allegra terra di mezzo dei castelli romani.
Prego.

——

Dina è una signorotta di 83 anni.
Zitella per scelta, zoppetta per vocazione, si ostina a non accettare passaggi in macchina dai parenti e, forte della sua cocciuta idea di indipendenza, se ne va scarpinando per le vie della cittadina.
Tutta da sola, parlottando tra sé e sé, dalla posta all’ospedale, dal Manzanarre al Reno, dal supermercato al cimitero, Dina non ha bisogno di nessuno.
E se la chiami per offrirle aiuto (a lei o alla sorella 84enne con cui condivide la casa) ti risponde che ha già tutto e anzi, ti chiede se ti serve qualcosa, che ci pensa lei.

E’ sabato mattina e Dina è sveglia già da un po’.
Mentre si lava ripassa in mente la spesa da fare. Sa che i nipoti verranno a pranzo il giorno dopo e la sorella ha deciso di preparare il timballo di patate, per cui meglio passare a prenderle da quello per il corso, ché l’altro ce l’ha molle.
E, visto che è di strada, può approfittarne per passare in posta, così da tenersi libera la mattina di lunedì per le pulizie.

Alle 12 in punto Dina esce soddisfatta dalla posta.
Ci vorrà una bella camminata per tornare a casa ma ha già fatto la spesa e deve solo passare al supermercato a ritirare le buste (Sabrina, la ragazza con quel brutto piercing sulla lingua, gliele tiene custodite dietro la cassa).

Ed è in quel preciso momento che l’avvocato Molinari ferma la sua Mercedes Classe CL Coupè a quaranta centimetri dalla tranquilla mattinata di Dina.

Signora Dina, buongiorno! Dove se ne va, tutta impettita!” Esordisce.

Buongiorno, sono stata alla posta! Ma, mi scusi tanto, eh! L’età è una bestia brutta e io non la riconosco proprio!” risponde Dina con quella faccia che fa quando vuole capire, con gli occhi stretti e la testa che dondola a piccoli scatti, da cane curioso.

“Ma come non mi riconosce!? Sono Molinari, l’avvocato di Mariella!

Uuuhh!” dice Dina, fingendo improvvisamente di aver messo a fuoco, nell’ansia di far fare brutta figura alla nipote, non riconoscendo una persona tanto importante.

“Si ricorda? Ci aveva presentati Mariella davanti al supermercato, quello lì davanti alla chiesa!”

“Davanti alla Santissima Trinità!”

“Brava!”

Dina maledice dentro di sé quella testa che le fa ricordare perfettamente che la sua nipotina piccola, la figlia di Mariella, adora le ciliegie nere e grosse ma che poi le fa dimenticare troppe altre cose, come di aver già incontrato questo avvocato simpatico e ben vestito.

“…che poi, proprio adesso vengo da casa di Mariella!”

“Ah, si? E come mai?”

“Eh! Per una volta sono buone notizie! Mariella ha chiuso la polizza per la vita e sono venuto a consegnarle un assegno con il rendiconto di quanto maturato! (poi, abbassando la voce e chinandosi verso Dina) Sono ventiduemila euro!

Accidenti!” Risponde Dina, tutta contenta per la nipote, che magari, con quei soldi, può mettere qualcosa da parte.

Già! Peccato che a casa non ho trovato nessuno, né lei, né il marito, né i figli!”

Bhè”, si rende utile Dina, “Mariella sta sicuramente a lavoro, provato a chiamarla sul telefonino?

“Ancora no, anzi, chiamiamola insieme! Ma salga, le dò un passaggio verso casa che tanto salgo per andare a Frascati. Ho un appuntamento lì, dopo!”

E Dina, che per non disturbare non sale in macchina di Mariella se le dice che la accompagna, che i piatti li lava quando tutti sono andati via così non corre il rischio che qualcuno si metta in testa di aiutarla, che si fida poco persino del tg3, accetta il passaggio da Molinari. Che è scortese rifiutare, e proprio non gli va che Mariella faccia brutta figura a causa sua. E poi quest’uomo s’è preso la briga di portare tutti questi soldi a Mariella e la sta chiamando proprio adesso.

Mariella ciao, ti disturbo? Ah, sei al lavoro! Pensa che sto in macchina con tua zia Dina, che ho incontrato davanti alla posta poco fa!” sguardo verso Dina che accenna un sorriso immaginando quello che la nipote stia dicendo al telefono.
“Ti cercavo perché sono arrivati i soldi della chiusura polizza. Si, si… indovina? Non proprio…un po’ di più… un po’ di più… VENTIDUEMILA! Ahhahah si, si! E senti, io passerei anche ora a portarti l’assegno, che sto chiudendo i giri e poi parto per le ferie… si, sto via fino a settembre. Eh. E che vogliamo fare?”
Poi, guardando Dina con l’espressione perplessa: “Mmm dici di lasciarlo a tua zia l’assegno?
Dina assume una rassicurante espressione da “Certo, che problema c’è?”.
Eh, ma ci stanno le spese di chiusura polizza, lo sai. Va bene, ma come… senti, scusa, parlaci tu, dai, te la passo!”

E a quel punto a Dina viene passato il cellulare.

La linea è un po’ disturbata e lei con quei cosi ci sa fare poco, ma sente chiaramente la nipote che è contenta e le sta chiedendo una cortesia.

“Zia, ciao! Hai sentito che bella notizia? Ventiduemila euro! Madonna, ci volevano proprio in questo periodo, dopo quella rogna della macchina!”

Eh! Hai visto? Dio vede e provvede!” Dice Dina che ha fatto dei proverbi il 90% del suo abituale modello di dialogo (riporto, solo a scopo meramente divulgativo, la sua hit più famosa: “Chi troppi pali zompa, uno je rimane ‘nfilato!”) “Allora me lo faccio lasciare io l’assegno e passi a prendertelo stasera?”

“Non lo so zia, c’è il problema delle spese di chiusura conto che si devono pagare subito, quindi magari…”

“E quanto ti serve, piccolè?” Chiede Dina, a cui Dio – che vede e provvede – ha mandato questa splendida opportunità per aiutare la nipote.

No, sono troppi soldi, zi’!” Dice Mariella. “Duemila euro”. Precisa mentre l’indice e il medio dell’avvocato Molinari confermano un due.

Non te sta a preoccupà che ce penso io!” Risponde subito Dina, che quando non vuole sentire ragioni, dimentica di trovarsi davanti ad un avvocato e torna a macchiarsi col dialetto che aveva perfettamente tenuto a bada fino a quel momento.

A quel punto, la vecchia, si sbriga a chiudere la telefonata e a scendere dall’auto per andare a prendere i soldi ed incassare l’assegno. E qui Molinari sbaglia.

Sbaglia dopo aver azzeccato ogni mossa e dopo aver usato con precisione tutti gli strumenti adatti per abbassare il livello di guardia di quella scorbutica di Dina.
Le dice: “Ah, Mariella m’aveva detto che con parte di quei soldi voleva farci un regalo alla mamma, quindi, se sta in casa, non le dica niente.”

A Dina questa frase puzza perché a casa non è abituata a tenere segrete le questioni di soldi, neanche per i regali.
Per cui fa cenno di si con la testa e dice a Molinari di aspettarlo che sarebbe subito ridiscesa con i duemila euro.

Arrivata a casa, la prima cosa che Dina fa è chiamare Mariella, che però non risponde. E’ al lavoro.
La cerca anche sull’altro cellulare. Niente.
Che fare?
Ne parla con la sorella e inizia a raccontarle tutta la storia quando ecco, Mariella richiama.
Dina le chiede se conosce quel Molinari lì e Mariella le risponde che non ha idea di chi sia. Le dice che sicuramente, approfittando della linea disturbata l’ha fatta parlare con una sua complice e le consiglia di chiudersi a chiave in casa. Poi si precipita a chiamare carabinieri e marito. In quest’ordine.

Passati pochi minuti, i carabinieri richiamano: erano in zona e sono arrivati subito all’indirizzo segnalato.
Purtroppo il tipo non l’hanno preso, perché pochi secondi prima di loro è arrivata una volante della polizia per altri motivi e deve averlo messo involontariamente in fuga.
Ma uno dei due carabinieri, con occhio carabiniero, ha notato qualche movimento e ha segnato una targa sospetta su cui indagheranno.

Qualche ora dopo, Mariella e Dina ricevono la visita dei carabinieri che nel frattempo hanno scoperto che la targa dell’auto del fantomatico Molinari appartiene ad una mercedes rubata qualche settimana prima ad un russo.
Gli rivelano che è il primo caso negli ultimi mesi in cui la truffa viene sventata e che le vittime recenti, fregate sempre con lo stesso metodo, sono almeno una decina.
Gli rivelano che spesso Molinari e i suoi complici accompagnano le Dine direttamente ad un bancomat se non hanno soldi contanti in casa.

E gli rivelano l’aspetto più inquietante di tutta questa storia: come fanno i Molinari a sapere tutte queste cose sul conto delle loro vittime. Come si informano.
Come sanno che Dina ha una sorella che si chiama Anna e una nipote che si chiama Mariella, sposata, con dei figli e con quegli orari di lavoro. Come conoscono i posti che frequentano. Come sanno i nomi dei nipoti più piccoli.

Il supermercato è la risposta.

Il supermercato come crocevia e spaccio d’informazioni per le abitudini di vedove e disabili.
Perché il supermercato è il posto in cui le vecchie entrano quotidianamente, incontrano le loro amiche e raccontano quello che succede in casa.
Perché una vecchia, nel suo supermercato abituale, racconta tutto quello che a un orecchio attento può servire per fregarla, fingendosi un amico di famiglia.

E i Molinari è lì che si annidano, tra gli scaffali ordinati delle grandi marche e quelli più accessibili dei discount, attenti ad ogni particolare che potrebbe essergli utile.
E allora io sogno un finale di vecchietti usciti dalla Fata Carabina di Pennac. Vecchietti che sotto i loro cappotti nascondano P38 che vi trasformino tutti in fiori, cari Molinari, perché mia zia Dina alla fine ha sempre ragione e, a chi troppi pali zompa, uno je rimane ‘infilato.

E il vostro sarà bello grosso. Non fosse altro per lo spavento che le avete fatto prendere.

Nel segno del padre.

1 agosto 2011 da Mauro

Sulla scia dei festeggiamenti per i 50 anni di Zagor,

ho deciso di riprendere in mano tutta la mia collezione e rileggerli dal numero 1.
Chi mi conosce bene sa quanti ricordi possa scatenare in me una cosa del genere, perché Zagor fu il primo fumetto che comprai, coscientemente e attivamente, dopo aver visto la pubblicità della novella TuttoZagor, sulla quarta di copertina di un Tex di mio padre.
La pubblicità del numero 2, per essere precisi: “Terrore”.

Era il luglio del 1986, dovevo ancora compiere 7 anni ma avevo appena trovato il modo di appagare il bisogno di condividere una passione con mio padre senza essere costretto a leggere Tex (che all’epoca trovavo terribilmente noioso).
Zagor sembrava nato per quell’esatto motivo.
Assolutamente perfetto.
Non una roba da bambini come Topolino, no, no signori miei! Qui abbiamo tanto di divisa rossa e gialla con simbolo di aquila stilizzata, nome esotico e titolo minaccioso, cosa desiderare di più?
Già dalla copertina era chiaro che mi trovavo davanti a qualcosa di molto più emozionante di un furto di bestiame in un ranch dell’Arizona.

Per non parlare dell’anteprima del numero successivo:

Fu amore a prima vista e a partire da quell’albo lì, io e mio padre saremmo andati ogni mese in edicola insieme e ne saremmo usciti, soddisfatti, ognuno col suo fumetto preferito.
Nei prossimi giorni approfondirò il discorso, dimostrandovi che se è vero che è grazie a Zagor che oggi scrivo fumetti, inizialmente la mia carriera sembrava più dirottata verso un futuro leggermente diverso.

Per il momento però, l’evento importante da fermare nella memoria per i posteri, è che questa domenica ho letto Zagor nel mio letto, appena svegliato.

L’ho letto spaparanzato sul divano dopo aver bevuto il caffè (si, l’ho letto anche, subito dopo, sulla tazza, ma quella foto ve la risparmio!).

L’ho letto sul terrazzo, col sole sulle pagine.

L’ho letto sul lettone di mia nonna, col venticello fresco dalla finestra mentre lei era seduta vicina a me.
L’ho letto nei momenti tra una cosa e l’altra

E leggere Zagor di domenica è ciò che più riesco ad associare al concetto di serenità.

Riprendendo in mano questi albi mi ha colpito il carattere di Cico, menefreghista, ladro, bugiardo e spesso risolutivo!

Mi ha colpito l’odore della carta, che ad ogni giro di pagina è stata una cosa tipo:

E mi ha colpito constatare, con un occhio più attento rispetto alla prima volta che ho letto queste storie, il modo in cui la leggenda è nata.
Sergio Bonelli racconta spesso che alle origini di Zagor c’era la voglia di impiegare a lungo termine il talento di Gallieno Ferri, per non farselo sfuggire oltralpe (terra dove aveva già mietuto i suoi primi successi), ma nella gestione della casa editrice c’era poco tempo per dedicarsi a tempo pieno al nuovo personaggio.
Per questo dopo le primissime storie, lo scettro delle sceneggiatore passò da Guido Nolitta (pseudonimo di Sergio Bonelli), direttamente allo stesso Ferri per poi arrivare nelle mani, più salde, di papà Gianluigi.

E il suo arrivo ha la potenza di un bulldozer e la riconoscibilità stilistica di un veterano.
Voglio dire, c’era bisogno di riportare il nome dell’autore per indovinare chi poteva avere scritto questo dialogo?

Al momento sono nel bel mezzo del ciclo narrativo di Bonelli Senior e, pur godendomelo da matti (è qui che riesce a sbandierare palesemente il suo amore verso Dumas!), non vedo l’ora di ritrovarmi davanti alle storie in cui Nolitta riprenderà in mano il personaggio con la ferrea volontà di allontanarsi dal segno del padre,  alla ricerca di una voce personale che ribadisca tanto una distanza dalle sue radici quanto un’appartenenza.
Quella che ogni figlio dovrebbe cercare e fare propria.

Sono in un taxi e apro il portatile per segnarmi un appuntamento su iCal, sapendo perfettamente che non aprirò iCal per i prossimi quattro mesi.
Perché non me lo segno sul cellulare?
Non lo so, ma meglio così, perché se l’avessi fatto non mi si sarebbe palesata la nuova Meraviglia della Natura.
Signore e signori: Renato, Tassista disincantato.

Per comprendere l’entità e il peso di questo personaggio basta perdersi nelle note dell’incipit con cui rompe il ghiaccio:

“Visto che stai co’ quer computer, me permetto ‘na domanda. Ma tu, che ne pensi de tutto ‘sto internet?

Lacrimo di gioia.

“Mah, credo che internet sia una mezzo per facilitarti la vita nel trovare cose, in cui incontrare persone. Può sembrare la replica di una piazza e, proprio come in tutte le piazze, ci puoi trovare cose meravigliose e cose orrende.”

Mi segue e aggiunge: “Si, si. Io devo dì la verità, frequento da poco. Giusto facebook che me guardo pure sul telefonino anche se mi’ moglie se ‘ncazza perché dice che sto sempre a cercà femmine.”

“Eh!” ribatto.

“Che poi è vero è, c’ha ragione lei! Ma mica sò stronzo io… che me prendo ‘na moglie cojona? A me ‘a femmina me piace sveglia.”

Mi incalza.

“Per esempio, ho scoperto un programma pe’ conosce quarcuna, se chiama Meeting, solo che sò fiji de ‘na mignotta, perché le femmine non pagano e i maschi si. E allora io ce sto pure a fa n’iscrizione, a datte 170 euro l’anno, ma poi me devi fa conclude. Sennò faccio prima a prendeme ‘na scajia su ‘a salaria. Dico bene?”

“Puro vangelo.” Rispondo con distaccata partecipazione.

“E ce ne sta pure n’altro che se chiama Badò. C’ho pizzicato una con ‘na foto soltanto e ‘na cartella co’ scritto sopra icsicsics. Ie faccio: che posso vedè pure le foto che stanno là? E quella me risponde: guarda, guarda pure. Ao, non ce crederai, c’erano tutte foto de questa nuda.

“No!”

“Si, si. Solo che io ho chiuso subito perché pensavo ce fosse ‘n virus. Mentre l’ amici miei, che so’ più scafati, dicono che era ‘n trans.”

“Mmmm, secondo me era semplicemente un uomo che si spacciava per donna.”

“Ma non lo so, ‘ste pischelle de oggi ‘ste cose le fanno. Magari all’età mia no e manco alla tua, ma pe’ quelle de oggi è normale. Oppure forse, davvero davvero c’hai ragione tu e alla fine internet è proprio come il mondo vero. Ce poi trovà  ‘e brave persone ma ce poi trovà pure i froci.”

Non so se prendermela per essere stato travisato fin dall’inizio o per quella questione dell’età, ma il nostro tempo è scaduto, sono arrivato.

“20 euro” dice.

“Ma il tassametro segna 17”.

“Tre sò pe’ a compagnia!”

“Ma co’ tre euro non faccio prima a prendeme una scajia su ‘a salaria?” Gli chiedo.

Lui ride e mi saluta dandomi la mano. Poi se ne va.

I tre euro mica l’ho rivisti.

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P.S.

Se volete conoscere le tre precedenti Meraviglie della Natura, cliccate qui sotto:

#1 – Maura la concreta

#2 – Tom Barolo, l’autore.

#3 – Andrea astuto pedinatore

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