Revolver.
“Oh?”
“Eh?”
“Hai lasciato la sacca col bagnoschiuma, lo shampoo e l’infasil nella doccia in cui ti sei lavato ieri mattina?”
Su questa domanda retorica di Martina, apro gli occhi dopo averli chiusi neanche tre ore prima e blatero qualcosa che mi dichiara colpevole su tutta la linea.
Mi copro col solito straccio thai chiedendomi dove sono finite le mutande (basandomi sul mio alito è probabile che le abbia ingoiate nel sonno) e nasco fuori dalla tenda in tutto il mio splendore di occhi introflessi e pallido savoir faire.
Convinco le gambe a muoversi dandomi delle piccole scariche elettriche con l’alimentatore del computer e incrocio Martina che non mi insulta soltanto perché lo spazzolino in bocca le impedisce di essere sufficientemente chiara. Mi dà il cadavere di bagnoschiuma Dove, unico sopravvissuto a quello che deve essere sembrato il dono di un generoso campeggiatore e torna a fare le facce allo specchio.
In doccia mi ricordo perfettamente come mi chiamo e per quale motivo sono lì.
Ho la sensazione di recuperare le forze in 4 minuti esatti e l’uomo che sono una volta emersone non ha nulla a vedere con quello che ero appena entrato!
Raggiante, mi godo l’aria buona e saluto Rashid, il tizio del Bangladesh con cui ho fatto amicizia il primo giorno di campeggio.
Bello, Rashid, con il suo spezzatino cotto in una wok in funzione h24.
Con la sua voce lenta, pacata, rassicurante.
Con le sue spalle minuscole e la pancia come un grosso pallone sul punto di scoppiare.
Con la sua maglietta grigia su cui è stampata la copertina di Revolver dei Beatles.
Che grande album, Revolver, il mio preferito dei favolosi quattro e infatti anch’io posso sfoggiare una maglietta identica a quella di Rashid perché anch’io l’ho portata in campeggio.
Anzi, me la metto ora!
…
…
“Marti, quando prima sei andata a riprendere le magliette stese… c’era quella di Revolver?”
“Non c’ho fatto caso, ‘spetta che vedo… Uh! No, non c’è! Dove te la sei persa?”
“Sono abbastanza certo di averla persa addosso a Rashid.”
Mi metto buono buono e aspetto che Rashid esca dal bagno sperando che non ci stia una vita, che per il film delle 9 bisogna essere lì alle 8.30.
E sto lì, buono buono.
Buono buono.
Cacca lunga Rashid.
Sciacquone! La porta si apre!
“”Giorno Rashid!”
“Ciao!”
“Gran disco Revolver, eh!”
“Uh. Che dice?”
“Intendo quello sulla maglietta.”
“Maglietta? Chi maglietta?”
“Err… Credo che questa che indossi sia la mia maglietta, Rashid!”
“Questa? No, penso che mia!”
“E pensi che male. È identica alla mia che è – guarda a volte il caso che bizzarro creatore di situazioni – scomparsa!
…
…
“Quindi questa è tua?”
“Già.”
“A me ne hanno fregate quattro finora!”
Gli dico che mi dispiace, lo aiuto a ridarmela e lo lascio lì un po’ contrariato. Probabilmente Revolver gli piace davvero.
Mentre racconto a Martina di come sono riuscito a riconquistare la maglia lei si limita ad indicare col mento alle mie spalle.
Mi volto.
Davanti ai fili dei panni stesi, Rashid prende una maglia a caso tra le cinquanta ad asciugare ma la guarda con sufficienza, non lo soddisfa.
La posa e passa a valutare quella affianco.
Decisamente meglio.
Il nero lo sfina. E gli ingrossa le spalle.
Ma lo sai che scrivi davvero benissimo? Ma che lavoro fai?