Scott Pilgrim VS. The World – Recensione.
Edgar Wright non esiste.
L’ho inventato io.
L’ho inventato io che di notte sogno di essere nato nel 1974 in Inghilterra come gli Stranglers.
E che ho quest’idea di girare uno zombie movie travestito da commedia.
E di essere bello quando invece sono solo estremamente affascinante.
E di chiamare Simon Pegg per vestirlo da poliziotto e poi lasciarlo lì per andare a recitare nel moscio adattamento della Guida galattica per autostoppisti.
Edgar Wright non è nient’altro che l’avatar dietro cui si nascondono le fantasie di un giovine regista nerd nato nella provincia romana e che sogna di realizzare un film che condensi in 90 minuti TUTTO il suo immaginario di fumetti, cinema, ragazze con i capelli colorati, videogiochi, rockband, ragazze con i capelli colorati, cartoni animati giapponesi, altalene su un prato innevato, ragazze con i capelli colorati.
Decide di adattarlo da un fumetto uscito negli USA nel 2004
e lo intitola
La logo animation della Universal in 8 bit con accompagnamento musicale in midi è una dichiarazione d’intenti. La regia, la scelta degli attori e dei musicisti, i titoli di testa, una conferma.
Signore e signori, mettetevi comodi… che indie sia!
Scott s’è appena fidanzato con una liceale lasciando di stucco i suoi compagni di band.
La spina viene attaccata. Musica maestro.
Shynola mostra i suoi muscoli al pubblico cinematografico dopo averci deliziato il palato per anni con i suoi videoclip.
Nigel Godrich appare come nume tutelare di una colonna sonora che mette insieme gente del calibro di Beck, Dan the automator, Cornelius, Frank Black e… ZELDA!, mentre la messa in scena cita apertamente Neko Case e i New Pornographers, Smashing Pumpkins, Pixies.
Ma la minorenne neofidanzata cinese (Ellen Wong) ha una rivale: la tizia sui rollerblade con i capelli rossi che appare in sogno a Scott, a colorargli e riempirgli di fumo, quel deserto arido che è la sua mente.
La tizia è Ramona Flowers, lavora come fattorina per Amazon e conoscerà fisicamente Scott ad una festa in cui il ragazzo collezionerà brutte figure e la pedinerà come l’ultimo degli stalker.
Ma la vita di Scott non è fatta di sole donne.
C’è la musica dei Sex Bob-bomb, gruppo di cui è membro fondatore e che, in attesa del contratto della vita, compete contro le altre band rivali in battaglie all’ultimo decibel, c’è Wallace, il suo coinquilino gay, (Kieran Culkin) che passa il tempo a dargli consigli e a scopare con maschi appena conosciuti. C’è Stacey, sua sorella, che passa il tempo a dargli consigli e a parlare al telefono con Wallace (quando non scopa con maschi appena conosciuti). E c’è la ragazza dai capelli rossi. Ramona Flowers.
Ramona Flowers che accetta di uscire con lui. Ramona Flowers che lo porta a casa sua. Ramona Flowers che prepara l’ultimo dei 400 tipi di tè che ha appena elencato. Ramona Flowers che porta un reggiseno nero. Ramona Flowers che lo bacia sul letto. Ramona Flowers che dorme con lui anche se ha deciso che non vuole più fare sesso ma che si riserva di cambiare idea nel corso della notte.
C’è Ramona Flowers che ora è sua.
E qui cominciano i problemi.
Perché per qualcuno quest’unione non s’ha da fare. E questo qualcuno sono i suoi sette ex malvagi.
I sette stronzi che Ramona ha avuto prima di incontrare Scott e che ora lo sfidano in deliranti battaglie capaci di mettere sullo stesso piano i picchiaduro anni 90, guitar hero e yattaman, concludendosi tutte con la vittoria di tante monetine quanta era la difficoltà del match.
Con una regia divertente e pulita, sempre attenta a non cadere dal filo dello strafare, una serie di dialoghi che online sono già diventati meme, Scott Pilgrim è la favola indie degli orfani del Gondry di Eternal Sunshine (si, ammetto che il paragone è impietoso nei confronti dell’onesto Wright, ma concedetemelo) che ci racconta che per conquistare quella che è oggi Ramona Flowers bisogna fare i conti con quello che Ramona Flowers è stata… senza mai mettere da parte noi stessi.
Una favola nerd che riesce nel difficile compito di non risultare mai falsa né piaciona verso il proprio pubblico di riferimento, concedendo sempre quello che vuole concedere ma sempre in modo da agevolare la narrazione piuttosto che inficiarla.
Michael Cera (orma icona indipendente per eccellenza) perfettamente in parte, mentre Mary Elizabeth Winstead è una splendida Ramona Flowers ma, in fase di scrittura, troppo algida rispetto al fumetto.
Non ci fa innamorare di lei come nelle pagine disegnate da O’ Malley e forse questo è l’unico vero difetto di un film che veleggia comunque verso quei lidi che spostano ancora un pochino più in là la percezione del pubblico verso quella forma di cinema ibrido che sta prendendo sempre più piede.
Un cinema la cui identità è nascosta tra pieghe occidentali, europee ed orientali.
Un cinema in cui gli effetti visivi non vengono usati per rappresentare la realtà ma per stravolgerla e mostrarsi fieramente in tutta la loro plasticosa bellezza.
Così come la pittura da figurativa s’è lentamente trasformata in concettuale, anche la forma visiva di quel meraviglioso strumento che è la CGI sta attraversando una fase transitoria in cui i confini tra cinema tradizionale e animato si mescolano rivoluzionando il concetto di digitale.
Speed Racer, Scott pilgrim, lo Yattaman di Miike (e il prossimo SuckerPunch di Snyder) sono film che utilizzano il linguaggio e la forma del cartone animato e del videogioco così come Avatar è un cartone animato che si traveste da film con attori in carne ed ossa.
La differenza tra ciò che è reale e ciò che viene solo percepito come tale non solo è sempre meno distinguibile, ma è un concetto che perde importanza ogni giorno di più.
Quando la forma sarà al totale servizio del contenuto, il potere dell’immagine sarà totale.
Secondo solo all’emozione che riuscirà a veicolare.
E ora dedichiamoci ai coretti e facciamo all’amore tutt’insieme:
Stellette? 8 su 10
Sto, tipo, a rosicà…
famo che siamo in due, Giovà 🙂
facciamo che io faccio finta di niente: ma non avevano detto che in Italia non sarebbe stato distribuito?
Ecco sto rosicando.