John Carter. Una rece, un sequel e una notte romana.
L’8 Gennaio del 1994 ero un quattordicenne ubriaco della cioccolata trovata nella calza della befana e vivevo ancora a Marino.
Credevo che quella giornata si sarebbe stampata indelebilmente nella mia memoria a causa della montagna di cacca che sarebbe giunta come naturale conseguenza e punizione della calza e invece l’8 gennaio del 1994, io, Mauro Uzzeo nato a Marino, Italia, scoprii che la felicità costava soltanto mille lire.
E no!, non c’entrava nulla la studentessa di Paz.
Proprio no.
Era tutto merito di Gianni Pilo e Sebastiano Fusco che, sotto l’egida della Newton, invasero le edicole con una serie di libri settimanali il cui scopo era quella di presentare al lettore italiano i grandi classici del fantasy e della fantascienza, al ridicolo e meraviglioso prezzo di mille lire a libro.
La prima copertina era già puro fan service.
In un’impostazione grafica che strizzava l’occhio a quella classica dei volumi Urania, erano presenti:
– un uomo forzuto e coraggioso in mutande
– una donna in pericolo e con le tette al vento ma che sembrava non portare neanche le mutande
– un alieno chiaramente rappresentato come un orientale uscito da un wu-xia degli anni ’70, in mutande
– un mostrone dalle sembianze di un gigantesco varano di Komodo pronto a mangiarsi tutti quanti. Ah, senza mutande.
A condire il tutto, il nome dell’autore che era lo stesso dei magnifici libri di Tarzan e un titolo sufficientemente evocativo da togliere qualsiasi dubbio all’ipotesi dell’acquisto.
Fu così che conobbi John Carter della Virginia, “capitano di cavalleria di un esercito che non esisteva più e servitore di uno Stato che era scomparso insieme con le speranze del Sud”.
Per chi avesse sentito questo nome per la prima volta soltanto adesso che è uscito il film in sala, vi basti sapere che praticamente ogni roba fantasy o di fantascienza che avete visto e amato da quando siete nati, ha un debito grande come una casa col personaggio e i mondi inventati da Burroughs.
Se Superman vola, se Jedi e Padwan si chiamano in questo modo e Star Wars è un cappa e spada ambientato su mondi fantastici, se in Avatar il contatto tra tutti gli esseri viventi è telepatico e la parte più interessante del film è quella in cui ci viene mostrato come un terrestre si confronti con le leggi di un mondo del tutto alieno, è tutto, tutto, tutto, merito del ciclo di John Carter di Marte, un libro di 150 pagine pubblicato esattamente 100 anni fa e scritto da Edgar Rice Burroughs sotto lo pseudonimo di Normal Bean.
Per chi, come me, ha letto quel libro da adolescente, il legame che si è creato è come quello con la tipa a cui avete dato il primo bacio e oggi ve la ricordate con i colori sbagliati pur sapendo di amarla.
E così passate tutti i pomeriggi a scrivere il suo nome su Facebook, ma niente da fare, lei non si iscrive e vorreste tanto ricontattarla anche solo per sapere come sta, ma niente, rintracciarla è impossibile.
Allo stesso modo, per anni, tutti i libri del ciclo di Carter di Marte sono stati fuori catalogo, e per i lettori italiani rintracciarli nelle librerie o tra le bancarelle dell’usato, è stato come cercare il Sacro Graal.
Per intenderci, la prima cosa che ho pensato quando mi è stato regalato un iPad è stata: digitale! Qualcuno ne avrà messo un .pdf online!
Niente anche in questo caso.
L’ossessione per recuperare quei racconti e leggere quelli di cui non ero neanche a conoscenza diventò vera e propria scimmia nel momento in cui Andrew Stanton, il sommo regista di Alla ricerca di Nemo e Wall-e, incontrato durante un workshop tenuto dai registi pixar a venezia, mi raccontò che ne stava realizzando la trasposizione su grande schermo.
Non si poteva più rimandare. Dovevo arrivare in sala preparatissimo.
Dovevo conoscere ogni singolo elemento raccontato da Burroughs e per farlo, non mi restava che attendere l’edizione che sicuramente sarebbe tornata in libreria trainata dal lancio del film.
L’unico terrore, a quel punto, era che degli astuti esperti di marketing avrebbero potuto scegliere una foto del belloccio di turno al posto di una delle splendide opere che il genio di Frazetta aveva regalato all’umanità. Che si mandasse quindi in libreria, una roba simile:
ma fortunatamente, alla Newton non sono così pazzi, e finalmente, dopo anni d’attesa e per la gioia dei nostri occhi:
La notizia negativa è ben leggibile in copertina.
Chi si aspettava uno di quei meravigliosi Mammuth con l’opera omnia del ciclo di Marte, deve riporre il vestito buono e accontentarsi soltanto dei primi tre libri (su 10).
La notizia positiva invece è che finalmente, un caposaldo della letteratura mondiale è tornato in modo massiccio in tutte le librerie, per cui, a sperare in una futura raccolta si fa sempre in tempo.
E’ fu così che, autisticamente, rifiutai di vedere il film finché non avessi completato tutta la lettura del bel tomo pubblicato dalla Newton.
Sapevo che in questo modo avrei aumentato il rischio delusione in sala ma niente e nessuno poteva fermarmi, volevo leggere.
La mia convinzione è stata talmente compulsiva che due sere fa, arrivato a un centinaio di pagine dalla conclusione del libro, ritenendo la mia stessa casa un malevolo luogo di futili distrazioni, ho mollato tutto e tutti alla ricerca di una Shangri-La dove nessuno potesse distogliermi dal mio proposito.
Ah, già. Era notte fonda.
Dove si può andare all’una e venti per starsene al caldo e al coperto, in un luogo che fosse lontano da tutti i miei interessi e in cui sentirmi, comunque, a mio agio?
Semplice: il McDonald’s di fianco alla stazione Termini.
L’unico aperto fino alle quattro del mattino.
Lì, armato di chicken mc nuggets, salsa al curry e coca cola, ho scelto l’angolo più nascosto della sala e mi sono lanciato nella lettura.
Dopo un’ora d’immersione la situazione che mi circondava era questa:
– il locale era pieno
– al tavolo alla mia destra era addormentato un uomo di provenienza ignota.
– al tavolo ad ore due erano seduti numero 4 puttani maschi (provenienza europa dell’est) in una pausa dal lavoro che svolgono regolarmente al parchetto alla sinistra di Viale Luigi Einaudi. Posto romanticamente famoso perché era proprio lì che Pasolini, la notte tra l’1 e il 2 novembre del 1975, caricò il giovane Pelosi.
– al tavolo ad ore una erano sedute invece due donne. Una nera, di spalle, che andrà via subito e una bianca, sulla quarantina, che richiese di poter alzare la temperatura della sala, prima di addormentarsi seduta sul posto.
– al tavolo ad ore dodici e trenta trovavano posto altri puttani (serataccia, dalle parti del parchetto)
– al tavolo ad ore dodici, infine, il mio personaggio preferito: la Grassa Napoletana Ritardata e i suoi due amici neri. Di cui, il primo dormirà per tutto il tempo, il secondo tenterà un approccio amoroso in cambio di un paio di scarpe, fallendo miseramente.
Tra i presenti, la situazione era serena e tranquilla, tutti sembravano conoscersi e i passaggi dell’omino della sicurezza venivano sanciti da grandi saluti e tranquillità.
I puttani erano la chiara e riconoscibile anima della festa e iniziarono a manifestare la propria joyeux de vivre giocando a sputare nei capelli della quarantenne addormentata in ore una.
Non sputi al bersaglio, non c’era competizione nella loro esternazione, ma un semplice alzarsi sopra il corpo della donna che probabilmente stava sognando uno shampoo al quale loro provvedevano come gentili fornitori del balsamo.
Uno spettacolo di ordinaria e colorata umanità interrotto solo dalla voce della Grassa Napoletana Ritardata che attira l’attenzione dell’omino della sicurezza.
Sorpreso da questo inaspettato colpo di scena fingo di continuare a leggere e mi pongo sull’attenti, non voglio perdermi neanche una parola della denuncia della donna.
“Ciao, scusa, ti volevo chiedere se c’hai una caramella”
Le parole.
“Sì, tieni.”
La risposta.
Restai in parte deluso perché speravo in un finale da film, in cui quella su cui meno avresti puntato risolve la situazione, ma dall’altra salutai con un moto di soddisfazione quella conferma di aderenza ad un habitat che non avrebbe potuto generare niente di diverso.
Fu quando l’omino della sicurezza si chinò per passarle la caramella che la Grassa Napoletana Ritardata gli sussurrò: “Vedi che quegli stronzi, con la scusa di farsi vedere da tutti che le sputano nei capelli, le stanno in realtà fottendo tutto quello che quella donna c’ha nella borsa e nelle tasche della giacca.”
Oh. Cazzo.
Colpo di scena dei colpi di scena.
Distratto anch’io, come uno stronzo, dallo spettacolo pirotecnico ero completamente all’oscuro di ciò che in realtà stava accadendo, e mentre i puttani svuotavano le tasche e restituivano il mal tolto alla bella addormentata, la sua Grassa e Ritardata Principessa Azzurra, soddisfatta, tornava a parlare di scarpe all’uomo nero innamorato.
A quel punto era chiaro che dovevo andar via di lì, troppa roba era diventata improvvisamente interessante ma io ero un uomo con una missione.
Conclusi così la lettura dello splendido libro (splendido davvero – COMPRATELO A SCATOLA CHIUSA) direttamente nel mio comodo lettone e mi addormentai soddisfatto pensando al film che avrei visto il giorno dopo.
Volevo andare al Trianon, ma per un maledetta storia di paradossi temporali, lì già trasmettevano il sequel diretto da Spike Lee e con la partecipazione straordinaria di Diego Abatantuono.
per cui, visto che dovevamo ancora vedere il primo, abbiamo ripiegato verso il solito multisala vicino alla Rainbow.
E a nulla sono valse le recensioni negative e le allarmanti notizie di flop colossale, io – come dicevo in un post di qualche tempo fa – ci credevo che Stanton avrebbe tirato fuori un film della madonna.
E infatti non ci andai lontano.
Stanton non si limita a fare un film della Madonna ma, per nulla avaro, fa un film dellE madonnE, quelle che ho tirato io una volta capito in che modo stava trattando il meraviglioso materiale che aveva a disposizione.
Com’è John Carter?
Un filmetto.
Un filmetto con una regia anonima, e uno script incredibilmente banale (a dispetto dei clamorosi nomi coinvolti) in cui la caratterizzazione dei personaggi è stata a volte ignorata e a volte flagellata da quelli che sembrano goffi tagli al girato. Illuminato da una non pervenuta e dilaniato da scelte di casting così catastrofiche da trasformare i personaggi in una parata di comparse della Tuscolana e dei Castelli Romani.
La trama del film è riassumibile in:
La raffinata regina di Subaugusta
si innamora del Pegasus di Genzano
e mentre va con lui alla ricerca dell’Issu si innamorano.
Peccato che il di lei padre, reduce dalle riprese di Box Office 3d
l’abbia promessa in sposa ad un uomo che lo minaccia di distruggere la sua città.
Ma chi è l’uomo che si macchia di una simile infamia?
Chi potrebbe essere così spregevole?
Chi è stato a compiere un simile, ignobile, ricatto?
E’ la stessa Principessa di Subaugusta a rivelarcelo nella sequenza più mozzafiato dell’intero film:
Fine.
Vengono annullati tutti gli elementi di interesse presenti nel libro originale nonché le motivazioni per cui i personaggi si legano l’un l’altro.
Io non sono per l’aderenza al 100% col materiale di partenza, ma se il legame tra John e il cane Woola, nel libro nasce a causa della caratteristica di Woola di non poter smettere di seguire l’ordine – impartitogli da Sola – di tener d’occhio il prigioniero, fin quando sarà lo stesso John a salvargli la vita durante un combattimento con le scimmie bianche – nel film inventatevi qualcosa. Magari di diversissimo ma non potete trascurare totalmente i rapporti di causa e effetto. Woola è nella stanza in cui John viene fatto prigioniero e inizia a seguirlo. Bon. Fine. C’è una scena in cui John interviene in suo aiuto ma arriva troppo presto e non è costruita in modo da sancire un rapporto indissolubile tra i due personaggi.
E se questo può sembrare un piccolo e veniale passo falso, che dire di come è stato vanificato il rapporto tra Sola e la sua famiglia? Vero e proprio cardine del libro, sia dal punto di vista narrativo, che concettuale, nel film è un colpetto di scena che arriva in un modo così finto e forzato da perdere qualsiasi forza o spessore.
E così, per tutti i 132 minuti della pellicola prodotta dalla Disney.
L’educazione di John alle abitudini del pianeta è ridicola e superficiale, gli spiegoni assolutamente incomprensibili (qualcuno mi riassume cosa – realmente – si dicono John e Deja nella stanza in cui poggiano in un punto a caso l’amuleto e tutto si colora di blu?) le battaglie sono dirette e interpretate come se Stanton non avesse visto alcun film di menare negli ultimi vent’anni, i costumi fanno sembrare sobri ed eleganti quelli voluti da Gianluigi Cozzi per il suo Scontri Stellari oltre la terza dimensione
e le informazioni vengono passate allo spettatore
soltanto per poi confutarle il minuto dopo
Vi chiederete, quindi, c’è qualcosa che si salva in questo film?
Certo.
Come vi dicevo, il libro è tornato in libreria.
Grazie, stupidissimo ma non inutile film!
Te ne sarò eternamente grato.
P.S
Ora, visto che il sequel: “John Carter, ti stimo fratello!” è stato distribuito soltanto in un cinema, come li convinciamo quelli della Newton a pubblicare anche i romanzi mancanti?
Mauro… Ti stimo fratello. Sono uscita dalla sala ieri sera, con qualcosa che non mi quadrava, col fastidio solito che mi assale quando per motivi di tempo, vedo un film senza aver letto il libro (per fortuna, cosa rara, che io sono una ragazzetta fastidiosa per ste cose). Avevo l’impressione che mi mancasse un certo non so che… che quei personaggi che dovevano essere l’Adamo e Eva di tante e tante cose che m’avevano fatto innamorare, invece, erano non si sa perché qualcosa di manchevole… ecco, è la pagina che m’è mancata forse.
Grazie, ti stimo fratello.
E.
Non avendo letto nulla dei libri originali e avendo avuto come unica fonte di informazioni sul film le recensioni entusiastiche e i preziosi consigli del Rrobe, io il film me lo sono abbastanza goduto. Abbastanza, però, (mi si perdoni il gioco di parole) non è abbastanza, purtroppo.
Documentatomi meglio (anche grazie a te), deduco che forse è la componente Disney (=per famiglie) che potrebbe aver tarpato le ali ad alcune decisioni più coraggiose che, se fossero state prese, avrebbero aggiunto valore alla pellicola. Penso per esempio alla nudità e alla violenza (il sangue blu della scimmia bianca penso sia stato dettato dallo stesso motivo del sangue verde di Mortal Kombat, ai tempi, e cioè dal voler evitare movie rating troppo severi).
Detto questo, c’è almeno una scena del film che merita di essere ricordata: il parallelo tra il combattimento e la sepoltura mi ha molto commosso.
Il resto però effettivamente è gradevole, ma nulla più.
Lo sapevo che non dovevo dare retta al Rrobe!
E che posso dire? Io il libro ancora non l’ho letto e il film mi ha infantilmente e genuinamente entusiasmato … so’ regazzina, che devo fa’. 🙂
@Elena
Ti stimo, sorella!
@P!o
Sai che quel parallelo neanche me lo ricordo! Mi rinfreschi?
@Andrea
Guardalo guardalo! E poi mi dici
@Solina
Sò addominali solì, sò addominali! 😀
Ti rinfresco: la scena in questione è quando JC combatte contro la tribù di Tharks, (per consentire a Dejah Thoris e Sola di scappare) e il montaggio alterna le mazzate che JC cala sui Tharks ai colpi di vanga che – nel flashback – JC usa per seppellire moglie e figlio, dopo il ritrovamento dei corpi.
E’ un momento davvero molto commovente (forse l’unico momento commovente di tutto il film).
Ciao Mauro,
ieri ho preso il libro sulla scia del tuo post. L’ho cominciato ieri sera e mi sembra molto interessante (ancora sto all’inizio però).
Andrò a vedere il film sulla scia del post di Rrobe e poi vediamo…nel frattempo grazie per le indicazioni per un nuovo libro, fanno sempre piacere!
Mauro,
come te aspettavo questo film da quando l’industria del cinema ha iniziato a creare film dai più grandi libri mai scritti, cioè da sempre.
Ho amato il John Carter di Burroughs, e lo amo tutt’ora, e non a caso ho letto più di una volta i libri del ciclo.
Non sono uno sprovveduto: sapevo che il film mi avrebbe fatto storcere il naso in qualche modo, ed ero preparato… ma quando mi son seduto nella poltrona del cinema, e lo schermo si è fatto tutto rosso, la speranza che quel fantastico mondo che conosciamo, chiamato Barsoom (o Barsùm, vista la pronuncia presentata nel film) venisse rappresentato alla perfezione mi ha sopraffatto, eh ho dimenticato ogni precauzione, immergendomi nel film.
E subito, a freddo, la prima delusione, dall’avvio della vicenda, e man mano che il film proseguiva, scoprivo cose che non avevano motivo di esistere (John Carter aveva moglie e figlia? era alla ricerca di oro? era un disertore?)… per un attimo ho anche dubitato di conoscere davvero la saga… fortuna che i miei dubbi erano condivisi da mio fratello, seduto accanto a me nella sala, e da altri spettatori che mugugnavano a bassa voce…
Eppure, a fine proiezione sarei voluto rimanere li ad aspettare il seguito, un’altro film, per tornare con John Carter sul pianeta rosso…
Insomma, il film ha delle pesanti e sostanziali differenze dal libro, ma è stata una sensazione incredibile vedere sul grande schermo un Barsoom così ben dettagliato, le creature ed i personaggi della nostra fantasia prendere vita davanti ai nostri occhi… poi però ripenso a Woola, a quell’orrendo mostro dal cuore d’oro che è raccontato nelle opere di Burroughs, ed al tenero cucciolone rappresentato nel film Disney… e la delusione torna a farsi sentire.
Ok, ho scritto troppo, ora la faccio breve:
Chiunque non conoscesse le opere di Burroughs apprezzerà questa pellicola come un bel film, ma che sa troppo di gia visto (non sapendo che, come dici tu Mauro, gli ultimi 100 anni di fantascienza devono tutto al Barsoom di John Carter);
Invece, chiunque abbia letto il libro non potrà fare a meno di percepire che qualcosa non è andato per il verso giusto, che si poteva e si DOVEVA fare di meglio.
A questi ultimi sento di dover offrire un consiglio di tutto cuore: leggetevi il libro, tornate a combattere su Barsoom con John Carter, Woola e Tars Tarkas, e riuscirete a levarvi dalla bocca quel gusto amaro provato all’uscita del cinema.