John Doe (n.s.) #7 – Intervista a Valerio Schiti.

29 aprile 2011 da Mauro


Valerio Schiti
è il disegnatore principale del settimo episodio della nuova serie di John Doe. E’ la prima volta che lavoro con lui e fino al momento di avviare questa collaborazione non ci eravamo mai né visti né sentiti. Ci siamo conosciuti lavorando insieme e devo ammettere che raramente mi sono trovato così bene con un collega.
Valerio è sveglio. Valerio è entusiasta. Valerio usa il cervello prima della matita. Valerio è bravo.
Il resto vedo di scoprirlo facendogli qualche domanda:

Ciao Valerio, sei il mattatore assoluto di questo numero. Ne hai portato a casa due/terzi delle tavole in tempi, diciamo così, non proprio rilassanti e senza scalfire minimamente la tua qualità. Com’è andata? Cosa vuol dire realizzare tutte queste tavole di un fumetto popolare da edicola, sapendo che già molti autori, prima di te (anche parecchio noti) hanno lasciato il segno con la loro interpretazione del personaggio?

Fai bene a chiedermi degli autori che mi hanno preceduto perchè molti di loro sono fra i professionisti italiani che ammiro di più.
Anche solo immaginare di raccogliere l’eredità di talenti del calibro di Riccardo Burchielli, Werther Dell’Edera o Matteo Cremona, solo per citarne alcuni, è una spada di Damocle davvero inquietante per un disegnatore alla sua prima “uscita lunga” in edicola.
Immagina la scena: campo medio, leggermente dall’alto, io gobbo che disegno e sopra la mia bella capoccetta la spada di Damocle… una bella immagine!
L’unico modo per superare lo stress delle prime pagine è stato pensare di realizzare un “mio” John Doe personale che considerasse i John realizzati precedentemente ma che in un certo senso fosse “diverso”.
Devo ammettere di essere stato facilitato in questa “opera di distrazione” per molte ragioni.
Innanzitutto perchè la testata è storicamente una delle più libere del mercato italiano. Sulle pagine di John Doe c’è sempre stato spazio per la sperimentazione sia grafica che narrativa, grande liberà di sintesi nel realizzare i tratti dei personaggi ed un’anomala tolleranza per l’impaginazione della tavola che non deve necessariamente seguire il consolidato stile bonelliano.

La seconda fortuna è il personaggio stesso di John, soprattutto in quest’ultima stagione ed in particolare in questa storia (e qui ti faccio i complimenti, caro Mauro) (Grazie! Lecchino). (Prego! Stronzo). (lecchino.) (Stronzo.)
Io stesso sono rimasto sorpreso nel verificare quanto fosse divertente disegnare un dio vanitoso, quasi metrosexual, con tutto il bagaglio di atteggiamenti, espressioni e dettagli di abbigliamento che porta con sè.
Inventare vestiti (Dior), scarpe (Paciotti), gioielli (ancora Dior) è stato il modo migliore per avvicinarmi al nuovo carattere di John e raccontarlo indirettamente al lettore.
Tra l’altro è stato fondamentale in questo tentativo l’appoggio di Vega, la mia ragazza, che mi ha introdotto ai sacri misteri del mondo della moda!
(n.d.M. “Vega Guerrieri” è la fortunata che ha rapito il cuore di Schiti. Ora. Seriamente. Aldilà di questo momento da Cento Vetrine, “Vega Guerrieri” è o non è il nome più cazzuto che abbiate mai sentito?)
Inoltre la storia che hai scritto mi ha permesso di soffermarmi sulla sua recitazione che passa da spavaldo a frustrato, da divertito a triste, da affascinante a spaventato: John Doe è un personaggio vivo, e in questa storia “psicanalitica” lo è più che mai!
La terza fortuna è stata la vagonata di citazioni che mi hai permesso di realizzare graficamente.
Oltre agli omaggi cinematografici come al maestoso Clint Eastwood, o letterari, come Douglas Adams, c’è stata la possibilità di sbizzarrirsi citando John Doe stesso!
In un’unica doppia tavola ho potuto provare a rappresentare la “storia” di John Doe, disegnandolo in tutte le sue reincarnazioni principali, tutte uguali ma necessariamente tutte diverse! Ho provato a ricordare ai lettori una stagione intera attraverso un “outfit” particolare o una posa. Che dire: uno spasso!



Tutte queste circostanze hanno contribuito a farmi dimenticare le responsabilità legate alla scadenza, all’eredità dei disegnatori che mi hanno preceduto e alla visibilità della testata e concentrarmi sul divertimento!
Spero davvero si sia divertito anche chi ha letto questo pagine, oltre a me che le ho disegnate!

Quando hai pensato per la prima volta che avresti fatto fumetti nella vita? E quali sono state le tue prime mosse in merito? Avanti su, non essere timida e parlaci di te!

Sinceramente io mi ricordo di aver disegnato praticamente da sempre, come un po’tutti i disegnatori!
All’inizio però non pensavo ai fumetti ma ovviamente ai cartoni animati perchè come molti miei coetanei ero e sono ancora oggi innamorato pazzo dei “robottoni” giapponesi!
Poi a dieci anni mi sono venuti gli orecchioni. Ecchissenefrega, dirai tu. Però in quell’occasione mia madre mi comprò il mio primo numero dei “Fantastici 4”, scritto e disegnato da John Byrne.
Quei disegni uniti in un mix letale con la febbre a 40 mi hanno folgorato! Da quel momento ho cominciato a seguire le testate della Marvel, l’Uomo Ragno in particolare, che mi ha educato quasi quanto i miei genitori!

Poi successivamente sono arrivati i grandi autori, le serie italiane e pochissimi manga. Ancora in seguito c’è stata la parentesi dell’architettura. Per tutto il tempo dell’università e per qualche annetto successivo alla laurea ero davvero sicuro che avrei fatto l’architetto.
Mi sono iscritto alla “Scuola internazionale di Comics” quando ero ancora convinto che le due passioni potessero convivere. Grosso errore! Il vecchio amore sopito per la narrazione a fumetti ha definitivamente schiacciato l’architettura. Comunque devo ammettere mio malgrado che le nozioni imparate in anni di università mi tornano utili molto spesso ed inoltre adoro disegnare riferimenti a quel mondo, come ad esempio le sedie Barcellona di Mies van der Rohe presenti in questo numero di John!

Hai nominato la Scuola Internazionale dei Comics. Molti di quelli con cui collaboro sono sono usciti da questo tipo di scuole. Ci dici a cova va incontro un ragazzo che decide di frequentarle? Pregi e difetti
.

Mi sento davvero di consigliare a chiunque voglia intraprendere una carriera nei fumetti di iscriversi assolutamente ad una scuola!
La prima elemento che bisogna considerare è che quello del fumettista è un lavoro.
Sembrerà banale ma molte persone confondono il fumetto con un gioco, un hobby, o si focalizzano maggiormente sotto il punto di vista artistico del mezzo senza considerare, anche e soprattutto, che si tratta soprattutto di un lavoro con regole, pressioni, contratti, collaborazioni, scadenze e responsabilità. Una scuola di fumetto, quando è seria, ti prepara ad affrontare questo mondo impostando orari, consegne e revisioni e controllando costantemente la qualità del tuo lavoro. E questo credo vada riconosciuto, col rischio di sembrare un musone pedante!
Secondo punto a favore delle scuole è quello di poter imparare il mestiere attraverso le esperienze di veri professionisti. Oltre ad imparare da loro nozioni necessarie ed obbligatorie come anatomia, prospettiva, narrazione e tecnica c’è anche tutto il bagaglio di consigli che si possono ottenere solo attraverso la conoscenza diretta di chi fa davvero questo mestiere.
Terzo punto a favore delle scuole è che i professori ti spingono costantemente a leggere fumetti ed a leggerli in maniera intelligente, valutando narrazione, stile, anatomia… Anche questo sembrerà banale ma secondo me non si possono disegnare fumetti se non si leggono fumetti. Dopo una prima lettura fatta per divertimento, un insegnante può stimolare a vedere una storia da una prospettiva più tecnica che da soli non avremmo considerato per niente o quantomeno solo in parte.
Poi magari arriva il fenomeno che in solitaria, nella sua cameretta, come un piccolo Leopardi dei fumetti, si mette lì e diventa un grande autore… per carità, è possibile, però è rarissimo. Nella maggior parte dei casi è necessaria una guida. Io ti giuro che il pensiero più frequente durante le lezioni è stato “Ah, vedi, io non c’avrei mai pensato!”.
Per quanto riguarda i punti a sfavore non saprei. Sinceramente l’unico aspetto negativo che mi viene in mente è il prezzo. Seguire un buon corso di fumetto costa e costa parecchio e non tutti possono permetterselo. E questo è un vero peccato.

Ho visto che stai realizzando delle prove per la Marvel. Cosa pensi che possa darti il fumetto americano rispetto a quello italiano? E viceversa, quali pensi siano i punti forti del fumetto italiano rispetto a quello d’oltreoceano?

Sarei il più grande degli ipocriti se ti dicessi che non sogno di lavorare per il mercato americano!
Te l’ho detto, quelli americani sono i fumetti del mio “imprinting” per cui mi sento legatissimo a certi personaggi, in particolare a quelli Marvel.


Però il fumetto italiano in questi anni sta avendo la sua rivincita su quello anglosassone o statunitense. Dopo l’ondata di film tratti dai personaggi dei comics americani il pubblico si è abituato ad una narrazione a fumetti più cinematografica fatta di inquadrature che simulano i movimenti della macchina da presa. Penso alle carrellate, alle zoomate al taglio della vignetta più cinematografico ed alla tendenza ad evitare di “sbordare”, cioè di far uscire il personaggio dalla vignetta e soprattutto una maggiore cura nel rappresentare le location. Se questa è una novità nel mercato americano (salvo alcune pregevoli eccezioni) di certo non lo è in quello italiano! Le pubblicazioni bonelliane sono cinematografiche ante litteram e ci sono autori grandiosi, per esempio Gianni De Luca, che hanno usato impaginazioni da film ancora prima che si pensasse a realizzare film tratti dai fumetti. Probabilmente è proprio grazie a questa tradizione che tantissimi autori italiani stanno sfondando in Inghilterra e negli Stati Uniti. Guarda caso molti di loro sono passati anche per le tavole di John Doe!

Con cosa lavori? Avanti, rivela i trucchi del mestiere.

Non vi sorprenderò. Carta, matite, pennarelli e pennelli sono le uniche cose che uso, anche se talvolta ripiego sul primo strumento che mi capita sotto mano. Non c’è una regola. Faccio piccole incursioni digitali e piccole cose “old school” come spugna o pennello secco. L’importante è il risultato finale!

Diciamo che il processo completo passa per varie fasi.
Fase uno: lettura della sceneggiatura.
Fase due: panico! Oddiocomelafaccio?!!!!.
Fase tre: ovvero lo zen e l’arte del “thumbnail”. Mi calmo e mi butto giù degli schizzetti brutti ma brutti per organizzarmi la tavola (alcuni fra quelli del numero sette li ho anche pubblicati sul mio blog).

Fase quattro: mi stampo la squadratura digitale della tavola e butto giù le matite.

Fase cinque: china, pennarello e tutta la robaccia che trovo sul tavolo.

Fase sei: scansione e impaginazione definitiva, più un minimo di post-produzione per effetti sonori, testi e pulitura di qualche imperfezione.
E poi basta, sono banalissimo… Ah, tra l’altro mi scarico un botto di foto come riferimento per gli ambienti e i personaggi! Mi piace cercare i vestiti, le macchine, le location… però odio ricalcare! Secondo me rendono le inquadrature troppo statiche. Documentarsi si, copiare no!

A questo proposito facciamo godere i lettori con un piccolo aneddoto.
Mi dicono che dovrò fare John Doe 07. Vado nel panico, poi mi calmo e poi mi metto a cercare i riferimenti che suppongo mi serviranno. Tra le altre cose mi scarico tonnellate di foto di New York. Poi inizio a disegnare… mi faccio le prime tavole… vado avanti per un po’… e poi tu decidi di sganciare la mina: siamo a Londra! Ad onor del vero, quando ti ho raccontato delle foto tu mi hai anche detto che non faceva nulla e avremmo potuto cambiare ambientazione quando invece avresti potuto dire: “Muori, maledetto, lo sceneggiatore sono io e decido io!”, ma mi hai dato una chance per mettermi a mio agio.
E io non me lo dimentico!

E adesso svela i tuoi maestri.

Di maestri ce ne sono un infinità! Dividiamoli in due categorie: quelli consapevoli e quelli inconsapevoli.

Quelli consapevoli sono quelli che ho avuto come insegnanti a scuola. Sono stati tutti fondamentali ma dei ringraziamenti particolari vanno a Saverio Tenuta, a David Messina, a Roberto Ricci, a Paolo Grella e a Bruno Letizia. A loro sono particolarmente debitore!

Quelli inconsapevoli sono gli autori a cui mi sono ispirato. E ti assicuro che sarebbero davvero tantissimi da elencare! Ho amato Mike Mignola e Alan Davis, Brian Hitch e John Romita Jr. Fra gli italiani “classici” decisamente Gianni De Luca e Sergio Toppi. Fra le “novità” straniere abbiamo David Lafuente, Sean Gordon Murphy, Zach Howard, Stuart Immonen ed Eric Canete. Fra le “novità” italiane Riccardo Burchielli, Matteo Cremona, Matteo Scalera, Sara Pichelli… e anche basta che ho rotto le palle! E sicuro come la morte mi sono scordato qualcuno… spero non si offenda!

Per finire, regalami un film da vedere. Un libro da leggere. Un disco da ascoltare. Un posto da visitare.

Il film è “C’era una volta in America”, per Sergio Leone.

Il libro è “American Tabloid”, perchè lo sto leggendo adesso e me ne sto innamorando.

Il disco è “Ok Computer” dei Radiohead, perchè li ho amati e li amo ancora!

Il posto è Napoli, perchè è fantastica, perchè lì ho trascorso alcuni giorni bellissimi con Vega e perchè lì ci incontreremo presto e ti farò i complimenti di persona per la nomination al Micheluzzi!

Ecco. Questo, e parecchio altro, è Valerio Schiti.
Seguitelo sul suo blog. Non perdetelo di vista.
E non venitemi a dire che non vi avevo avvisati.

P.s.
Vi lascio con una chicchetta: le prove che fece Valerio per John Doe:

Accostatele a quelle dell’albo attualmente in edicola e vedrete quant’è cresciuto rispetto a queste, che già erano parecchio sopra la media!


3 commenti

  1. keison -

    bravo bravo e ancora bravo! e bellissima intervista!!!

  2. Andreu Ratés Garcia -

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  3. Black75 -

    Semplicemente superbo!
    Lo rivedremo in John Doe, vero?

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