Madeleine.
Tenere il condizionatore acceso soltanto in camera da letto significa che nel resto della casa si gela.
E visto che ho appreso la mia Importante Lezione del Giorno (I.L.G.) già alle 10.13 del mattino, potrei anche tornarmene serenamente a dormire. Ma non posso.
Ho un’insana voglia di Cocopops.
Mi era già successa questa cosa, la prima volta che entrai in un supermercato di Latina.
La scatola marrone e la rassicurante faccia della scimmia erano lì che mi seducevano con promesse di libertà e avvolgenti e proustiane madeleine.
Sì, perché io vengo da una di quelle spregevoli famiglie che impedivano al fanciullo di crescere serenamente con le merendine pubblicizzate in tivvù.
A casa mia, Mister Day & Jack la Motta non potevano continuare a portare avanti i loro sporchi traffici perché erano stati rinchiusi all’interno del Mulino Bianco.
Le uniche sorpresine a cui potevo ambire erano quelle presenti negli ovetti kinder regalati incautamente dai parenti, mi era vietato cantare per casa l’irresistibile inno dei Kellog’s Frosties
ed ero stato rigidamente programmato per non provare alcuna empatia per i problemi di cuore del piccolo mugnaio nei confronti dell’amata Clementina.
“Chi se lo incula, il piccolo mugnaio”, recitava l’adagio, senza soffermarsi sulla bellezza intrinseca della parola “mugnaio”.
Torte, crostate, ciambelloni e biscotti sono stati la mia colazione per ogni santo giorno passato in casa con i miei genitori.
Bambino fortunato? No.
Bambino invidioso.
“Beato te che non hai più la mamma e tuo papà ti fa mangiare il Buondì!” dicevo al mio migliore amico nella sua cameretta, quando ancora mi rivolgeva la parola.
Pur coltivando quotidiano rancore nei confronti dei miei aguzzini riuscivo comunque a mantenere la situazione sotto controllo e a non desiderare esageratamente la roba d’altri.
Finché non vidi questo:
In quei trenta secondi c’era tutto ciò che potevo desiderare:
– musica trascinante
– una scimmia animata
– l’avventura
– latte – trasformato – in – ciocciolato – come nelle più eccitanti nozze di cana che si potessero immaginare.
– La promessa di un cambiamento radicale nel mio risveglio.
– La punch-line: “Il mattino sà di cioccolato”.
– Il cocoberretto.
DOVEVO.AVERLO.PUNTO.
no. Risposte mia madre la prima volta.
no. La milionesima.
Evabbene. Disse quando iniziai a tagliarmi le cosce con le lamette da barba di mio padre pur di provare ancora qualche emozione.
La prima confezione di Kellogg’s Coco Pops entrò a casa mia il 22.10.1990 intorno alle 19.00, regina assoluta tra le altre scatole della spesa.
Il ritmo caraibico dello spot mi pervase ed iniziai a ballare come un tarantolato, afferrandola e muovendola, come fosse due maracas.
“Aspetta domattina.” Sentenziò la genitrice.
Non la presi male, avevo atteso una vita, non potevo aspettare qualche ora?
Fu l’inferno.
Tentavo di addormentarmi senza riuscirci, mi aggiravo per casa come un eroinomane infreddolito nel giorno di ferie del suo spacciatore, toccavo le barbie di mia sorella in un futile tentativo di distrazione, attendevo l’alba affacciato in finestra con lo stesso batticuore di un vampiro suicida.
E alba, fu.
Il suono della sveglia di mia madre. Lei che la spegne. Si alza. Va in bagno. Sta in bagno. Resta in bagno.
Muoviti madre che devo farmi di cocopops!
Esce dal bagno. Entra in cucina. Armeggia. Suono di maracas… ha preso la scatola! Latte sul fuoco. Il cassetto dove tiene le tovagliette aperto e richiuso. La porta della cucina che si apre di nuovo e… ECCOLA!
“Sveglia, è pronta la colazione!”
Salto dal letto come tirato da un lazo invisibile che mi trascina in cucina, la scatola c’è! Anche la tazzona con il latte! Mi siedo commosso, afferro il cucchiaio e…
ventotto (28) chicchi.
Non uno di più, non uno di meno.
Con ventotto chicchi di riso soffiato, il latte non era diventato cioccolato. Non era neanche del tutto bianco e infatti aveva assunto una poco rassicurante colorazione tra il giallognolo e il marroncino.
Con ventotto chicchi, non c’era nessuna musica caraibica a coprire il suono de “Il carrozzone”, hit indiscussa di Video Italia.
Con ventotto chicchi, niente scimmia animata, niente avventura, solo la constatazione che il cambiamento radicale promesso al mio mattino era tutto direzionato verso l’astio e il rimpianto.
Guardai mia madre con quella faccia che mi sarebbe stata rubata quattordici anni dopo dal gatto con gli stivali in shrek 2 e lei mi rispose: “Bastano. Vedi che vuoi sempre esagerare.”
“E se hai ancora fame” aggiunse “c’è sempre la crostata.”
Ingoiai l’amaro miele e, ventotto chicchi dopo, ero comunque fottuto.
Facendomeli bastare, iniziai ad assumere Coco Pops.
Con costanza arrivai a mangiare addirittura due scatole all’anno finché, deluso dalle mancate promesse dello spot che aveva dato il via a quest’ordalia, decisi di smettere e tornare alle mie rigidi abitudini alimentari.
Questo, fino a quella mattina di settembre 2004 in cui entrai nel supermercato dietro casa a Latina e mi ritrovai perso in un tunnel di Cocopops.
Saranno state duecento scatole, una affianco all’altra. Un muraglia così imponente da poter essere vista dalla luna.
Ne presi tre confezioni e, a grandi passi, guadagnai la cassa.
Lì c’era Zeno che, per pranzo, aveva comprato una decina di etti d’affettato e sei cotolette di soia (era a dieta quel periodo) da cuocere nel forno a microonde della D2b.
Verificato che oltre alle tre scatole, con me, non portavo altro, mi chiese con quella sua lieve inflessione sulmonese: “Ma ghe dde sei gombrato be bbranzo? I GogoBobs?”
Si. I Gogobobs.
Risposi fiero di me come quando alla maturità mi ostinavo a parlare dell’ottimismo leopardiano anche mentre venivo cacciato dalla stanza.
Ora che mia madre non poteva vedermi avrei pranzato con i Cocopops. Con tutti i Cocopops che volevo!
Stacco.
Ore 15.30.
Mauro è ancora sul divano e non riesce ad alzarsi. E’ giallo, blatera di avventure ai caraibi con scimmie animate, e le sue mani tremano.
Non per il freddo, è più qualcosa di simile al parkinson: nessun modo di fermarle.
Il suo volto è una maschera orribile ferma in un sorriso glaciale.
L’effetto durerà fino alle 16.45, ora in cui Mauro riuscirà ad alzarsi, ma pur riprendendo possesso delle sue espressioni, il sorriso resterà sulla sua faccia.
Il sorriso soddisfatto di chi è conscio di essersi spinto là dove nessun altro essere umano era riuscito ad arrivare.
Il sorriso soddisfatto di chi, in un solo litro di latte fresco e intero, era riuscito a finire una intera confezione di Cocopops.
Perché il coma diabetico è un giusto prezzo per ritrovare sé stessi.
Ho appena deciso di pranzare con i GoGoBobs (del todis) ti faccio sapere.
Devono essere kellogg’s. Sennò non ti fa.
O comunque, ti fa altro.
Tu almeno avevi le crostate, io i GENTILINI.
Capisci? G e n t i l i n i.
A scuola mi ci hanno preso per il culo a ripetizione.
A volte fingevo che ci fosse la Nutella in mezzo, ma mai nessuno mi ha creduto.
Comunque solidarietà (le nostre madri erano delle accanite no-global).
Respect.
non so se essere più dispiaciuto per il Mauro-bimbo o più contento per il Mauro-bimbo-bis! 😛
evviva la “scimmia”!!!!
Non li ho mai provati in vita mia, ma giuro che stasera ne prendo una scatola! La scimmia contagiosa!
Io portavo sempre una fettina di torta di mele fatta da mamma dello spessore di un folgio di carta… questa era la mia merenda….arrivava a scuola nel suo debole involucro di carta stagnola e restava puntualmente intrappolata tra libri astuccio e cambio per la palestra. Al momento della merenda era poco piu’ di una particola spappolata… e io invece volevo il saccottinooo o il tegolinooo o la girella o il soldino…
Fortuna che tutto questo non mi ha messo sulla strada del deperimento fisico…comunque voto 10 al pranzo a base di coco pops, meglio ancora se e’ la cena e tenetevi alla larga da false imitazioni!
Non sono solo allora. Io quando sono di frettissima per pranzo (tipo solo 10 minuti) acchiappo sempre la mia scatola di Cocopops, il mo quarto di latte, e giù con la prima porzione, seguita da una seconda razione (a causa dela rapida fine della prima), che verrà comunque rinforzata da una continua cascata di cocopos: in una mano il cucchiaio, nell’altra la scatola inclinata sulla ciotola, con i chicchi che scendono come tanti granelli di sabbia nella clessidra.
Non sono solo… Non sono solo…
@Black
Gioiamo per il bimbo bis/tris ecc ecc
@Skull
mio consiglio: Tazzona grande. Rovescia all’interno i cocopops fino a coprirne almeno metà tazza. A quel punto versa il latte intero, fresco, in cerchi leggeri, bagnandoli tutti dall’alto. Inizia a godere.
@vero
Siamo stati bambini sfortunati, costretti da genitori salutisti a diventare ciccioni a suon di torte e crostate.
E si, alla larga dalle imitazioni.
@Alberto
Non sei solo. Abbracciamoci!
E se dovessi avere una ricaduta nel corso della notte, contattami, so dove poter rimediare dosi di Cocopops a qualunque ora, in qualunque posto!
hai appena distrutto il mio futuro idilliaco di madre “consapevole” che “non darò mai a mio figlio quelle schifezze confezionate e piene di zuccheri cattivi”…
mi hai ucciso!
Non posso fare tanto ad un futuro pargolo! ti sarà, ello/a grato a vita senza saperlo.
Detto ciò io ho sempre TANTO invidiato ma proprio TANTO, le mie due amichette che venivano a scuola con i panini e/o le torte che gli preparavano le mamme (casalinghe o quasi, la mia faceva tre lavori..ma queste cose le capisci molti anni dopo O.O) e io invece avevo una schifosissima pizzetta uscita dal surgelatore e messa a scaldare sul termosifone della classe…..i giorni FELICI erano quando il frezer smetteva di sputare pizzette del supermecato e mamma era costretta a darmi le millelire per predenre la pizza bianca alla pizza al taglio all’angolo di scuola che per sbrigarsi la mattina aveva tutti i pacchettina di “bianca” già pronti! *.*
i cocopops mi hanno sempre fatto schifo pure se li mangiavo convicendomi che mi piacevano una cifra perchè me li aveva portati papà dall’america in quei pacchi “assaggio” dove c’erano tipo 8 scatoline piccole come un succo di frutta con i milioni di cereali che in italia ancora non esistevano….
Mauretto è l’anello di congiunzione tra Proust e la scimmia. Oh-oh-oh!
Mauro Uzzeo, devi scrivere un libro. la tua prosa assomiglia al miglior Benni, davvero. Ciao a presto
Me lo rigordo…me lo rigordo… 😀