Ardecore, meravigliosamente.
Non ricordo più quanti anni fa ero seduto nell’ufficio di una produttrice cinematografica che stava preparando una serie animata per la Rai.
Nella stanza accanto c’era Sarah, la figlia della produttrice, che aspettava che io finissi di blaterare e potesse finalmente parlare con la madre.
Poi per qualche imperscrutabile motivo iniziai a cianciare di musica, gruppi rock, videoclip musicali e improvvisamente alle orecchie di Sarah smisi di essere un semplice sconosciuto spaccapalle e diventai un semplice sconosciuto spaccapalle con qualcosa di cui parlare.
Lei già cantava. Cantava tanto, cantava sempre e suoi colori erano quelli verdi dell’erba dove camminare scalza e il bianco glaciale della Bjork più vespertina.
Di qualsiasi argomento provassimo a parlare, il punto d’arrivo era sempre la musica.
Quella che per lei era voce e per me immagine.
Quella che, a pensarci bene, per lei era tutto.
E le prove che lo confermano sono nel cd di Scoutt Niblett che mi regalò e in quello di Colleen che non le regalai, ma che conservo ancora.
E non ci vedemmo più.
Così va la vita, diceva lo scrittore più bravo di tutti.
Ora dimentichiamoci per qualche riga di Sarah e passiamo ad un altro personaggio: Marco Marini.
Sì, quello che disegna quella roba fantastica e che nel tempo restante spaccia musica a chiunque sia dotato di padiglioni auricolari.
Marco mi spacciò il primo disco degli Ardecore una settimana prima che uscisse.
Grazie al legame che aveva con quella band mai troppo lodata che sono gli Zu era riuscito ad ottenere una copia del loro nuovo progetto musicale nato in collaborazione con Giampaolo Felici dei Blind Loving Power e Geoff Farina dei Karate.
L’idea era quella di reinterpretare in chiave moderna dei brani simbolo della tradizione musicale capitolina, riarrangiando sonate e stornelli popolari con sonorità che vedevano a braccetto folk e post rock.
BOMBA.
CLAMORE.
GRUPPO DELLA VITA.
E neanche a parlarne di quanto l’esperienza live facesse impallidire, per impatto e sentimento, tutto ciò che proveniva dai già ottimi brani registrati in studio.
Poi, da un giorno all’altro, come per le coppie che si amano tanto e si amano davvero, persi qualsiasi interesse.
Non fu una scelta ponderata né spinta da qualche ragione sotterranea. Non per odio né per amore, smisi semplicemente di ascoltare gli Ardecore.
Così va la vita, ripeteva quello scrittore lì.
I minuti si fecero anni, i bicchieri divennero fiumi e ce ne furono di trame da imbrigliare prima che Facebook unì tutti i gradi di separazione certificandomi che una certa Sarah Dietrich si era unita agli Ardecore.
BOMBA.
CLAMORE.
CONTENTEZZA E SODDISFAZIONE.
“E proprio il posto suo.” Pensai tra me e me, senza farglielo sapere.
“E proprio il posto suo.” Continuai a ripetermi dopo aver comprato San Cadoco, un doppio album splendido, in cui, se la figura di Giampaolo era diventata l’anima più sanguigna e materica del gruppo, Sarah ne incarnava lo spirito più etereo e allo stesso tempo divertito.
Un doppio album a metà tra le due realtà incarnate dalla band in cui l’oggi E’ la tradizione e le sfuriate blues trasformano immortali stornelli in implacabili e romantiche murder ballads.
Un doppio album che passa da Puccini per arrivare alla Ferri, stringendoci forte di notte, rassicurandoci piano, in un orecchio, che tutto andrà bene, accoltellandoci fino a vederci sorridere.
Gli Ardecore l’hanno presentato diverse volte a Roma e non sono mai andato a vederli.
Il Filosofo di Benni diceva “Non riesco a capire, le cose continuano a finire.” Io invece non riesco a capire quelle che continuano a cambiare.
Se per quanto riguarda me, il presente del momento è tutto ciò che c’è, sogno un mondo in cui gli altri restino cristallizzati nel tempo al servizio della mia memoria fragile.
Mia sorella che lavora in uno studio d’architettura, Francesco padre, Andrea lontano. Non sono pronto ai cambiamenti degli altri perché mi spaventa non riconoscerli e ritrovarmeli diventati altro in mia assenza.
Ma come per ogni cosa, bastano due donne ed una coincidenza affinché tutto possa cambiare.
Amal che fotografa Sarah e gli Ardecore seguendoli in una data di Genova e me ne parla entusiasta: “Devi vederli, ti piacerebbero tantissimo!”
Martina che impazzisce per il loro nuovo album e muore dalla voglia di ascoltarli dal vivo.
Ed ecco i motivi per cui venerdì 23 Marzo entriamo insieme all’Init.
Con noi ci sono Rrobe, Mari e Solina. La sala è già buia.
Mi rinchiudo nel long island e nella mano di Marti, emozionato come quei padri dei film americani che si nascondono dietro le colonne.
Poi inizia il concerto e per più di un’ora il pubblico balla, canta, e si bacia guardandosi negli occhi.
Marti fotografa e sorride sempre. Mi chiede se mi sta piacendo e le rispondo di sì.
Perché Gianpaolo Felici è un urlo blues rauco e vitale
e Sarah è cresciuta senza essere cambiata, come fosse sempre stata su quel palco.
E da lì fanno il loro spettacolo per noi che applaudiamo, ci stringiamo e ci rassicuriamo.
Parlandoci piano nelle orecchie e scusandoci anche per le coltellate.
Così va la vita, diceva lo scrittore più bravo di tutti.
Molto, molto emozionante: il testo scorre una meraviglia, Sarah e gli Ardecore anche.. Manca solo di vederli dal vivo, ma capiterà… Complimenti per come scrivi!
Ti sei dimenticato di accennare a una certa foto mandata all’una di notte a una certa amica per farla rosicare perché non era presente in quella serata piena di magia (l’ho scritta senza virgole così puoi leggerla tutta di un fiato). :*