Pietà – KIM Ki-duk – Conferenza stampa a Venezia69
“Il denaro mette inevitabilmente alla prova chi vive in una società capitalistica dove tutti sono convinti che esso possa risolvere ogni cosa. Il denaro è spesso causa di quanto accade ai giorni nostri. In questo film, due persone che provocano o subiscono dolore per via del denaro e che molto difficilmente si sarebbero potuti incontrare, si conoscono e diventano una famiglia. Grazie a questa famiglia ci accorgiamo che siamo complici di tutto quanto ci accade. Il denaro farà domande tristi fin quando tutti quelli che vivono in quest’epoca moriranno. Finiremo per diventare denaro agli occhi degli altri, schiacciati sull’asfalto. Piango ancora rivolto al cielo con scarsa fede. Dio, abbi pietà di noi.”
Queste le parole con cui KIM Ki-Duk presenta il film nella cartella stampa dedicata.
Parole importanti che identificano quello che un po’ ovunque inizia a venir chiamato il “cinema della crisi”. Definizione errata e fuorviante in quanto tenta di mettere a fuoco un periodo determinato mentre le parole e le immagini raccontate da Kim Ki-Duk sono una forma universale di comprensione dell’uomo.
Per questo motivo arrivo con ben 3 minuti d’anticipo ad assistere alla conferenza stampa.
Presenti in sala: il regista e i due attori principali Lee Jung-jin e Cho Min-soo.
Come ogni conferenza di questo festival, lo scoglio più grande da superare è la domanda idiota del pelato in prima fila che, chissà per quali (de)meriti dà il via al dibattito.
In questo caso chiede:
“Ho notato nel film un errore di edizione: in uno shot la serranda è abbassata per metà, in quello dopo è quasi tutta sollevata, da cosa è dovuto? Alla fretta?”
Con aplomb più che orientale Ki-duk lo ringrazia per la grande attenzione che ha dedicato al film e si scusa dicendo che il basso budget che ha a disposizione per i suoi film, fa sì che spesso non ci sia il tempo necessario per curare tutto nei minimissimi particolari.
Corea batte pelato italiano un milione a zero.
Cominciamo con le domande serie:
“Il film è per diversi motivi vicino alla tragedia greca e quindi chiaramente più comprensibile e accessibile per il pubblico occidentale. E’ stato voluto? E il concetto di pietà espresso è quello che prova lei per l’umanità contemporanea? Quanto c’entra con l’opera di Michelangelo?”
Ki-Duk risponde:
“In Corea conosciamo moto bene la tragedia greca, viene studiata ed è un punto di riferimento per molto teatro, anche contemporaneo. Penso soprattutto a Elettra. Il punto di contatto con le tragedie greche credo però rientri soltanto nell’aspetto dei sentimenti e dei rapporti familiari, mentre nel mio film a me interessa soprattutto parlare del capitalismo estremo e sulle dinamiche che il capitalismo genera nelle relazioni. Quale potere abbia nel modificarle, quanto possa influire e incidere. Soprattutto in negativo. Per quanto riguarda il titolo invece, nasce dal fatto che ho visto due volte il capolavoro di Michelangelo, e senza entrare nei meriti della bellezza oggettiva dell’opera, sono rimasto colpito dall’idea di una madre che abbraccia il figlio vittima della sua stessa croce. E’ un’immagine che colpisce tutti. Che lega tutti in una grande condivisione del dolore.”
Una tipa chiede:
Al termine del film mi sentivo serena. Non depressa come spesso mi succede guardando i tuoi film. E’ una mia impressione o c’è stato realmente un cambiamento? E come mai hai scelto una donna giovane per farle interpretare la madre?
Lui sorride, ringrazia come al solito e aggiunge:
“Sì, può sembrare in un certo modo più luminoso dei miei film precedenti. Forse perché quelli erano concentrati sull’identità altrui, sui rimorsi altrui, mentre questo è un film dedicato alla razza umana intera che si trova in difficoltà. La scelta della madre invece, aldilà della bravura dell’attrice è dovuta alla grande fama che ha in Corea per le sue commedie e quindi spero che un po’ di quell’attenzione che solitamente riceve, stavolta venga rivolta ad un mio film!”
Questa schiettezza di argomentazioni sarà una costante della sua conferenza e tornerà anche in seguito. Ma a questo punto sono io a trovare il coraggio e alzandomi in punta di piedi come gli altri, microfono in mano e ingoiando in una sola parola: “Salvesonomaurouzzeodinontistavocercandocomplimentiperilsuofilmvolevochiederle”, gli faccio questa domanda:
“Ha dichiarato che il vero protagonista del film è il capitalismo e infatti tutti i personaggi del film ne sono vittime. Tutti tranne il protagonista che sembra del tutto disinteressato ai soldi. Vive in un appartamento schifoso e lurido. Svolge del lavoro in più che non gli viene richiesto. Non accumula denaro. Questo perché è lui stesso una rappresentazione del capitalismo o qualcosa che va ancora oltre? E poi mi interessava sapere se per lei, carnefice e assassino meritano la stessa pietà.”
Lui si fa tradurre tutto, fa i soliti sorrisi, i soliti ringraziamenti di rito e poi mi risponde:
“Nel capitalismo e impossibile vivere senza soldi ma l’importanza non e nel denaro stesso ma dell’uso che di quel denaro si fa. L’utilizzo può modificare l’approccio, penso ad esempio a chi ne fa un uso caritatevole che non può che essere positivo. Ma è di quello negativo che ho voluto parlare e che ho deciso di mostrare. Ed è vero, i protagonisti sono tre, i due attori e il denaro. E se ci pensi alla fine sarà anche vero che il denaro non è importante per il protagonista ma è proprio a causa del denaro che i due protagonisti finiscono per incontrarsi.
Per quanto riguarda il discorso sulla pietà, invece, credo che per vittime e carnefici vada provata allo stesso modo, perché per quanto noi possiamo sforzarci di cambiare o agire per il meglio, lo siamo entrambi contemporaneamente. Siamo sia vittime che carnefici.”
A questo punto, grazie alle domande di una giornalista coreana, KIM Ki-duk inizia a far luce su alcuni degli elementi più ostici per un pubblico lontano dalle loro dinamiche interne.
“Cheonggyecheon, la location in cui il film è stato girato è il luogo a cui si deve la nascita dell’attuale capitalismo coreano. Luogo dove avvenne il suicidio di Chon Ta-Li, colui che fece nascere il movimento sindacale in Corea battendosi per i diritti dei lavoratori e dove io stesso lavorai come operaio qualche anni fa. Il luogo dove Chon Ta-Li si diede fuoco per protestare contro lo sfruttamento della classe operaia.
Il suo sacrificio è ricordato ancora oggi ed è stato un grande esempio per tutti, compreso per me negli anni della mia formazione. Per questo ho scelto di seguire le sue orme denunciando quelle situazioni che col passare del tempo non sono cambiate poi molto, con la mia modalità d’espressione che è, per l’appunto, il mezzo cinematografico.”
E per rispondere all’ultima domanda, Ki-duk si rivolge ai giornalisti italiani parlando come ben pochi occidentali, in quella situazione, farebbero mai.
“Voi parlate della forza del mio film e dell’importanza del mio cinema, e questo mi lusinga. Ma in Corea quando ci si riferisce a me parlano del regista famoso in Europa. Questo potrebbe essere motivo d’orgoglio, e sicuramente lo è, ma leggendola in un modo leggermente diverso sta a significare che il mio cinema, in Corea, non è noto. Non è considerato. I miei film trovano pochissimo spazio all’interno del mercato cinematografico nazionale che è composto soprattutto da cinema d’intrattenimento e quindi di commedie distribuite dalle major. Major che, a loro volta, sono le stesse che posseggono e gestiscono i multiplex e le maggiori sale cinematografiche coreane. Capirete bene quindi che i miei film trovino pochissimo spazio in un sistema del genere. Allo stesso tempo non posso negare di avere un piccolo pubblico di fan affezionati che mi seguono da sempre ma spero sinceramente, per poter continuare a fare film, che la situazione cambi nel mio mercato di riferimento. L’Europa può essere una marcia in più ma non l’unica realtà capace di sostenermi. E spero quindi che questo film, in cui ho scelto due attori bravissimi, bellissimi e allo stesso tempo idoli delle masse, possa portarmi a vivere una condizione migliore per la mia cinematografia all’interno della Corea stessa. Me lo auguro.
Applausi in sala.
Il tempo è finito e io riesco a raggiungerli tutti e tre per un soffio per una dedica sul press-book del film.
E poi ce li portano via, verso il photocall dove Martina farà le foto che avete visto a corredo di questo post.
Tra cui quelle che dimostrano che quando impedisci a KIM Ki-duk di travestirsi da Bocelli, sulle prime ride, ma poi ci resta malissimo.
Salvo poi riprovarci, e riuscirci – davanti agli occhi allibiti del mondo – sul palco della Sala Grande, mentre ritirava il Leone d’Oro ricevuto per il suo film:
http://www.youtube.com/watch?v=68iEyOXiA7Q
In sala stampa eravamo tutti felicemente sconvolti.
Sicuramente il momento più alto di tutta la 69esima edizione del festival del cinema di Venezia.
Il film uscirà nelle sale italiane il 14 settembre, distribuito da Good Movies (in sole, ahinoi, 60 copie!).
medaglia medaglia medaglia!!!!!
Mauro, un post bellissimooooo!! *O*
Lui è un grandeeeeee!!!!!
Grazieeeeee
Grandissimo Kim Ki Duk! Dovremmo imparare dalla sua umiltà. Bellissimo post.
Io ero in sala a Venezia, in platea ma in fondo sotto kim praticamente. Il giorno prima l’ho trovato nel red carpet mentre pioveva che faceva le foto a Kitano, tutto bagnato senza ombrello. Passando mi sono fermato stupito, chiamandolo maestro Kim e lui ha risposto inchinando il capo e salutando. Non sapevo che dire, conosco il francese e so che ha vissuto tanto in Francia, potevo parlare francese? macchè ero marmorizzato davanti a lui. Lo adoro come regista ho visto tutti i suoi film e vederlo lì, solo, tra la gente passava e non lo vedeva nemmeno, mi ha incredibilmente fatto ancora capire che persona sia. Lo volevo invitare a casa mia, a mangiare una pizza, ovunque. L’ho solo salutato e mi tremavano le gambe. Uscendo dalla sala ho chiesto autografo. Grande Kim Ki Duk ….. maestro