Elogio dell’incompletezza: intervista a Makiko Sugawa.
Nel 2010 la mai troppo lodata galleria Mondo Bizzarro mette in mostra per la prima volta i lavori di Makiko Sugawa.
Stiamo parlando di roba del genere.
Io che ero lì per caso e per fiducia rimango folgorato e quello che vedo mi piace talmente tanto da lasciare sul tavolo un paio di reni e portarmi a casa due opere della giappa.
Questa:
L’immaginario di Makiko Sugawa, fatto di donne sensuali, ironiche e spezzate ma mai realmente fragili, si accomodò tra le mie viscere guadagnandosi un posto di tutto rispetto all’interno del mio intestino crasso.
Da quel giorno, oltre a documentarmi su ogni suo movimento e ad aggiornarmi sulle sue creazioni più recenti, iniziai a frantumare i maroni a Dario Morgante pregandolo di invitare l’autrice in Italia per permettermi di conoscerla/parlarle/saperla.
Dario mi ha sempre risposto con un laconico ed ottimistico “Più in là.”
“Più in là.”
“Più in là.”
Ed io, che a Dario gli credo, ho sempre saputo che questo più in là sarebbe alla fine arrivato.
Quello che non sapevo era che avrebbe conciso col giorno della mia partenza per Barcellona.
Esattamente.
Dopo aver scritto ogni tipo di bestemmia possibile su google translate per attenermi alla lingua del posto in cui mi trovavo, tentai il tutto per tutto: chiamai Dario dalla lontana terra d’Espania chiedendogli se la Sugawa avrebbe protratto la sua permanenza a Roma fino a Domenica, perché in tal caso, avrei fatto in tempo a tornare e ad intervistarla.
Alla sua risposta affermativa capii che google translate aveva svolto perfettamente il suo lavoro.
Così dopo una notte intera passata a passeggiare per Barcellona in attesa dell’aereo delle 5.40, eccoci a roma alle 8 di mattina.
Eccoci a casa alle 9.30.
Al telefono con Yoko per trovare una traduttrice dal giapponese alle 10.
A dormire, alle 11.
Sveglia alle 16 e, freschi come le rose, eccoci tutti alla Galleria Mondo Bizzarro alle 18 per incontrare Makiko Sugawa.
“Melting” La splendida mostra, curata da Luisa Montalto, fotografa perfettamente l’attuale stato dell’arte dell’autrice giapponese.
Guardare per credere.
ma chi mi lascia senza fiato, stavolta, è proprio lei:
Makiko.
Mille volte avevo riflettuto sui significati delle sue figure ma mai, mai, mai mi aveva sfiorato il pensiero più semplice e lineare.
Non avevo capito che le sue donne amputate erano mille rappresentazioni di sé stessa.
Sollevandosi con attenzione, Makiko ci si avvicina ci ringrazia per essere lì, scusandosi per quelli che, per il momento, chiama semplicemente “problemi alla gamba”.
Io le dico (o meglio, le faccio dire da Yoko e Silvia, le nostre due intrepide interpreti) di non preoccuparsi, la ringrazio di essere lì, mi dico onorato di conoscerla e le chiedo se se la sente di rispondere a qualche domanda.
Ne è venuta fuori un’intervista intima, una ricerca personale, una confessione, e una passeggiata tra quello che è e ciò che vorrebbe essere.
Nè è nato un elogio dell’incompletezza e della necessità di accettarsi per quel che si é.
Mai passivamente.
Buona lettura.
Io: Benvenuta in Italia, Makiko.
Lei: E’ la terza volta che vengo a roma, è una città che mi piace tantissimo, e sono molto felice perché per la prima volta ho l’onore di avere questa esibizione. Grazie per essere venuti a visitarla.
La prima volta che ho visto i tuoi lavori sono rimasto scioccato da quanta potenza riuscivi ad emanare pur utilizzando un tratto così sottile, leggero e mai nervoso. Uno scontro gentile, una guerra non violenta. Da dove viene il tuo segno?
Da una parte cerco di illustrare quello che mi piace, e in particolare di dare un senso a un certo feticismo che ho verso alcuni oggetti e ad alcune ossessioni.
Qualche anno fa ho dovuto amputare la gamba sinistra.
Sono stata costretta ad eseguire due operazioni: la prima volta fino alla coscia, la seconda volta fino all’anca.
C’è stato un periodo, soprattutto all’inizio, in cui non riuscivo ad accettare di non avere più una parte del mio corpo.
Capivo che si trattava di una cura e che l’alternativa fosse tra vivere o morire, ma è stato veramente difficile accettare questa nuova condizione. E quindi ho iniziato a vedermi come le bambole.
Io amo molto le bambole, soprattutto quelle che hanno parti del corpo intercambiabili a cui puoi staccare le gambe, o le braccia.
Ho cominciato a guardare al mio corpo come a quello di una bambola, e non era una cosa negativa: l’oggetto che tanto mi piaceva, a questo punto, ero diventata io.
In questo modo ho provato a reagire e quindi, proprio per accettarmi, ho iniziato da subito dopo l’operazione – ero ancora nel mio letto – a disegnare queste ragazze belle a cui però, mancava sempre qualcosa, un arto solitamente.
Era un modo per accettare me.
Volevo utilizzare questi disegni per mandare un messaggio. Io ho dovuto subire l’amputazione a 31 anni ma cose del genere possano accadere anche a persone molto più giovani di quanto lo fossi io in quel momento, e in periodi molto più delicati della propria esistenza, come nell’adolescenza, e quindi rischiassero di percepire in modo molto più duro questi mutamenti costretti del proprio corpo, della propria bellezza. Quindi, con questi disegni, in un certo senso volevo rassicurare me e gli altri, dicendogli e dicendomi: Guardate che belle ragazze, anche se gli manca qualcosa.
E’ vero, sono molto belle. Anche nell’incompletezza di queste donne/bambole in realtà c’è un’unità completa. Alla fine sembra quasi che sia proprio nella mancanza che hanno trovato la loro completezza.
Mi rende felicissima che questo messaggio arrivi.
Non solo. Le tue donne sono apparentemente fragilissime, alcune addirittura già spezzate, eppure emanano sicurezza, serenità, ironia e sensualità.
Queste cinque caratteristiche creano un’immagine della donna classica e moderna allo stesso tempo. Chi sono le donne di Makiko Sugawa?
Io illustro le donne che vorrei essere. Quindi tutte le caratteristiche che hai elencato, sono quelle che anche io riconosco nelle donne e che mi piacerebbe riuscire ad esprimere, per questo le sottolineo nelle mie illustrazioni. Anche quest’unione tra il classico e il moderno mi sta molto a cuore perché so di proporre in larga parte degli stereotipi ma non voglio fermarmi lì. So di proporre qualcosa di antico ma spero di mostrarlo sempre in evoluzione.
Quindi è per questo che gli uomini sono praticamente assenti nei tuoi lavori se non per figure maschili spesso riconducibili ad animali di compagnia? Chi sono gli uomini di Makiko?
C’è qualcosa che non mi permette di disegnare gli uomini, o degli esseri maschili, perché probabilmente non mi ci riconosco. Io voglio ripetere e riproporre la mia realtà attraverso i disegni e solo rappresentando delle ragazze riesco a trasmettere qualcosa di me. L’uomo lo vedo, e lo sento, ancora troppo distante per riuscire a racchiuderlo in un disegno. Ma ammiro molto gli uomini che riescono a riconoscersi nei miei lavori.
La parte mancante è un’elemento ricorrente del tuo mondo. Mi affascina l’incompletezza. Le tue donne sono sempre prive di qualcosa ma hanno colmato quel vuoto mostrandolo e rendendolo parte della loro femminilità. SI può vivere incompleti o si deve sempre ricercare la completezza?
Ti ringrazio per questa domanda, mi sembra molto bella, anche se non ho mai pensato veramente che l’incompletezza vada completata. Il fatto che io avverta il mio stesso corpo come mancante di qualcosa è in realtà una fonte di ispirazione continua perché è proprio perché mi manca una parte che io so cosa sia la mancanza e riesco quindi a esprimerla. Gli esseri umani sono animali e quindi imperfetti, ma è proprio quell’imperfezione a renderli esseri umani.
Guardando le tue opere sembra che la sensualità non sia solo figlia della carne ma anche della meccanica. Che sia legno o ferro, gabbia o strumento, l’aggiunta meccanica rende unica ognuna delle tue protagoniste. La sensualità è nell’unicità?
Credo che la bellezza derivi dal contrasto, quindi non solo da quello che ci dà la natura, ossia il corpo, ma anche dalle cose artificiali.
E’ nel contrasto che risalta la bellezza dei diversi elementi, per questo da un corpo naturale possiamo veder spuntare un arto di ferro, magari abbellito da un bel vestito da un velo. Ed è proprio da questo contrasto che viene la bellezza.
Da anni curi le copertine del trimestrale Nico. La prima volta che lo comprai ero ad Hong Kong ed ero stato rapito dalla tua copertina senza ancora sapere che fosse opera tua. Che ci dici della tua esperienza come copertinista?
Quando si è trattato di lavorare per la rivista erano tutti lavori già pronti. Mi avevano chiesto di fargli vedere alcune delle mie cose e io avevo portato con me quanto fatto fino a quel momento. A loro piacque e presero tutto, quindi non erano cose nate direttamente per la rivista. Altre, fatte in seguito, invece erano più mirate all’oggetto in sé, così come quelle nate per le copertine dei libri arrivano da ispirazioni ancora diverse.
Il tuo è un mondo di banchi e neri netti, illuminati, rarissime volte e soltanto a tratti, dall’arrivo del colore. Che non sembra neanche nascere con l’opera ma aggiunto a lavoro completo. Che rapporto hai coi colori?
Ho iniziato con i lavori in bianco e nero. E ragiono sempre in termini di bianco e nero. Però sul lavoro spesso mi chiedono di aggiungere colore e il fatto che sia solo in pochi e determinati punti è una scelta. Quando coloro tutto un mio disegno mi sembra sempre di appiattirlo e le mie cose colorate infatti sono molto simili a certi cartoni animati. Quando ero più giovane adoravo fare disegni colorati ma quando ragiono in ottica professionale o espressiva ammetto che sto ancora studiando quale potrebbe essere il mio modo di mettere colori. Non è una cosa che escludo dai miei ragionamenti, o che evito a priori, mi trovo soltanto a metà strada del percorso per capire come gestirli al meglio, in futuro.
Makiko, ti ringrazio per la tua disponibilità, sono veramente soddisfatto di questa chiacchierata.
E’ stata una conversazione interessante. Mi hai fatto riflettere e mi hai portata a dare delle risposte a domande che magari io, da sola, non sarei arrivata a pormi.
Ogni incontro è uno scambio, no?
Sì. Io non mi aspettavo che ci fosse quest’intervista oggi, è stata una cosa inaspettata. Ma ne sono contenta perché grazie a questo tipo di confronti capisco come possano venir percepite le mie opere, a volte con una profondità quasi maggiore di quella che ci metto io nel disegnarle.
A questo punto, Martina preme stop sulla videocamera, e il risultato delle sue riprese, mostra un’intervista ancor più integrale di quella che avete appena letto.
Se parlate tranquillamente il giapponese, vi consiglio di ascoltare le risposte di Makiko tramite la sua viva voce e sarà una nuova sorpresa, altrimenti potrete accontentarvi dell’orrida inflessione romana del sottoscritto.
http://www.youtube.com/watch?v=OdWzr0rHE_g
http://www.youtube.com/watch?v=D9so44DqCTc
Conclusa l’intervista, Makiko ha chiesto di essere immortalata insieme a tutte le ragazze della crew che, tra video, foto e traduzioni, si sono date un bel da fare per contribuire alla realizzazione di questo post.
E ha deciso di salutarci impreziosendo le nostre copie del suo nuovo artbook
con dediche e disegni.
Guardarla disegnare è stata l’insperata emozione conclusiva.
http://www.youtube.com/watch?v=ggY3jh0Qckg
E dopo aver salutato e ringraziato la meravigliosa Andrea che, insieme a Dario, ci ha permesso di realizzare quest’intervista, siamo andati via, tutti un po’ più contenti.
Poi ci siamo guardati e abbiamo capito che mancava qualcosa.
Siamo rientrati e l’abbiamo trovato.
Ora non manca più niente.
Proprio perché dalla completezza siamo ancora, e fortunatamente, troppo lontani.