Poco. E sempre.
Nella maggior parte del nostro pianeta, della concezione occidentale del rito del pasto quotidiano, non se ne fanno nulla.
L’idea di affrontare, in sequenza, un antipasto, un primo, un secondo, un contorno, un dolce ed un frutto… suscita più un misto di stupore e stanchezza che una serena tranquillità conviviale.
Bangkok non fa eccezione e per i suoi abitanti, la norma, è quella di mangiare – poco – ma per tutto l’arco della giornata.
Non soffrono la fame nell’attesa del momento di sedersi a tavola per poi ingozzarsi fino a non riuscire ad alzarsi dalla sedia.
Preferiscono iniziare con qualcosa di caldo a colazione (riso con pezzetti di pollo cotto nel latte di cocco) e poi spizzicare, via via, quello che trovano davanti al loro percorso.
Questa abitudine fa si che, ovunque, ed in qualsiasi ora del giorno e della notte, ci si possa facilmente procurare del cibo.
Aldilà dei locali e dei posti tipici in cui fare la spesa, a Bangkok ci si nutre per le vie cittadine principalmente in due modi: mangiando in mini ristorantini improvvisati, oppure affidandosi ai chioschetti.
Dei primi parlerò in un prossimo post, i secondi, li trovate fotografati qui di seguito:
La caratteristica principale dei chioschetti è la loro mobilità.
Il chiosco è nomade e rincorre gli spostamenti dell’uomo.
Nell’ora di punta dell’ingresso al Palazzo Reale sarà lì a chetare la fame e la sete dei visitatori, alla chiusura dei centri commerciali sarà disponibile per i dipendenti che staccano dal loro turno di lavoro.
Ho visto chioschi spuntare come funghi intorno alle impalcature di un palazzo in costruzione facendo la gioia dei muratori sudati.
Chioschi al coperto, sotto la pioggia, ricchi di piatti caldi.
Chioschi sfoggianti gelati freschissimi sotto un sole che spaccava le pietre.
I più comuni sono quelli con gli spiedini di pollo, manzo e pesce.
Vanno forte anche quelli in cui è possibile acquistare minestrone e brodo di carne come sta facendo questa signora qui sotto.
Nel pentolone c’è il brodo, lì intorno i condimenti, e vicino alla cuoca ci sono delle buste di nylon al cui interno viene messo il minestrone appena fatto.
Alcuni si specializzano a seconda del posto, per cui questa signora, che in quella piastra è solita cucinare polpettine di gamberi, si adatta a preparare ovetti di – immagino – papera.
Altri puntano sulla frutta (quelli sono cocchi freschi – al costo di 15 baht te ne spaccano uno dal quale puoi inizialmente berne il latte e poi ripulire con un cucchiaino lo strato di cocco fresco della consistenza di un budino)…
…tra cui, la più ambita, è sicuramente la letale durien.
Altri ancora si dedicano a dolcetti dall’aspetto di piccole opere d’arte.
Questa ragazza, incuriosita dal mio fotografare a destra e sinistra, mi ha fermato suggerendomi di assaggiare le frittelle di cocco e uvetta che preparava la signora al prezzo di 20 baht l’una (sulle stesse identiche piastre della signora degli ovetti).
Ovviamente ho accettato il consiglio e ho apprezzato parecchio.
Mangiare un po’ per volta ma con regolarità è l’antitesi del mio approccio alla vita.
Non solo per il cibo ma anche per quanto riguarda le passioni e il lavoro.
Tito lo fa da anni, ogni giorno si siede e scrive.
Con calma e disciplina zen porta quotidianamente a casa il suo risultato e questo, a fine mese, si quantifica in una tonnellata di tavole e in uno sforzo costante, ordinato.
Senza strappi, come quello di un maratoneta.
E’ un metodo, la cui esistenza dà l’idea della capacità di controllo.
Io non scrivo per giorni, poi mi siedo e non mi alzo finché non ho macinato 20 tavole.
Io non mangio dalla mattina, poi mi siedo e non mi alzo finché non sto veramente male.
Io dormo 3 ore a notte per 6 giorni, poi il settimo cado in coma per 24 ore.
Guardo le serie tv solo una volta finite per fare le chiuse. Su itunes parto solo con le discografie integrali.
E’ un approccio da insoddisfatto allo sbando. Da travolto dall’onda.
Da vincitore casuale, da disorganizzato seriale.
Da privo di metodo, da occasionale.
Voglio capire come si fa a stare bene senza riempirsi. Come si fa a non finire subito dopo aver iniziato.
Come si fa a lasciarsi accompagnare dalle cose senza volerle dominare e senza farsi sopraffare.
Per concludere il discorso legato ai chioschetti, ce n’è anche qualcuno meno, come dire, friendly…
Il proprietario di questo mi ha detto che m’avrebbe cotto al volo quelle tartarughe o le anguille semplicemente immergendole nell’acqua bollente.
Non ho fatto domande sulle caviette che vedete in basso a destra.
Ma soprattutto, passeggiando tra i chioschi cittadini, non tarderete ad imbattervi in questi:
Potevo perdere l’occasione di assaggiare simili leccornie?
Tsè! Seguirà documentazione fotografica.
Diro’ solo una cosa: BRIOSCHI!
Conoscendo il tuo approccio quindi ci stai dicendo che ad ogni chiosco e ad ogni ora ti sei ingozzato fino quasi a scoppiare? il passaggio “regolarmente e tanto” è già qualcosa!!
Caro Mauro,
tranquillo. Se ti può, in qualche modo e misursa, “rassicurare”… guarda che un tempo anch’io ero così. Anche nello scrivere magari “poco” ma sempre (sempre!) c’è una insana componente di ossessione. E certamente di passione.
Permettimi poi un’autocitazione, tornando a uno dei primissimi post del mio blog:
http://titofaraci.nova100.ilsole24ore.com/2008/06/non-finisco-mai.html
Ciao
Tito
Accidenti…mi stà appassionando il tuo diario.
Credo che personalmente mi troverei bene con la mentalità alimentare rateizzata. Per favore…assaggia un pò di scarafaggi per me. Sono curioso di sapere il loro sapore e tanti altri piccole dettagli. Io, haimè, sono fermo ai Grilli messicani.
@Sand
BURP!
@Marco
M’hai smascherato, maledetto Mortimer!
@Tito
Mi riferivo proprio a quel post lì e a qualche altra tua riflessione sparsa in giro, tra un’intervista e l’altra.
Il tutto, comunque, mi rassicura.
Ciao!
@Icarus
Attento a ciò che desideri! 🙂
Spero che le foto renderanno merito!
La domanda che mi sorge spontanea è: ma il minestrone nelle buste di plastica come si mangia?
o lo bevono in cannuccia o lo versano in un piatto a casa!