Love & Bruises: incontro con regista e attori.
I titoli di coda hanno appena iniziato a scorrere sullo schermo quando l’applauso del pubblico richiede che il regista si alzi in piedi a raccoglierlo.
Io mi accodo agli altri per andare a stringergli la mano ma poi mi rendo conto che proprio davanti ai miei occhi si para uno spettacolo indimenticabile.
Lei.
No buoni, avete capito male.
Non lei:
LEI!
Guardatela bene.
Funziona tutto. Everything in it’s right place. La mano, il naso, l’ombretto, la collana.
Sublime.
Mi avvicino a Lou, che s’era accorto che guardavo con faccia estasiata e mi fa:
“Hai visto che bocconcino?”
Io lo guardo con quell’espressione lì e gli rispondo: “Se stai parlando di Corinne Yam, la tua attrice, sappi che è niente rispetto a quella dietro!”
Lou mi risponde in quel cinoinglese che ho imparato ad amare in Global: “Ma scherzi? Corinne è ‘na scrocchiazzeppi senza arte ne parte, strigni, strigni… c’ha ‘n culetto che è ‘n posacenere! Quella dietro invece…”
E in coro: “…Sublime”.
Nell’euforia cameratesca non ci accorgiamo di alzare troppo la voce e Tahar Rahim si aggrega ben volentieri:
“Dai, stacce! ‘o sanno tutti che è ‘n posacenere!”
A quel punto Corinne vorrebbe alzarsi per dimostrarci il contrario, ma vengono tutti richiamati all’ordine per rispondere alle domande del pubblico:
“Qual è la genesi di un film come questo? Perché raccontare la storia di due persone così diverse che trovano una strada comune? Da cosa sei partito?”
Lou risponde: “Sono molto felice di essere qui per questo incontro. Ho iniziato a scrivere questa sceneggiatura partendo da un romanzo che mi ha colpito molto di una scrittrice che è qui presente in sala. Il merito è suo”.
La scrittrice si alza, noi battiamo le mani, lei sorride mesta e si risiede.
“Un film come questo chiede molto agli attori. Soprattutto a livello di intesa e forza. Immaginiamo ci sia stata molta fatica ed esercizio. Raccontateci di questa esperienza” Chiedono.
Prende la parola Corinne Yam e con quel savoir faire tipico degli asiatici che non sanno raccontare una calla neanche sotto tortura risponde uno spietato:
“In realtà non c’è stato nessun esercizio perché io, personalmente, ho avuto pochissimo tempo visto che sono stata coinvolta nel progetto quando mancava solo un mese all’inizio delle riprese e ho incontrato il regista e Rahim soltanto una volta”. Poi sorride idol e inizia a cercarmi nella folla
mi trova.
Dal suo labiale intuisco distintamente:
“Posacere un cazzo!”
Fortunatamente prende la parola Rahim, liberandomi da quello sguardo: “Si, è vero! Ci siamo incontrati solo una volta prima delle riprese ed e stata un aggiunta positiva, una specie di bonus perché in fondo è la stessa cosa che succede anche ai nostri personaggi nel film. E quindi tutto sarebbe stato più naturale. Col regista invece ci siamo incontrati parecchie volte e abbiamo parlato a lungo dei personaggi. Non ci sono state vere e proprie prove ma abbiamo discusso a lungo su chi erano Hua e Mathias. E parlando di me ammetto di aver fatto fatica ad immergermi a pieno nel mondo degli operai, che non conoscevo così a fondo. Nei loro modi di relazionarsi, di muoversi, di parlare. Sono felice di aver fatto questa, che considero, una vera e propria esperienza di vita.”
Anche lei riconosce che non conoscersi l’ha aiutata parecchio nella parte e poi arriva una nuova domanda al regista: “Da dove nascono la scelta geografica di spostare il personaggio di Hua tra due ambienti così distanti come Pechino e Parigi e la scelta sociale di dividerla tra l’ambiente proletario e quello intellettuale?”
E qui, se la Yam era stata sorridente antidiva, Lou Ye si incupisce addirittura
e risponde: “Ma io in fondo non ho inventato nulla. Ho solo seguito quello che già c’era nel romanzo e mi sono limitato a portarlo sullo schermo.” Che tenerezza. Poi aggiunge una frase che ho amato molto: “E in merito agli attori, è vero, si sono incontrati improvvisamente, ed è quello che di solito capita agli attori. Ed io ne sono molto felice.”
Al presentatore l’onore e l’onere dell’ultima domanda: “Ammiro molto sia il lavoro degli attori che del regista. Trovo che Lou Ye abbia la caratteristica di unire un occhio molto profondo rispetto quello che vede, ad un cinema più istintivo di quanto l’immagine, molto curata, non farebbe immaginare. Mi piacerebbe che spiegasse quanto, nel suo modo di lavorare è ragione e quanto è istinto.”
E se la domanda è interessante, la risposta lo è anche di più: “Non credo ci sia una differenza tra le due cose. Sono convinto che tutti i film non siano altro che documentari, perché tutti i film parlano solo e sempre della vita delle persone. E nella vita delle persone non c’è distinzione tra istinto e ragione.”
Batto le mani insieme a tutti, soddisfatto sia della visione del film che del veloce dibattito.
Prima di andar via, Corinne si avvicina, innamorata
e mi sussurra il numero della sua stanza.
Alzando il bavero del mio impermeabile, le rispondo: “Mi dispiace, non fumo.”, e mi allontano a passetti sempre più veloci.
Alla ricerca di quella che le era seduta dietro.
Davvero un bel resoconto. E’ sempre un piacere leggere questo blog.
bello, tutto molto bello (non ho ben capito la storia della signora dietro ma non fa niente)…
molto bello ma solo un film hai visto oggi? Forza! ne vogliamo di più! entro dopodomani dovresti raggiungere un regime di almeno 3 film recensiti al giorno!
Quadruplice l’hurrà per la citazione di Yuppies 2.
Son curioso di sapere che ne pensi del film di Polanski.
Io fumo.