Amabili resti – recensione
Dal libro delusione del 2009 il film delusione del 2010.
La dove per “delusione” si intende quella delicata equazione tra aspettativa creata e risultato ottenuto.
Amabili resti libro non m’aveva attirato a causa dell’aggettivo nel titolo e della gamba della protagonista disegnata sulla copertina. Invero facezie, oserei dire, soprattutto rispetto alle fulminanti prime sessanta pagine che davano l’avvio alle peripezie della piccola Suzie Salmon. Peccato che dopo quelle prime sessanta, le restanti 310 hanno così tanto pesato sulla schiena del vostro aitante recensore di quartiere che se l’è trascinate appresso per sette mesi prima di riuscire a concluderle.
Riuscendoci, badate bene, solo dopo aver saputo che Peter Jackson ne stava realizzando il film.
GeneJackson, dicevo tra me e me, ha trovato il modo di tornare ai suoi antichi amori attualizzando il discorso iniziato con Creature del cielo in culo a quei fottuti orchetti della terra di mezzo. Ottimo, meraviglioso. Sorridevo tra me e me pregustando i molteplici modi in cui il regista neozelandese avrebbe migliorato gli spunti seminati dalla Sebold.
Quanto mi sbagliavo.
Ho aspettato di concludere il libro prima di vedere il trailer del film, per non rischiare di rovinarmi eventuali colpi di scena ed essere perfettamente cosciente della materia trattata. La visione m’ha lasciato felice come un pisello nel proprio baccello. Jackson aveva capito che quella era roba che nelle sue mani si sarebbe tramutata in oro e io lo amavo per questo.
Quanto mi sbagliavo.
Sono arrivato alla visione di stasera carico d’aspettative e trascinandomi dietro alcune tra le persone a cui voglio più bene (certe gioie vanno condivise) ignorando le malevole cattive recensioni di cui sentivo parlare.
Buio in sala. Il film inizia.
Nei primi venti minuti Peter Jackson condensa il suo cinema, il suo linguaggio, la sua poetica.
Racconta con eleganza e stile saltellando lungo le vie percorse da Hitchcock e Lang (il rimando a M è pura meraviglia) poi si ferma nel negozio di materiali fotografici, sceglie la sua macchina, la testa.
E smette di girare il film.
Smette. Se ne frega. Resta lì, in quei 3 stacchi camera che lo riguardano e smette di fare il suo lavoro.
Lo script diventa lacunoso e improbabile applicando inspiegabili cesure al racconto originale (probabilmente per la fuckin extended edition del dvd – di cui lui è stato l’orrido primo alfiere) che rendono incomprensibili i passaggi di trama – nonché tutta la morale alla base della storia, ripresentata nel finale.
La regia si fa scialba, sciatta, più banale che scontata.
La resa scenica, dai concept alla postproduzione, tentando d’intraprendere la strada del low fi 3d che tanto sta tirando in ambito videoclipparo è un’agonia che funge da cassa di risonanza alla vecchiezza delle idee visive.
E infine: l’audio. Un film in cui arrivi ad accorgerti di quanto possa essere fastidioso e invadente tutto il sound design è come una donna di cui arrivi a lamentarti delle doppie punte durante il migliore dei suoi orgasmi.
Peter. Amico mio. Io ti stimo tantissimo. Io ti ho amato assai e ti amo ogni volta che rivedo i tuoi capolavori. Ma questa non dovevi farmela. Era roba tua questa storia, era roba che ti dovevi e ci dovevi.
E per favore promettimi che la smetterai di (spoiler area) concludere i tuoi film con un personaggio (Il ritorno del re) che (King Kong) muore (Amabili resti) precipitando.
Grazie a nome di tutti.
Stellette? 3/10
Non lo perdonerò mai per aver tramutato una delle mie canzoni preferite dei Cocteau Twins nella colonna sonora di Gira la Moda.
A parte questo non trascurabile dettaglio, non so se ho trovato più deplorevole (spoiler? Magari sì, ma tanto…) il pacchiano sfarzo dell’oltretomba, che nei momenti più eleganti strizzava l’occhio al gusto graminaceo delle pubblicità Mulino Bianco, o la scelta di caratterizzare i personaggi in quel modo delicato e accennato che sembra sussurrare “cliché? Non so che significa ma mi suona bene. Ne prendo dodici”, di cui si fa totem il cattivo. Che possiede solo oggetti da cattivo. E costriuisce solo cose con estetica da cattivo. E ha montato tutte le lampade di casa a filo pavimento per essere illuminato sempre fiocamente e dal basso. In effetti mi è spiaciuto che non si sia mai leccato la lama insanguinata di un coltello in tutto il film, era una scena che un po’ mi aspettavo e che secondo me dieci secondi per mettercela c’erano.
Vabbè… Quindi il film è piaciuto solo a me e Spielberg, come è accaduto per Paranormal Activity 😉
Peter Jackson l’ho conosciuto grazie alla trilogia de Il Signore degli Anelli, che ho visto per intero e che non mi è piaciuta per niente (al contrario di King Kong); ho recuperato i suoi precedenti lavori, ma devo ancora vederli e, a questo punto, mi conviene iniziare da Creature del Cielo.
Dopo i due film “trash” (Bad Taste-Fusi di Testa e Splatters-gli schizzacervelli), Jackson sforna a sorpresa delizioso/angosciante Creature del Cielo seguito da Sospesi nel tempo con Michael J. Fox. Secondo me sono i suoi due momenti migliori. Ancora per nulla avvezzo agli ingranaggi di Hollywood e tutto incentrato sul divertimento del raccontare.
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Oh mio Dio! Ma quanto può valere questa recensione scritta con i piedi? No, davvero: al posto di perdere tempo a recensire libri e film, ti consiglio di aprire un libro di italiano ed iniziare a leggerlo con attenzione.
Spero che tu non abbia più di 11 anni, altrimenti sei messo veramente male.
Ti ho dato fiducia e l’ho riletta.
E invece è ancora un buon pezzo. Ciao Sora Lisa!