In debito col mago della pioggia.
Posso affermare senza alcun dubbio di avere grossi debiti nei confronti di Raffaele Boiano.
Gli devo l’invenzione del Fluidismo, le caramelle al caffè e alla menta alle 3 del mattino per l’integrale di The Kingdom di Von Trier al Palazzo delle Esposizioni, un freepress dal suo primo viaggio a New York, il passaggio di una cerva quando pensavo fosse troppo tardi, le regole del calcio e del rugby, il festival di Venezia, le polpette al sugo della nonna, i pranzi di casa Fazzi e la carne di Cisternino, l’insegnamento della calma nel rispetto verso gli altri e verso sé stessi, l’essere Fratello sempre. Non da meno, la forma e l’esistenza di questo stesso sito.
Da qualche tempo gli devo anche una serie di resoconti lucidi ed emozionanti dei suoi viaggi in Palestina.
Reportage diretti, improntati sulle persone e sul contesto in cui si muovono.
Raffaele non lascia spazio a voli stilistico-filosofici ma spalanca universi semplicemente raccontando l’esperienza pratica di un preciso momento, in quel mondo.
Questo che vi riporto integralmente, è quello che ha scritto sul suo blog appena rientrato a Roma, ieri sera:
Day 21. Exit strategy
// November 4th, 2011 //
Oggi torno a Roma. Chi mi segue on line avrà notato cose strane nei giorni scorsi:
- il blog si è fermato ad una settimana fa
- da ierisera sono scomparsi i post sulla Palestina
- ho cambiato nome e foto al mio account Facebook
- ho reso privati tutti i tweet
- ho cambiato la privacy dell’account Google
In sostanza, mi sono preparato per l’aeroporto, dove sarò interrogato. Ho anche:
- cancellato tutti i file che parlano di Palestina dal laptop
- cambiato SD nella macchina fotografica inserendo tutte foto delle chiese sante della Galilea (mia mamma apprezzerà…)
- eliminato tutta la cronologia del browser
- disattivato dropbox
- cancellato google notifier, perché io dovrò sostenere che il mio unico indirizzo mail è quello del lavoro
- scaricato e crittografato le foto della West Bank
- rovinato intenzionalmente la lonely planet, per farla più “vissuta”
- spedito il materiale che parlava esplicitamente del conflitto e dell’occupazione
- preparato una versione credibile del viaggio
- cancellato tutti i numeri e i messaggi dalla SIM watanya
- cancellato i numeri palestinesi dalla SIM Orange IL
Insomma, attività da para-spia. Ma perché?
Non è un crimine andare a visitare i Territori Occupati, eppure agli occhi della sicurezza israeliana è un comportamento molto pericoloso, da disincentivare assolutamente.
Anche i volontari che stanno in Cisgiordania per 3 o 6 mesi all’aeroporto non dichiarano apertamente quello che fanno, anche se non c’è alcun reato. Tutti hanno paura di due cose: il timbro di espulsione, che ti impedirebbe di tornare per 5 anni, e l’interrogatorio sfiancante, quello che mira ad ottenere i nomi dei palestinesi che collaborano ai progetti di resistenza non violenta.
Perché questo è il punto centrale: a te, cittadino UE, in assenza di reato non possono fare nulla. Invece i palestinesi, non-cittadini di uno stato non riconosciuto, possono essere arrestati e trattenuti con ogni scusa. Se dici di aver dormito ad Al Ma’sara per 12 giorni, qualcuno devi aver conosciuto, qualche locale ti avrà aiutato no? Sono questi nomi l’obiettivo dell’interrogatorio.
Il mio volo è alle 17.30 ma mi presento allaeroporto alle 12.20. Ho già la scusa: sono arrivato prima per provare a prendere il volo delle 14:50. Terzo piano, settore A, una fila interminabile. Inoltre una tedesca sciroccata come compagna di fila che mi assilla con i suoi pensieri mistici. Dopo 45 minuti di attesa in piedi mi si avvicina una donna della sicurezza. Prende il passaporto e parte il primo Q&A:
– Come ti chiami? Raffaele
– Quando sei nato? (la so)
– Dove vivi? Roma
– Quando sei arrivato? Il 13 Ottobre
– Quando riparti? Oggi
– È tanto tempo che sei qui, che hai fatto? Turismo (guida ciancicata alla mano)
– Tutto questo tempo? Beh, si, ci sono tante cose da vedere.
– Ok aspetta
Solito balletto. Prende il mio passaporto e aspetto. Dopo 5 minuti arriva un altro ragazzo.
– Come ti chiami? Ari-Raffaele
– Dove sei stato? A Gerusalemme, Betlemme, Galilea, Tel-Aviv
– Quanti giorni? Circa 3 settimane in tutto
– Quanti giorni a Gerusalemme? Una quindicina
– E quanti a Betlemme? Quattro
– Che hai fatto 4 giorni a Betlemme? Sono arrivato per vedere la basilica della natività e la città. Ho mangiato un ottimo falafel ma il giorno dopo non mi sono sentito bene di stomaco. Ho avuto anche un po’ di febbre (mostro la tachipirina). Sono ripartito quando mi sono ristabilito.
– E gli altri 3 giorni? Tel Aviv
– Dove hai dormito ieri sera? A Tel Aviv. Nel Mugraby Hostel, allenby road 19.
– Ok, aspetta (sorride, la risposta “Tel Aviv” + indirizzo gli è piaciuta)
Torna con gli adesivi che classificheranno la mia pericolosità. Sono un 5. Da 1 a 6, sono abbastanza pericoloso, ma poteva andare peggio. Mi accompagnano al controllo bagagli. Apro la valigia e l’addetta mi sembra simpatica. Le faccio vedere le ceramiche, apre tutti i miei panni sporchi uno ad uno, apre una maglietta di decathlon sigillata che non ho usato, vorrebbe aprire anche la Tahina che ho comprato per Sara. Io sono disponibile e lei è distesa.
Poi il primo problema: ci sono 3 kefiah colorate, in una busta trasparente.
– Che sono? Regali
– Perché regali queste cose? Perché sono belle e costano poco
– Perché in Italia mettete queste cose? Si, al collo, come sciarpe.
– Dove le hai comprate? A Gerusalemme.
È insospettita. Chiama un collega che mi chiama da parte mentre lei finisce la scansione della valigia.
– Hai ricevuto cose da persone? No
– Stai portando in Italia oggetti non tuoi? No
– Hai fatto regali? Si, delle kefiah, delle ceramiche e della tahina. Ah, anche un libro.
– Sei stato 15 giorni a Gerusalemme, non dirmi che non hai conosciuto nessuno? Conosco un ragazzo a Gerusalemme. È italiano e si chiama Marco.
– Che fa a Gerusalemme?
Ed ecco l’errore. Fino a questo punto ero andato molto bene. Ma poi ho ceduto alla verità, una semplice:
– Si occupa di Cinema. L’ho conosciuto alla Mostra a Venezia. Fa riprese, video e cose come queste.
Vedo chiaramente nella mente dell’ufficiale addetto ai controlli dipanarsi l’equazione video=documentari=attivista. E quindi io sono amico di un’attivista.
– Lascia la tua valigia lì e seguimi. Andiamo in una stanza piccola. C’è una panchina. Mi siedo e aspetto. Arriva uno più grande e ricomincia da come mi chiamo. Poi l’itinerario della visita. Poi tante altre domande. Poi se mi posso spogliare per una perquisizione. Resto in mutande davanti a loro. Sono tranquillo, sicuramente a disagio ma tranquillo. Non trovano nulla nelle mie tasche (chiaro direi, no?). Altre domande. A volte ripetono le stesse. Mi posso rivestire, ma non è finita.
– E dove altro sei stato? Tel Aviv.
– Ah, a fare che? Ho visto un museo d’arte e una mostra sui graffiti. E poi ho fatto anche del mare. E la sera ho girato per locali.
È qui che entra in ballo il serbo, il mio salvatore. Ma ora sono stanco, questa storia nella storia la racconterò a parte.
Ed io non vedo l’ora di continuare ad ascoltarlo.
Cliccando QUI, trovate tutti gli altri resoconti di quest’ultimo viaggio, vi consiglio di leggerli.
E di proseguire, poi, con la lettura dei post riguardanti cinema, sport e tutto quello che Raffaele sceglierà di raccontarvi.
Scoprirete che brilla della stessa luce di ogni tesoro che custodisce.
…e gli devi anche il bilanciamento del bianco…che ci ha spiegato dopo avergli fatto queste 2 foto a luci rosse. Grande Raffaele, tanta, ma tanta stima per te.
Se parto io con la lista delle cose che devo a Mauro facciamo notte, ma la fratellanza, per definizione, se ne sbatte dei conteggi. B52.
Tra l’altro a me, in questo caso, va di lusso
Ah, ma allora se è amore fraterno non sono geloso… 🙂
Un saluto a Raffaele, che ogni volta che lo ritrovo fa qualcosa di nuovo, e lo fa sempre con passione, competenza e onestà. Respect, come dicono i rapper.